“‘Matilde’ di Roald Dahl è un libro per bambini, fresco e breve, famosissimo, ‘Mr Vertigo’ di Paul Auster è forse tra i romanzi meno noti di uno degli autori simbolo del post modernismo americano. Sembrano non avere molto in comune tra di loro, e neanche con il romanzo che avrei scritto molti anni dopo. Ma…”. Su ilLibraio.it Greta Olivo, che ha esordito con “Spilli”, racconta due libri a cui si sente molto legata. E torna alla sua infanzia e adolescenza…
A un certo punto di quest’anno ho pubblicato un romanzo, e se pubblichi un romanzo si presuppone che tu ne abbia anche letti un bel po’.
Una delle domande più frequenti che mi fanno è: a quali libri ti sei ispirata, per scriverlo?
Non so mai bene cosa rispondere.
Ci sarebbe il famoso racconto di Anna Maria Ortese Un paio di occhiali, che parla di una ragazzina molto miope, poi I miei piccoli dispiaceri di Miriam Toews, la frase in esergo di Spilli viene da lì, e infine in qualche modo, da più lontano, Cecità di Saramago.
Sarebbero tutte risposte giuste, ma non sono risposte vere.
La realtà è che i due libri a cui penso subito, senza avere un legame logico con il mio né per tematica né per stile di scrittura, li ho letti tra gli otto e i quindici anni.
A quel tempo di libri sapevo tutto quello che c’era da sapere: che erano oggetti misteriosi, che era delizioso leggerli mentre facevo altro, tipo asciugarmi i capelli e mangiare, che costavano un po’ e quindi bisognava sceglierli bene.
Alla Giustiniana, che è il quartiere periferico di Roma in cui sono nata e vissuta fino ai ventidue anni, non c’erano librerie. Quella più vicina stava al Gulliver, un centro commerciale fuori mano che aveva il bowling e la sala cinema IMAX. Mi ci portava mia madre quando dovevamo fare i regali di Natale, a me sembrava un momento prezioso quello in cui mi diceva: prendine uno che ti piace.
A otto anni impazzivo per i libri della collana Gli Istrici di Salani, con le copertine gialle sbiadite e quei titoli per me così evocativi. Vacanze all’isola dei Gabbiani, Miss Strega, Le zie Improbabili.
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Un giorno la commessa mi propose di comprarne uno che aveva in copertina una ragazzina magrissima seduta su un banchetto di legno, intorno a lei pile di romanzi.
Si intitolava Matilde.
Scoprii che Roald Dahl era uno scrittore acuto, divertente, a volte crudele, che faceva compiere ai suoi personaggi delle azioni coraggiose e così adulte, anche se erano solo dei ragazzini. Utilizzava parole che mi ripetevo in testa all’infinito, assaporandone il suono, una di queste, la ricordo ancora, era “cretinetti”.
Divenne il mio scrittore preferito, fino a che sette anni dopo, durante una lezione di matematica al liceo, la mia compagna di classe Diletta mi passò un libro sporco di fango.
È caduto al fidanzato di mia madre in una pozzanghera, aveva detto. Lui se l’è ricomprato, vedi un po’ se ti piace.
Sotto il fango si leggeva Mr Vertigo, e parlava di un ragazzino di nome Walt, molto povero e sfortunato, a cui un giorno uno sconosciuto signore diceva: “vieni con me, ti insegnerò a volare”.
Le pagine dentro erano pulite anche se dure di pioggia, quando le giravo facevano un rumore di cartapesta. Lo finii in due giorni, e di Paul Auster nei mesi successivi lessi tutto il resto, rimanendo invischiata nel suo stile oscuro e a tratti onirico, sempre elegante, pulito.
Matilde è un libro per bambini, fresco e breve, famosissimo, Mr Vertigo è forse tra i romanzi meno noti di uno degli autori simbolo del post modernismo americano. Sembrano non avere molto in comune tra di loro, e neanche con il romanzo che avrei scritto molti anni dopo.
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Eppure, la letteratura ha dei modi strani di stare insieme, di combinarsi, di richiamarti a sé.
Walt e Matilde sono due ragazzini soli. Uno i genitori non ce li ha, l’altra ce li ha ma è come se non ci fossero. Entrambi vivono nel mondo senza punti di riferimento, finché a un certo punto, secondo un topos classico, compare qualcuno che gli dice: vieni con me, ti tirerò fuori da questo schifo, c’è qualcosa di speciale in te.
Per Matilde è l’intelligenza fuori dal comune, e la signorina Dolcemiele, l’insegnante che si accorge di lei. Per Walt è la capacità di volare, e il suo maestro si chiama Yehudi. E se Matilde non dovrà mai passare attraverso il terribile addestramento di Walt, costretto a fare lavori di fatica, è pure vero che la loro eccezionalità si manifesta in modo simile, che ha a che fare con due elementi: lo spossamento fisico e la leggerezza.
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Il modo in cui Matilde incanala la sua intelligenza, tanta e così poco sfruttata che scappa da tutte le parti, è quello di far librare le cose in aria. Prima il bicchiere con dentro un tritone, poi un gesso sulla lavagna. E dopo aver fatto volare le cose, Matilda è stanchissima.
Walt, dal canto suo, vola in aria che è un piacere. Diventa il ragazzo prodigio, comincia a girare per l’America e a fare molti soldi, moltissimi, finché lo coglie una terribile spossatezza fisica. Ogni volta in cui prova a staccare i piedi da terra, è pervaso da un mal di testa devastante, tanto forte da portarlo all’ospedale.
Per entrambi la leggerezza passa dalla fatica, dallo sforzo fisico che quasi annienta, che fa perdere i sensi e fa piombare in un sonno lungo e mai del tutto ristoratore. Non c’è l’una senza l’altro: l’eccezionalità non è possibile se non passando attraverso il dolore. Ed è forse per questo che tutti e due, in modi diversi ma con la medesima risolutezza, all’eccezionalità rinunciano.
Li ho immaginati impilati uno sull’altro, questi due libri, mentre con fatica mettevo insieme le parole, le frasi, e poi le pagine che componevano i capitoli di Spilli.
Volevo ardentemente fare in modo che la mia storia non riguardasse solo ciò che di grande accadeva alla protagonista (a cui viene diagnosticata una malattia alla vista). Come Mr. Vertigo non parla affatto solo di volo, e Matilde non parla solo di straordinaria intelligenza, Spilli non avrebbe riguardato solo la cecità.
Una storia in cui la disperazione della protagonista sarebbe passata attraverso altro: il suo desiderio di essere come tutti, la forza che ci avrebbe messo per liberarsi da quel mal di testa che la costringe a letto, il rifiuto di essere eccezionale, una supereroina.
Avrebbe messo insieme un passo dopo l’altro, provandoci. E io con lei.
L’AUTRICE E IL LIBRO – Greta Olivo vive e lavora a Roma, dove è nata nel 1993. Spilli (Einaudi) è il suo romanzo d’esordio, e parla di Livia e dei suoi ultimi giorni da persona vedente, nel tentativo di trattenere la luce. Una luce preziosa, fondamentale per affrontare una vita costellata di linee d’ombra. Alcune si superano quasi senza accorgersene, altre invece rimangono lì per sempre, invalicabili, a ricordare la paura.
E se c’è un’età in cui la paura spinge più forte, piena di desiderio, rivoluzioni e soglie da attraversare, è l’adolescenza. Questo vale anche per Livia, che vuole arrivare prima alle gare di atletica, occupare il liceo, andare alle feste, uscire con i ragazzi più grandi: insomma, vuole essere identica alle sue coetanee, e soprattutto vuole essere vista. Ma la sera, quando ogni cosa sprofonda nel buio, a non vedere più niente è proprio lei…
Un punto debole che più che un’opportunità per crescere sembra un vero e proprio ostacolo invalicabile. Per prepararla a ciò che le succederà – e che le sta già succedendo – suo padre ha un’idea coraggiosa: ci sarà pure qualcuno che possa mostrarle i passi di questa danza nuova. Emilio è il tutor del centro che l’accoglie, e a un’occhiata distratta sembra vederci benissimo. Sarà lui a insegnarle a vivere senza guardare. Facendole capire che ogni ora è preziosa, la aiuta a muoversi in quel buio e ad ascoltare i suoni, ma soprattutto le scrolla di dosso la paura. Da qualche parte c’è sempre un punto di luce: basta trovarlo, prendere un bel respiro e fare il primo passo per raggiungerlo.
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Fotografia header: Greta Olivo, nella foto di Pierluca Esposito