“Heartbreaker” di Claudia Dey mescola con coraggio ingredienti potenzialmente esplosivi: anni Ottanta, sette, relazione tra genitori e figli, segreti e tradimenti. La scintilla che innesca il racconto è la fuga di una donna, che apre uno squarcio nelle esistenze di chi le è vicino, non solo della figlia, ma anche del marito, del cane della famiglia e di altri abitanti del distretto – L’approfondimento

Al distretto è ancora il 1985. Isolato dal resto del mondo, e perfino dallo scorrere del tempo, nella natura selvaggia del Canada sorge un villaggio in cui la vita è regolata dalle leggi ferree dettate dal suo fondatore.

Heartbreaker di Claudia Dey (traduzione di Marina Calvaresi) – il primo libro canadese pubblicato dalla casa editrice fiorentina Black Coffee, finora concentrata sulla letteratura a stelle e strisce – mixa con coraggio ingredienti potenzialmente esplosivi: anni Ottanta, sette, relazione tra genitori e figli, segreti, tradimenti

La scintilla che innesca il racconto è la fuga di una donna, Billie Jean Fontaine – da notare come anche i nomi riecheggino un certo gusto rétro. Ce lo racconta sua figlia Pony, che ha sedici anni e non vede l’ora di scappare dal distretto, dove il suo unico destino è quello di trasformarsi presto in una moglie, con un gran numero di figli e un guardaroba di giacconi, tute, calzini di spugna e ciabatte.

Non che per gli uomini ci siano prospettive più floride: l’unica cosa in cui possono sperare è un soprannome insolito per sancire il loro ingresso nel mondo degli adulti. Come racconta Pony: “Nessuno degli uomini si fa chiamare con il nome di battesimo. Forcella, Sexcafé, Verdone Bollente, Dito di Pelo, Pensatore in Bellavista, Tagliola. Piombo. Lascia che ti spieghi una cosetta o due: uomini, donne, bambini, fucili carichi. I cuori si fermano. Cani, furgoni, l’inverno, scopate. I cuori si spezzano”. 

Claudia Dey autrice Heartbreaker

Tra cuori che si fermano e cuori che si spezzano, la vita al distretto è scandita da ben pochi eventi. Inevitabilmente la fuga di Billie Jean apre uno squarcio nelle esistenze di chi le è vicino, non solo della figlia Pony ma anche del marito Piombo, del cane della famiglia e di altri abitanti del distretto tra cui un ragazzo particolarmente amichevole con Pony. 

Il romanzo è diviso in tre sezioni, ognuna narrata da una diversa voce: la ragazza, Pony, il cane e infine il ragazzo. Tramite la struttura tripartita, Claudia Dey catapulta il lettore nella vita del distretto e lo fa adottando il punto di vista di chi vuole lasciarlo, per cercare la propria madre – la ragazza -, di chi conosce la vera ragione della fuga di Billie Jean – il ragazzo e il cane Gena, di chi è al corrente del passato di Billie Jean e del marito Piombo – il cane, di nuovo.

La scelta delle tre voci è riuscita, perché sono quelle di tre figure poco potenti nel distretto – due adolescenti e un cane – che dubitano dei valori su cui si basa la loro società. Ma che sono anche le tre persone che hanno più amato Billie Jean.

Lasciati da parte capelli cotonati e abiti con le spalle gonfie di gommapiuma, il distretto non è un idilliaco set di una soap opera anni Ottanta. Al contrario, si dimostra più simile alla Hawkins di Stranger Things, o alla cittadina senza tempo di Riverdale, dove accanto a look e case squisitamente rétro si compiono atrocità e stranezze.

Dopotutto, il distretto è la sede di un culto nato da un gruppo di fedeli e dal loro leader arrivati a bordo di un autobus. E Dey, oltre ad essere scrittrice, insegnante universitaria e designer, ha anche lavorato come attrice in alcuni film horror canadesi. Non va dimenticato nemmeno il solco scavato nella letteratura canadese da autrici, ormai iconiche, come Margaret Atwood e Miriam Toews.

In Heartbreaker c’è una frase che viene ripetuta due volte, da Billie e da un’altra donna, anche lei madre e moglie. Nella domanda probabilmente risiede il motivo della fuga di Billie e risuona anche il suo passato. E, più in generale, vi si riflette il messaggio del romanzo. “Perché una donna non può essere più di una persona nella vita?

Alla fine del libro viene spontaneo chiedersi chi sia il ruba cuori del titolo. Billie Jean che se ne è andata spezzando il cuore di chi le è vicino? Oppure la consapevolezza del non poter essere più di una sola cosa nel distretto – la moglie, l’uomo definito dal proprio soprannome, la figlia della donna che è fuggita?

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