“In un’epoca in cui tutto è rapido e istantaneo, i protagonisti del mio libro amano in una maniera antica, con un approccio lento, fatto di scambio e condivisione. Questo è un modo di essere particolarmente vicino a me e al mio compagno, ed è anche una delle caratteristiche che amo di più della nostra storia, per questo ho voluto regalarla ai miei personaggi”. In occasione dell’uscita del suo primo romanzo, Camilla Boniardi, in arte Camihawke (1,2 milioni di follower su Instagram) si racconta a ilLibraio.it, parlando di insicurezze, di sindrome dell’impostore e di come gestire il giudizio degli altri: “Sono le persone che ti circondano a fare la differenza. Quando hai accanto qualcuno che ti apprezza per quello che sei, con tutti i tuoi limiti e le tue fragilità, riesci a superare tutto” – L’intervista

Gentile e delicata: non stupisce affatto che Camilla Boniardi, in arte Camihawke, sia seguita da 1,2 milioni di persone su Instagram. Le sue parole sono spontanee e calibrate, mentre ci racconta del suo romanzo d’esordio, Per tutto il resto dei miei sbagli (Mondadori), e ci parla della gioia di veder realizzato un sogno (ilLibraio.it l’ha raggiunta telefonicamente proprio nel giorno del suo debutto).

L’arte della comunicazione Boniardi, content creator classe ’90, l’avrà sicuramente affinata sui social, dove è presente ormai da tempo, ma si intuisce subito che, nonostante il successo e un lavoro che la espone costantemente al pubblico, l’autrice conserva un sguardo puro – seppur consapevole – che ha dato al suo racconto un’impronta genuina e personale. 

Per tutto il resto dei miei giorni Camilla Boniardi

Il suo libro si divora in una notte.
“Di questo sono felice, perché io stessa, quando leggo, ho bisogno di un testo che catturi completamente la mia attenzione e mi faccia andare avanti senza fermarmi. Se interrompo la lettura, a volte succede che abbandono, quindi per me era fondamentale che il romanzo fosse scorrevole e immediato”.

Che effetto fa vederlo pubblicato?
“Sono molto emozionata. È un evento che aspettavo da tanto tempo e adesso mi sento un po’ confusa. Sto provando un mix di emozioni, ma devo dire che sono tutte bellissime. Ogni volta che ti esponi con qualcosa di personale è come se scoprissi il fianco, ti rendi vulnerabile, ma ho ricevuto così tanto affetto che adesso sono più tranquilla”.

Di cosa ha più timore?
“Con il lavoro che faccio ho imparato sulla mia pelle che non si può piacere a tutti. Ovviamente c’è una parte di me che si dispiacerà, perché sotto sotto nutro la speranza di poter regalare un’emozione a chiunque leggerà il libro, ma sono consapevole che questo non è possibile. Però, ecco, ho imparato a tenere a freno la paura grazie alle persone che mi vogliono bene e che mi apprezzano”.

Cosa voleva raccontare più di tutto quando ha deciso di scrivere il romanzo? Da cosa è partita la sua urgenza?
“Quando ho iniziato a scrivere volevo rielaborare alcune emozioni che mi avevano segnato. Ma avevo bisogno di tempo. Non erano cose che volevo o potevo raccontare con la velocità e l’estemporaneità dei social. Sentivo la necessità di cambiare modalità di comunicazione, e soprattutto canale. Per questo ho scelto la carta, perché è un mezzo che ti costringe a prendere del tempo, non solo per scrivere ma anche per leggere”.

Cosa ricorda di più di quest’esperienza di scrittura?
“Sono stati due anni intensi, in cui sono accaduti diversi eventi significativi, alcuni tristi, altri invece gioiosi. Di sicuro il libro è tra questi ultimi. Scriverlo mi ha insegnato a essere più costante, meticolosa, organizzata. Un romanzo ti costringe a dei ritmi precisi, non puoi sottrarti. Per una che, come me, ha una naturale propensione alla procrastinazione, questo è un insegnamento prezioso che la scrittura mi ha lasciato”.

Chi la segue non potrà fare a meno di notare una certa somiglianza tra lei e Marta. Quali sono gli aspetti che la legano di più alla protagonista?
“Sicuramente l’insicurezza e il senso di inadeguatezza. Come Marta, anche io a venticinque anni mi sentivo persa. Di solito non si parla di questa età, ma è molto complessa, perché non hai più tutte le strade davanti come a diciott’anni, però non senti nemmeno di avere una direzione precisa. Sei immerso in una nebbia di incertezza e ti sembra che invece gli altri abbiano le idee più chiare delle tue. Dopo l’università non sapevo quale sarebbe stato il mio percorso. Vivevo in questa sorta contraddizione, perché da un lato avevo la sensazione che il tempo fosse scaduto, dall’altro in realtà ero ancora parecchio giovane”.

Anche Leandro ricorda vagamente Aimone, il suo compagno, che con il personaggio condivide la passione per la musica rock. Quanto c’è della vostra relazione in quella tra Marta e Leandro?
“Entrambi vivono l’amore in una maniera molto antica. In un’epoca in cui tutto è rapido e istantaneo, i protagonisti amano un approccio più lento, fatto di scambio, di condivisione di pensieri, emozioni, stati d’animo. Questo è un modo di essere particolarmente vicino a noi, ed è anche una delle caratteristiche che amo di più della nostra storia, per questo ho voluto regalarla ai miei personaggi”.

Dalle prime pagine del romanzo appare una parola, “impostore”, che poi tornerà in diversi passaggi. Marta soffre di questa sindrome, che la fa sentire costantemente in difetto, inadeguata in tutte le situazioni che vive. Da cosa nasce l’esigenza di raccontare questo disagio?
“Non solo per la mia esperienza personale, ma anche parlando con le mie amiche e conoscenti, ho notato che era una sensazione piuttosto condivisa, quella di non voler essere scoperti nelle proprie debolezze e nelle proprie falle. Si cerca sempre di dimostrare di essere quello che gli altri si aspettano che tu sia. E a volte ci si vergogna perfino ad ammetterlo. Ne ho voluto scrivere come gesto apotropaico, per così dire, come buon auspicio, come sprono per abbracciare la propria natura e non cercare di essere qualcosa di diverso da quello che si è”.

Per Marta è l’incontro con Leandro la chiave di volta. È l’amore che le permette di affrontare le sue insicurezze. Nel suo caso, invece, cosa le ha permesso di superare le sue?
“Sono sicura che siano le persone che ti circondano a fare la differenza. Quando hai accanto qualcuno che ti apprezza per quello che sei, con tutti i tuoi limiti e le tue fragilità, qualcuno che non sottolinea di continuo le tue mancanze, ma che invece esalta le tue peculiarità, riesci a superare tutto. È vero che la costruzione dell’autostima è un percorso personale, ma non si può negare che anche chi ti circonda ha un ruolo importante. Credo che nel mio caso, come in quello di Marta, la scelta di troncare alcuni rami secchi abbia permesso a quelli giusti di nascere e fiorire”.

Nel libro appare questa frase: “Credo che il punto sia il giudizio del resto del mondo, temo che gli altri possano reputarmi triste, una persona sola, senza amici, oppure antipatica e scontrosa, qualcuno che si è meritato quell’abbandono”. Come gestisce la paura del giudizio una persona che, come lei, è spesso esposta?
“In realtà non so rispondere, perché non so se l’ho ancora capito. Con il lavoro che faccio è un esercizio continuo, quello di accettare i pareri di persone che pensano di conoscerti e di sapere tutto della tua vita, quando poi non è così. È sempre difficile riuscire a relazionarsi a questo tipi di giudizi. Cerco di mettere tutto sulla bilancia, dando più peso alle persone che davvero mi conoscono rispetto a quelle che criticano e sparano sentenze senza basi. Non si può mettere tutto in unico calderone, perché questi giudizi non hanno lo stesso peso. Però è un processo lungo, non posso dirti oggi che sono giunta a un punto d’arrivo, continuo a guardarmi intorno a cercare di fare del mio meglio”.

Tornando al libro. Ci sono state scrittrici o scrittori che l’hanno ispirata?
“Da lettrice, amo Diego De Silva, e in parte spero di essere riuscita a trasmettere un po’ della sua ironia nelle mie pagine. Anche se ho scoperto che è davvero difficile far ridere nei libri! Poi di sicuro ho avuto come riferimento Sally Rooney, principalmente per la sua capacità di raccontare personaggi vicini a lei”.

Lei è tante cose, e ha fatto molte cose. E come ci insegna Marta, non è detto che si debba trovare una strada definitiva. Adesso verso quale ambito si sente più predisposta? Ha già progetti per il futuro?
“Sì, ci sono molte cose belle in cantiere a cui sto lavorando. Ma preferisco non anticipare nulla per scaramanzia”.

Un altro libro?
“Per ora non ci penso. Proiettarsi sempre al domani fa un po’ perdere la bellezza dell’oggi. Adesso ho voglia di fermarmi e godermi questo momento, senza riflettere troppo su quello che farò dopo”.

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