“Di solito si parla soprattutto del Calvino serio e lavoratore, il Calvino razionale, controllato e costruttivo. Sarà sicuramente vero, ma se Calvino fosse solo questo non l’avrei mai letto…”. Enzo Fileno Carabba, che nel centenario dalla nascita ha dedicato il suo nuovo libro (“Il giardino di Italo”) alla giovinezza dello scrittore, su ilLibraio.it racconta la passione per i fumetti dell’autore, che iniziò la propria attività creativa disegnando fumetti: “Il periodo decisivo per la sua immaginazione è stato quello dai tre ai sei anni…”

Mio padre scrisse un libro sui fumetti del Corriere dei piccoli. Il libro si intitola Corrierino Corrierona. Ero alle elementari. Papà mi parlava di quei fumetti e io guardavo le figure. Sono cresciuto osservando le stesse storie che hanno formato l’immaginazione di Italo Calvino perché anche a casa mia, come a Villa Meridiana (casa sua), c’erano scaffali contenenti i fumetti del presente e del passato: dagli anni Venti in poi. Li leggevo (diciamo così) soprattutto quando ero un po’ malato, forse per il tempo a disposizione, ma più che altro per lo stato mentale spaesante  in cui ci mette una leggera malattia.

Oggi mi sento l’amico immaginario di Calvino: mi figuro di guardare con lui quei nostri fumetti del Corriere dei piccoli, le sue fonti segrete di quando ancora non sapevamo leggere.

Calvino racconta che il periodo decisivo per la sua immaginazione è stato quello dai tre ai sei anni. Guardava le vignette del Corriere dei piccoli (la collezione rilegata della madre comprendeva le annate precedenti alla nascita di Italo). “Quando imparai a leggere il vantaggio che ne ricavai fu minimo” dice nelle Lezioni americane. L’interpretazione delle figure è stata la sua prima scuola, una disciplina che stimola una facoltà fondamentale: “il potere di mettere a fuoco visioni ad occhi chiusi”. Del resto, il linguaggio scritto è un particolare tipo di disegno.

Calvino iniziò la propria attività creativa disegnando fumetti e nel 1940 vinse un premio per la vignetta più stupida dell’anno. Alcuni meccanismi logici paradossali, appresi dalla contemplazione infantile dei fumetti,  restarono in lui per sempre, diventando chiavi di accesso alla realtà e condizionando il suo uso delle parole. A quanto ne so Calvino, anche se ha sempre riconosciuto il suo debito verso il Corriere dei piccoli, non ha mai specificato i dettagli. Da quando ho cominciato a leggere i suoi libri, cioè alle medie, ho incontrato continui riferimenti a queste sue fonti preistoriche. Qui accenno a tre chiavi.

Prendere alla lettera il mondo

La prima chiave è rappresentata da Bilbolbul, personaggio creato da Attilio Mussino. È un ragazzino le cui avventure consentono lo scatenamento dell’immaginazione attraverso la materializzazione delle metafore. Se diventa rosso per la vergogna, eccolo davvero tutto rosso dalla testa ai piedi, per cui è necessario ridipingerlo. Se allunga gli occhi per guardare lontano, gli occhi escono da lui come tentacoli tesi e si allungano per centinaia di metri. Se la paura gli mette le ali ai piedi, qualcuno dovrà provvedere a tagliargliele con le forbici, per farlo tornare alla vita normale. Se uno è stanco morto, allora muore. L’abitudine mentale a prendere alla lettera le frasi fatte, i discorsi automatici e i modi di dire, è una risorsa preziosa. Se qualcuno ti dice, mettiamo, “questo tramonto mi apre il cuore” e tu per qualche motivo, giusto o sbagliato che sia, non ami espressioni enfatiche del genere, nel momento in cui visualizzi davvero il suo cuore aperto, ecco che tutto assume un aspetto interessante e puoi sorridere amorevole.

L’altro sé

La seconda chiave è quella offerta dal personaggio di Pierino disegnato da Antonio Rubino, conterraneo di Calvino. Pierino possiede un pupazzo che detesta e cerca in tutti i modi di liberarsi di lui o di distruggerlo. Ma il pupazzo torna sempre. È immortale. Sembrerebbe una parte di Pierino stesso. L’altro sé. Ma è lottando con il pupazzo che Pierino vive le sue migliori avventure. Lo stesso vale per Calvino, i cui libri più belli sono il risultato di una lotta silenziosa tra forze contrastanti. Per esempio più di una volta ha manifestato diffidenza nei confronti dell’eccessivo accaloramento dell’espressione (“Mi domandi perché sono laconico… Poiché lo credo un buon metodo per comunicare e conoscere, migliore d’ogni espansione incontrollata e ingannevole”). A più riprese si è espresso contro l’idillio, la commozione, la nostalgia, e l’essere troppo umani nello scrivere. Ma solo chi sotto la superficie è molto caldo cerca di padroneggiare l’arte del raffreddamento. Del resto, la commozione raffreddata si sveglia più fresca, come si vede nella Strada di  San Giovanni o nel finale delle Notti dell’ UNPA quando parla del padre.

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Nel Collegio delle delizie Rubino inventa una scuola in cui tutto è capovolto. I professori esigono che gli studenti non studino, preferiscono che gli alunni si ingozzino di dolciumi e delizie che pendono dagli alberi e sgorgano dalle fonti. Scandaloso è il ragazzo che chiede un libro. C’è un professore di distruzione che insegna come fare a pezzi le cose. Il mio amico immaginario amava queste lezioni di smontaggio. E anche se poi da grande diventerà molto serio e laborioso, non perderà mai, sotto sotto (a volte sotto sotto sotto) il lampo delizioso che permette di smontare un discorso e sovvertire lo sguardo.

L’arcivernice

La terza chiave è legata a Pier Lambicchi, creatura di Giovanni Manca: uno scienziato solitario che inventa l’arcivernice, liquido che dà vita alle immagini. Basta cospargere un dipinto (un disegno, un graffito, uno scarabocchio) con l’arcivernice perché l’immagine prenda vita e balzi nella realtà, pronta a combinarne di tutti i colori. Per non parlare dei guai in bianco e nero. L’arcivernice permette di avere fra noi il personaggio (storico o fantastico) come uno se lo immagina, o meglio come è stato immaginato da chi l’ha dipinto. Spesso è questa la vera azione che i personaggi storici esercitano su di noi. Agiscono sulla nostra mente per come li immaginiamo, non per come erano, che questo non lo sapevano neanche loro. L’arcivernice, la terza chiave, permette di sfondare una barriera: quella tra le immagini e il nostro mondo.  Tutta l’opera di Calvino è immersa nell’arcivernice, che dando vita alle creature vere e a quelle false rinnova il mondo con effetti di spaesamento.

Calvino parlerà infatti della necessità di soddisfare un bisogno di spaesamento, e di evasione (Autobiografia di uno spettatore). E anche del diritto al divertimento (nella presentazione al Visconte Dimezzato).

Di solito, mi sembra, si parla soprattutto del Calvino serio e lavoratore, il Calvino razionale, controllato e costruttivo. Sarà sicuramente vero, ma se Calvino fosse solo questo non l’avrei mai letto. Sono convinto invece di essere entrato in contatto col Calvino lettore del Collegio delle delizie, animato da una furibonda pulsione fantastica, da un illuminismo psichedelico e da guizzi irriverenti. A volte rivestiti da qualcos’altro, una crosta di ghiaccio. Per protezione. Ma se nascondiamo il suo lato caldo di fuggitivo lo dimezziamo.

Nel racconto finale di Marcovaldo c’è un leprotto che scappa e trova rifugio nella neve. “Si vedeva solo la distesa di neve bianca come questa pagina”. L’immensità è racchiusa nel rettangolo limitato della pagina, una visione grafica da fumetto. Del resto la prima edizione di Marcovaldo fu illustrata da Sergio Tofano, grande autore del Corriere dei piccoli, creatore del Signor Bonaventura. Questa è la quarta chiave. Ma sarà per un’altra volta. Intanto leggiamo la neve: le impronte sono la prima forma di scrittura.

IL LIBRO E L’AUTORE – Italino vive in un giardino incantato della Riviera: un “Paradiso sperimentale” ricco di piante, misurabile e misurato da due divinità — i suoi genitori — che credono nel potere razionale, etico e sociale della scienza. Mentre fuori tuona la retorica fascista, la lingua che si parla in quel giardino è seria, esatta, priva di sentimentalismi, consona alla laica compostezza che lo domina. Ma quando Italino si avvicina al mare, viene travolto da un’onda che lo capovolge, lo rimescola, gli fa capire che non siamo creature esatte ma libri abissali destinati a sprofondare nel blu. È allora che in lui si accende quella tensione perenne tra razionalità e fantasia da cui originerà una delle più limpide voci del nostro Novecento: quella dello scrittore Italo Calvino.

Nel libro Il giardino di Italo (Ponte alle Grazie), un viaggio tanto più vero quanto più immaginario, Enzo Fileno Carabba guida i lettori là dove tutto comincia. E dove, grazie a alberi ipnotizzanti e pere proibite, tarzan anarchici e famosi illustratori, vecchi fumetti e granchi ballerini, la leggerezza calviniana, impegnata nella costante operazione di raffreddamento emotivo, si fa morbida e profumata, tenera e onirica, lasciando affiorare quella giocosa libertà che, sola, potrà rendere rampanti i baroni, dimezzati i visconti, inesistenti i cavalieri. E felici i lettori che verranno

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