“La poesia, l’arte – secondo me – devono aiutarci a vedere il potenziale di ciò che abbiamo intorno, devono aiutarci a far fiorire la nostra umanità, più che farla a pezzetti. So che ci sono molti modi di interpretare l’arte, e credo che siano tutti legittimi, perché il modo in cui si produce arte è una espressione diretta di chi siamo, e anche di ciò che ciascuno di noi ha bisogno di elaborare in un dato momento della vita. Fino ad ora, io l’arte l’ho sempre interpretata così. Il cinismo mi annoia”. Dopo aver co-firmato il bestseller che ha ispirato le “bambine ribelli” di tutto il mondo, Francesca Cavallo torna in libreria con il romanzo “Ho un fuoco nel cassetto”, in cui racconta la sua storia di donna, queer, meridionale. “Ho pensato che raccontare le mie cadute, i modi in cui mi sono rialzata, potesse aiutare altri ad essere più compassionevoli con se stessi e con il resto del mondo, e che potesse liberare delle energie preziose per costruire un mondo nuovo, un mondo in cui non si sente la necessità di fingere di essere altro da sé”
“Per me la libertà è come il fuoco. Mi fa pensare a tutte le cose che vorrei bruciare, incenerire. Prima di tutto i portoni, i recinti, le cancellate, le finestre e perfino le mura di cinta di quella prigione in cui sono nata. Sono una donna. Sono queer. Sono lesbica. Aspettative, stereotipi, censure, luoghi comuni, abusi segnano i confini di una prigione invisibile, un carcere di massima sicurezza dal quale evadere è terribilmente difficile. Forse è per questo che il fuoco mi è sempre sembrato l’unico modo”.
Dopo aver co-firmato il bestseller che ha ispirato le “bambine ribelli” di tutto il mondo, Francesca Cavallo (nella foto di Ilaria Magliocchetti Lombi) torna in libreria con il romanzo Ho un fuoco nel cassetto (Salani), in cui racconta la sua storia di donna, queer, meridionale.
Cresciuta in un paesino pugliese nel 1983, Cavallo è figlia di un venditore di auto e di una casalinga, si è ritrovata – in pochi anni – a fondare un’azienda multimilionaria in California, la startup di media per l’infanzia Timbuktu Labs, con la quale ha pubblicato la prima rivista su iPad per bambini e la serie Storie della Buonanotte per Bambine Ribelli, che è stata tradotta in 48 lingue e ha venduto milioni di copie nel mondo.
Può interessarti anche
La sua storia personalissima non è solo il viaggio di un’artista, di un’imprenditrice e di una donna.
È un appello universale e appassionato a non avere paura di uscire dai binari, di oltrepassare i confini, di “dar fuoco alle polveri” per demolire i muri che ci impediscono di realizzarci, per costruirne un mondo più libero.
Scopri le nostre Newsletter
Notizie, approfondimenti e curiosità su libri, autori ed editori, selezionate dalla redazione de ilLibraio.it
Il titolo del suo nuovo libro fa pensare alla celebre espressione “sogno nel cassetto”. E potremmo dire che lei, di sogni, ne ha realizzati molti – da quello di trasferirsi in America a quello di fondare una start up di successo, fino a pubblicare un bestseller. Partiamo da un qualcosa che di solito si rivela alla fine: un consiglio, “un’esortazione”, proprio come quelle che raccoglie nella conclusione del libro. Quando si capisce che è il momento di fare uscire allo scoperto i propri sogni e provare a realizzarli?
“Credo che i sogni chiedano di uscire dai cassetti, che diventino ‘fuochi’, quando si inizia a stare più vicine al proprio desiderio. Accettare di essere ‘desideranti’, di avere il diritto di provare a costruirci una vita che rispecchi i nostri valori, le nostre priorità, i nostri bisogni… è fondamentale per mettersi in gioco quel tanto che basta per credere nei propri sogni e per agire in modo da farli diventare realtà”.
In questo libro lei racconta la sua storia personale, facendola diventare una parabola universale che possa trasmettere un messaggio ai lettori e alle lettrici.
“Incontrando i lettori durante i tour con i miei libri precedenti, Storie della Buonanotte per Bambine Ribelli e Elfi al quinto piano in particolare, mi sono resa conto che quando raccontavo alcuni elementi della mia storia personale, il pubblico si emozionava in modo molto profondo. Spessissimo, durante le presentazioni in cui mi sono aperta di più, diverse persone del pubblico si sono aperte a loro volta, condividendo le loro vulnerabilità, i loro dubbi, i loro desideri, i loro sogni. Si è creato uno scambio speciale, un’esperienza densa di senso e di umanità”.
Qual è l’esigenza che l’ha portata a raccontarsi?
“Quando inizio a pensare a un libro nuovo, penso sempre al tipo di esperienza che vorrei che i lettori facessero leggendolo. Immagino i momenti in cui lo leggeranno, come potrebbe farli sentire, che tipo di corde potrebbe toccare in loro e che cosa potrebbe spingerli a condividere: la condivisione è un aspetto centrale della mia scrittura, e anche uno dei motivi per cui adoro la letteratura per l’infanzia che è spesso condivisa. Ho pensato che raccontare la mia storia, le mie cadute, i modi in cui mi sono rialzata, potesse aiutare altri ad essere più compassionevoli con se stessi e con il resto del mondo, e che potesse liberare delle energie preziose per costruire un mondo nuovo. Per ‘nuovo’ intendo un mondo in cui non si sente la necessità di fingere di essere altro da sé e non si chiede agli altri di essere diversi da quello che sono per conformarsi a uno standard che comunque esiste solo in teoria”.
Può interessarti anche
Oltre a contenere tanti spunti ispirazionali per riuscire a realizzarsi (principalmente come individui pensanti e liberi), questo libro è anche il racconto di quanto un percorso di comprensione e accettazione della propria identità sia estenuante, doloroso e bruciante. Crede che sia necessario attraversare il dolore per ritrovarsi?
“Credo che il dolore sia uno dei maestri più importanti che ho incontrato. Ma credo che ognuno di noi, davanti al dolore, debba fare una scelta e chiedersi ‘che cosa ha senso che io impari da questa esperienza? Quale lezione può rendermi una persona migliore?'”.
E poi?
“Purtroppo, capita che abbiamo così tanta paura che invece che aprirci al dolore ci chiudiamo e costruiamo dentro di noi dei blocchi, lasciamo che il dolore – invece che liberarci – ci chiuda in una cella. Questo accade per esempio se veniamo traditi, e ci diciamo che non ci fideremo mai più di nessuno. Se veniamo odiati, e ci diciamo che non ameremo mai più nessuno. Bisogna lasciare che il dolore ci attraversi, che faccia il suo lavoro dentro di noi, come un’onda su uno scoglio. E bisogna ricordarsi sempre che la nostra capacità di amare, in modo più maturo e consapevole questo sì, va custodita sempre”.
Parliamo dell’importanza della rappresentazione per persone queer, e non solo. C’è un passaggio, nel libro, in cui lei racconta di aver letto libri su libri, per ricercare figure in cui sentirsi rispecchiata, in cui potersi identificare. Quanto è importante avere opere letterarie che non si riducano a raccontare “un’unica storia”, per citare una figura che ha un ruolo rilevante nella sua formazione, Chimamanda Ngozi Adichie?
“È fondamentale. Questa è la cosa più difficile da capire per chi appartiene alla maggioranza e, per tutta la vita, ha sempre sentito canzoni d’amore eterosessuali, visto commedie che celebravano il romanticismo in coppie eterosessuali, visto tragedie eterosessuali. Le persone etero non riescono a immaginare che cosa voglia dire non vedersi MAI nelle storie intorno a te. Mi rendo conto che non sia facile, ma a questo punto della Storia è diventato necessario allargare le maglie dell’immaginazione e dare alle minoranze la possibilità di vedersi nelle storie che fruiscono”.
Può interessarti anche
In che modo?
“Attraverso le storie noi costruiamo il nostro senso di identità, e finché ci saranno pezzi della popolazione che sono privati di questa opportunità, finché non daremo alla maggioranza la possibilità di confrontarsi con ‘gli altri’ e di fare spazio nella propria testa all’esistenza di persone che sono distanti da quello che finora è stato considerato ‘normale’, le nostre democrazie non potranno realizzarsi a pieno”.
Forse è proprio per il bisogno di avere nuovi modelli che ha scritto con Elena Favilli Storie della Buonanotte per Bambine Ribelli, a cui tra l’altro molto spazio dedica nel suo romanzo. Come il successo di questo lavoro ha influenzato la scrittura del nuovo libro?
“Ho un fuoco nel cassetto sarebbe un altro libro se non ci fosse stato Storie della Buonanotte per Bambine Ribelli. L’esperienza di Bambine Ribelli è stata una magnifica avventura e mi sento fortunata ad averla vissuta a pieno, senza risparmiare mai un grammo di energia, di coinvolgimento, d’amore, di passione. Mi ha consentito di ampliare ulteriormente l’orizzonte dei miei sogni e di rafforzarmi nella convinzione che ci sia bisogno di sogni grandi e di ambizioni sfacciate se vogliamo costruire un mondo più giusto per tutti”.
Dunque in un certo senso si possono considerare legati?
“Ho un fuoco nel cassetto è nato anche dal fatto che l’esposizione alle centinaia di storie di donne che ho scritto e ricercato mi hanno mostrato come tantissime donne prima di me avessero deciso di vivere secondo i propri termini e avessero danzato con la libertà, anche quando era pericoloso, sconsigliato, perfino illegale. Mi sono detta che, con la mia vita, vorrei continuare una tradizione importante!”.
A un certo punto lei cita Alejandro Jodorowsky e la lezione degli atti poetici, facendo emergere la sua idea di arte: un fuoco che non distrugge, ma crea. Ce ne vuole parlare meglio?
“Il fuoco crea nuovi paesaggi, e per farlo in tanti casi deve anche distruggere. Almeno, questa è stata la mia esperienza. Per quanto riguarda l’atto poetico, invece, sono d’accordo con Jodorowsky: gli atti poetici devono creare, non distruggere. La poesia, l’arte – secondo me – devono aiutarci a vedere il potenziale di ciò che abbiamo intorno, devono aiutarci a far fiorire la nostra umanità, più che farla a pezzetti. So che ci sono molti modi di interpretare l’arte, e credo che siano tutti legittimi, perché il modo in cui si produce arte è una espressione diretta di chi siamo, e anche di ciò che ciascuno di noi ha bisogno di elaborare in un dato momento della vita. Fino ad ora, io l’arte l’ho sempre interpretata così. Il cinismo mi annoia”.
Torniamo sui consigli e sull’esortazioni della prima domanda. Il suo libro si può definire una sorta di memoir, una raccolta degli eventi e delle persone che, in un modo o nell’altro, le hanno cambiato la vita. Se si potesse tornare indietro nel tempo, quale sarebbe il consiglio che darebbe alla se stessa bambina, quella che incontriamo nelle prime pagine e che, alla domanda “sei lesbica”, risponde “assolutamente no”?
“Non darei nessun consiglio alla me stessa bambina, ne darei uno alla donna adulta che mi chiese ‘ma non è che sei lesbica?’ con quel tono allarmato e le consiglierei di parlarmi con un tono diverso, oppure di non dire niente”.