“Gli imperdonabili”, la raccolta di scritti di Cristina Campo (pseudonimo di Vittoria Guerrini, Bologna, 29 aprile 1923 – Roma, 10 gennaio 1977) è una lezione sublime di sapere e di umiltà. Si tratta di una lettura ardua, che mette alla prova: ma superata la rabbia della propria inadeguatezza, ci si abbandona alla seduzione di una mente straordinaria, per uscirne riappacificati, consolati da tanta bellezza…

“Perfezione, bellezza. Che significa? Tra le definizioni, una è possibile. È un carattere aristocratico, anzi è in sé la suprema aristocrazia. Della natura, della specie, dell’idea. Anche nella natura essa è cultura”.

Leggere Cristina Campo è un percorso che fa attraversare tutte le fasi emotive, colpendo l’inconscio, dalla negazione all’accettazione della propria inferiorità: perché con Gli Imperdonabili (Adelphi) ci troviamo di fronte alla perfezione, e l’incontro con la perfezione è eccitante e frustrante al tempo stesso.

copertina del libro "Gli imperdonabili" di Cristina Campo

La raccolta degli scritti di Cristina Campo (pseudonimo di Vittoria Guerrini) è uno scrigno di misteri: ci si avvicina con soggezione, tanta è l’erudizione, mai esibita ma naturalmente e semplicemente srotolata, come un prezioso tappeto. È proprio la naturalezza, la raffinatezza di un andante che ha il nitore di una penna inaspettatamente semplice e garbata ad attrarre, come un incanto.

Si legge assaporando la limpidezza imperdonabile dei periodi, il fascino dei dettagli, l’intarsio di rimandi e suggestioni: c’è un momento in cui si pensa che sia troppo, che questa tecnica narrativa così accessibile sia un tranello, e che il verbo sia da qualche parte nascosto, non svelabile a noi lettori. Ci si trova impreparati davanti a questa donna così colta, così semplice nell’inanellare riferimenti alle tradizioni più antiche, a parlare di liturgia della parola, di fiaba, di flauti e tessitori, che cita Cechov accanto a Manzoni, passa per il testo anonimo trascritto sull’Athos dall’abate Paissy e decodifica l’archetipo dell’artista cinese, liberando tutti gli alfabeti dell’immaginazione.

Cristina Campo è una messaggera di verità, non solo, è una messaggera di reale.

Il suo attraversare simboli, fiabe e poesie non è altro che un itinerario verso l’inesprimibile del concreto: se è vero che il poeta è un mediatore tra Dio e l’uomo, la poesia è una lettura dei piani più diversi della realtà, al di là dei quali si cela un mondo di significati. Ed è proprio nei dettagli che si nasconde la chiave di lettura, lo avevano capito così bene gli artisti fiamminghi, e la Campo va oltre, assegnando alla poesia una caratteristica geroglifica, decifrabile solo “in chiave di destino”. Verità in figure: perché bellezza e significato sono inseparabili nella parola, e lì, in quella perfezione, si dispiega la gioia.

“È possibile che chi fa fiabe sia simile a chi trova quadrifogli che, secondo Ernst Jünger, acquista veggenza e poteri augurali. Comincia a raccontare per dar piacere ai bambini e d’improvviso la fiaba è un campo magnetico dove convengono da ogni lato, a comporsi in figure, segreti inesprimibili della sua vita e dell’altrui”.

Affascinata dal rito, Cristina Campo fa sua una liturgia del pensiero e del verbo: ci troviamo di fronte a una testimonianza di pensiero intellettuale da accogliere con un misto di devozione e di sgomento.

L’importanza del simbolo attraversa la narrazione con la leggenda popolare e la parabola, abitati, una e l’altra, da esseri singolari, eroi e santi che irradiano luce e musica con le loro azioni. È partendo dal reale, spiega la Campo, che si toccano le geometrie dello spirito, o le terre del destino, come il rovescio di un tappeto, che mostra i nodi e le confusioni dell’intreccio, facendo solo percepire il disegno dall’altra parte.

È un viaggio che disorienta, e conduce nei labirinti dell’immaginazione.

“Nel costernante silenzio del mondo religioso, sarà ancora una volta colui che ha dimora nel simbolo e nella figura a gridare senza stancarsi affinché la potenza del reale torni ad imprigionare i suoi cieli, l’assoluto a trasmutare la sua terra: in quella nuova natura a noi ignota, costruita con la divina saliva, che stilla il latte e miele della soave ragionevolezza”.

Marianne Moore, Williams Carlos Williams, John Donne: l’analisi di Cristina Campo passa attraverso i suoi poeti più amati, donandoci riflessioni, concatenazioni di pensieri, legami che sono privilegio delle menti più raffinate e a cui ci viene dato accesso: l’autrice ci mette in mano una bussola, ci svela una rotta che attraversa le immagini. Lì, in fondo, irraggiungibile, la terra del sapere: la avvistiamo, ci sembra di avvicinarla, a tratti.

La perfezione si cela nel reale. E leggendo, ci sembra così a portata di mano, guidati da una sensibilità unica capace di innalzarsi fino a dimensioni rivelatrici e piene di grazia, non prive di disciplina.

“Ma al bambino che ascolta una fiaba, all’uomo che termina una poesia, al dormente che, sul limite del risveglio, ha varcato il cancello proibito, l’eterno ha pur concesso una misura di sé. Non più che una misura, certo”.

Quella misura ci concede Gli imperdonabili. È una lettura ardua, che mette alla prova: superata la rabbia della propria inadeguatezza, ci si abbandona alla seduzione di una mente straordinaria, per uscirne riappacificati, consolati da tanta bellezza.

L’accettazione è il riconoscimento che si è provata pura gioia, in un’educazione sentimentale dove i sensi sono riaddestrati a cogliere la grazia, in uno stato di estasi. In un mondo di velocità, frenetica lettura, titoli e notorietà mordi e fuggi, Cristina Campo è una lezione sublime di sapere. E di umiltà.

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