Te lo porti dietro tutta la vita, il primo amore dell’adolescenza. “Innamorato”, romanzo di Marco Drago, è un viaggio nella memoria di un uomo che quarant’anni dopo fa i conti con un’ossessione…

Te lo porti dietro tutta la vita, il primo amore dell’adolescenza. Si impiglia nella memoria, forte delle dimensioni esagerate che ogni cosa ha, a quell’età.

Lei appare un giorno di primavera del 1982, il primo anno di liceo, compagna dell’altra sezione, e diventa immediatamente l’ossessione dei quindici anni del protagonista, un’entità mitologica con il kway azzurro e gli occhi di Diane Keaton.

Gli anni di scuola passano tra avvistamenti e assilli della mente, pochissime parole scambiate, tantissimi film mentali, fantasie che fanno di lei una presenza costante e insistente. È l’amore dell’adolescenza, una delle tante iniziazioni, le tante prime volte che rimangono scolpite, incancellabili proprio perché hanno il sapore della scoperta: il periodo della fuga dall’infanzia, in cui si mettono in fila pezzi di sé, per costruire qualcosa che non si sa ancora, a colpi di musica, di nutrimento spirituale e culturale, di nuove amicizie, di disubbidienze, di amori totali.

Innamorato di Marco Drago (Bollati Boringhieri) è un viaggio nella memoria di un uomo che quarant’anni dopo fa i conti con un’ossessione, con l’immagine di una ragazza che è stata sua per un po’, e che lui non si è più tolto dalla testa, trasformata in un pensiero quotidiano, familiare, da salutare la mattina, sconosciuto a tutti. Il primo amore di quella lei che sembrava Diane Keaton è una fissazione di cui nessuno sa niente, da visitare per ritrovare un rifugio della mente, e un luogo dove tutto è iniziato, dove si è diventati grandi.

“In questa avventura della memoria che ho intrapreso mi trovo a lavorare a stretto contatto con due pezzi grossi della letteratura: l’amore e il tempo. Potrei fingere nonchalance e dar tutto per scontato, ma sono pezzi grossi per davvero, dopo un po’ esigono fatalmente attenzione, o forse sono io che subisco la loro forza d’attrazione: impossibile negare l’esistenza del loro campo gravitazionale”.

Il giorno in cui lei appare, il mondo del protagonista inizia a ruotare attorno a lei, una ragazzina come tante, ma è lei: il cuore batte più forte quando la corriera del mattino incrocia il suo paese, il cuore perde un battito quando la intravede nei corridoi della scuola, lui invisibile come gli altri, perché a quell’età le coetanee guardano quelli più grandi, i diciottenni con la patente. Ma lui va avanti, un quasi bambino travolto da un innamoramento che è così grande da essere rispettato dai compagni: mai romantico zimbello, perché in lui si riconosce l’eroicità dell’amore, di quella cotta persistente e degna di comprensione, e pertanto è sostenuto, incoraggiato nell’impresa di paziente e devota attesa, che non conosce vergogna perché ha uno scopo più importante di tutto, finché un giorno arriva un bacio e la felicità. Sono gli anni Ottanta, quelli della cultura pop, delle manfrine sdolcinate delle band, dei languori che alimentano l’immaginazione, con quel tessuto new romantic che segna un’intera generazione.

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“Gli anni Ottanta, per quel che mi riguarda, sono gli anni in cui sono stato praticamente sempre innamorato di lei, l’equazione è semplice, fatemi ascoltare una canzonetta pop di quegli anni e mi piovono addosso sensazioni, ricordi, date, luoghi, aneddoti, e sempre legati a lei, alla sua assenza o alla sua presenza”

Passati gli anni, arrivati i cinquantacinque, con la vita che è andata avanti, è l’immaginazione a continuare a tener vivo il fantasma di lei, che non è morta, è viva, moglie di un altro e madre, vive ancora lì vicino, ma è come se non esistesse, è una non-assenza perché ormai ha assunto le fattezze di un’elaborazione romanzesca, è entrata nel soprannaturale, un’ideale femmineo fuso con l’attrice a cui assomiglia, un’ideale sempre presente intatto dopo anni e costantemente alimentato.

Riportando in superficie blocchi di esistenza dal pozzo della memoria, in un gioco di ricordo, sogno e fantasia, Drago racconta non solo l’intensità del primo innamoramento, ma la sua delicata incompletezza: perché l’esperienza dell’adulto gli fa rivivere tutte le inadeguatezze dei non detti, tutte le occasioni perse di farsi capire, tutti quei momenti che avrebbero potuto essere diversi e non sono stati, bloccati dal pudore, dall’inesperienza e dall’incapacità di essere. Rimangono parole inespresse, che fermentano di dentro e fanno vivere nella propria testa qualcosa che non si è vissuto fino in fondo. Forse è proprio questa incompiutezza che rende il primo amore così indelebile, e persistente.

“Quel che resta degli anni dell’adolescenza è in verità tutto, le impronte sul cemento fresco possono scurirsi, possono consumarsi, ma non possono sparire, la pressione che le ha create, una volta che è stata esercitata, non può essere eliminata, non esistono strumenti che riescano a succhiare via il segno di quella pressione, di quel peso che ha determinato la forma e la profondità dell’impronta”.

La storia del primo amore è un lavoro di evocazione ironico e nostalgico che lavora con il tempo per recuperare brandelli di passato da una linea di orizzonte che sembra ancora lì, uguale a se stessa e invece è ormai lontana, e riporta in superficie istanti di vita della provincia piemontese, diventando l’occasione per chiarire non solo il senso di una acerba storia d’amore ma anche il senso di una propria costruzione individuale.

Sono gli anni dell’apparenza, della bufera del consumismo, e non è facile essere giovani nel dilagare dell’esibizionismo. Il protagonista è uno spilungone senza troppe possibilità, e quella che emerge è un’educazione, dunque, non solo sentimentale ma culturale, sociale, che passa dalle letture dei tedeschi e degli americani, alla musica di Frank Zappa. Mentre gli altri comprano la macchina, escono a cena vestiti bene, lui diventa un alternativo, un freak che parla alla radio con un programma di avanguardia, canta nei concerti con una band demenziale reggae, scrive poesie. Si costruisce un’identità, ed è in questo percorso, faticoso come lo è stato per tutti, che inizia ad acquisire la consapevolezza di sé, delle differenze di classe, dei valori stabili e borghesi degli altri, contro i suoi fermenti artistici, si riconosce nel perduto amore di Hans di Opinioni di un clown con una relazione che potrebbe superare tutto e invece no, c’è sempre un antagonista, un Züpfner altoborghese all’orizzonte.

Come il clown di Heinrich Böll, Marco Drago, fa “collezione di attimi”, semplicemente e coraggiosamente, e li riversa in un flusso di confessione, di coscienza, di autoanalisi o autofiction che sulla carta è composto di periodi lunghissimi, tutti d’un fiato: sono quelle parole che, tenute dentro per quarant’anni, escono a ondate, si ripetono e si rincorrono, quasi una liberazione.

Marco Drago, che è un artista eclettico, autore, traduttore e anche conduttore radiofonico, racconta così, con intelligenza, e molta ironia, senza autocommiserazione, la sua storia di amore e tempo. Ogni tanto si ferma per interrogarsi, sull’opportunità di quello che sta facendo, sull’effetto di quei frammenti di monologo amoroso, insinuando anche la possibilità che le ossessioni, se non lasciate in pace, possono rovinarsi, trattandosi di materiale fragilissimo.

In Innamorato leggiamo noi stessi, ritrovandoci, anche noi collezionisti di attimi perché la vita non è altro che una fila ininterrotta di passioni e di insicurezze. Resta, luminosa nel ricordo che attenua i casini e le pene, la memoria della nostra giovinezza, in cui tutto sembrava arduo ma possibile: il tempo delle scoperte e degli amori indimenticabili.

Avere vent’anni è facile come respirare: sembra che tutto sia già successo e che debba ancora succedere, sembra che tutto possa cominciare per non smettere mai. È l’ultima stagione di onnipotenza illusoria che ci viene concessa e va vissuta. Va vissuta tutta. Senza paure”.

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