Giulia Torelli (Rock ‘N’ Fiocc) ha un profilo Instagram di successo e un libro appena uscito, “La nuova te inizia dall’armadio”, un manuale per mettere ordine nei propri vestiti e nella propria vita. Diviso in capitoli tematici, raccoglie tanti consigli: dal decluttering, ossia l’eliminazione di tutti quegli abiti che teniamo anche se non li indossiamo e non ci fanno stare bene, all’organizzazione dei propri capi, ad alcuni suggerimenti di acquisti per un armadio più etico e modellato in base alle nostre esigenze – L’intervista

Si chiama Giulia Torelli, ma molto probabilmente la conoscete come Rock ‘N’ Fiocc: da Snapchat a Instagram, dall’omonimo blog di moda, beauty e lifestyle, al sito dedicato al suo lavoro di closet organizer, Torelli arriva in libreria con La nuova te inizia dall’armadio (Vallardi, 2021), manuale per mettere ordine nei propri vestiti e, in fondo, nella propria vita.

Come tra le pagine virtuali del suo blog e nelle chiacchierate con le sue follower (tantissime, circa 155mila) su Instagram, Torelli va dritta al punto: dal decluttering (ossia l’eliminazione dei vestiti superflui, quelli che non mettiamo mai ma chissà perché non buttiamo, o quelli che ci stanno proprio malissimo e che ci ostiniamo a indossare), all’organizzazione dell’armadio, alla scelta di quei capi attorno ai quali si può iniziare a costruire il proprio stile.

Dopo aver curiosato in centinaia di armadi, Giulia Torelli affida alla carta consigli e suggerimenti rivolti a tutte coloro che vogliono cominciare a fare ordine nel proprio armadio, eliminare il superfluo e acquistare in modo più etico abbandonando i baccanali del fast-fashion.

Rock and Fiocc, libro

Il 9 aprile alle 18:30 Giulia Torelli, autrice del libro, dialogherà con Jolanda Di Virgilio in diretta Instagram sul profilo @illibraio.it

Partiamo dall’inizio: questo libro è il naturale punto d’arrivo del suo lavoro di influencer e closet organizer. Come nasce la sua passione per il riordino e per la condivisione di consigli e tips?
“Ho iniziato tanti anni fa: nel 2009 ho aperto il blog e ho cominciato a scrivere di moda, di lifestyle, della mia vita e, parallelamente, lavoravo in azienda, nei social media. Nel tempo libero, per divertimento, andavo a casa delle mie amiche a sistemare i loro armadi e fare decluttering, e le aiutavo a scartare quello che non volevano più. Quando poi ho letto il libro di Marie Kondo, Il magico potere del riordino [Vallardi, 2018, ndr], ho capito che potevo trasformarlo in un lavoro, anche grazie al seguito che avevo sui social. Quindi ho aperto un sito dedicato e quello che era una passione è diventato il mio secondo lavoro”.

Nei primi capitoli ribadisce l’importanza del decluttering: che impatto ha effettivamente sulla qualità della vita?
“Dipende da chi ho davanti. Ci sono persone che sono quasi accumulatrici seriali e, quindi, mi chiamano perché non riescono a smettere di comprare e hanno bisogno di me per fare spazio. Altre, invece, mi cercano per un’operazione più catartica: magari sono stufe dei propri vestiti e vogliono cambiare look, dare una svolta al guardaroba, capire meglio cosa comprare. In questo caso le aiuto a fare chiarezza. Specialmente dal lockdown in avanti, le persone hanno avuto un sacco di tempo per stare a casa e, quindi, anche pensare ai vestiti che hanno. Poi, non essendoci proprio occasione di indossarli, tante persone hanno fatto un taglio netto, sia dentro l’armadio, sia come stile di vita, perché si accorgono che hanno bisogno di poche cose per stare bene e che se anche riducono le dimensioni dell’armadio non sentono la necessità di comprare altre cose”.

Si occupa di vari tipi di armadi, dai più disordinati a quelli di clienti che partono già con un’organizzazione più regolare.
“Mi capita di andare in alcune case e trovare (o, in questi mesi, vedere attraverso FaceTime) armadi molto ordinati. Allora penso: ‘E io qui cosa ci faccio? Non c’è nessun problema!’. E invece, andando a fondo, ci si accorge che ci sono sempre capi che non si mettono, ci sono sempre vestiti ‘ricordo’ che stanno lì parcheggiati da anni, o grucce disordinate piene di doppi capi. Quindi un minimo di intervento si fa sempre”.

Nell’organizzazione di un armadio ci sono delle regole che valgono per tutti, oppure ognuno deve imparare ad applicare il proprio standard personale?
“Io applico regole tendenzialmente valide per tutti: divido i vestiti per stagione, per categoria (quindi camicie con camicie, pantaloni con pantaloni…) e, se la cliente è d’accordo, anche per colore. Però ognuno ha le sue regole, c’è chi preferisce tenere estate e inverno insieme, chi piega, chi appende. Io consiglio sempre il mio metodo, ma rispetto chi ho davanti”.

Spesso capita di vestirsi con abiti che non si amano davvero, per una sorta di imperativo categorico, un ‘si deve’. Da dove deriva questa forma mentis?
“In parte dai genitori. Tante ragazze, soprattutto giovani, mi dicono: ‘Ho il vestito nero perché mia madre mi ha detto che bisogna averlo’, oppure ‘Ho la camicia bianca perché mi hanno detto che bisogna averla’. E, secondo me, è anche un po’ colpa dei programmi tv e soprattutto dei libri che andavano di moda negli anni 2000, con quelle lunghe liste di vestiti da avere assolutamente. Mi ricordo che all’epoca avevo letto un libro, mi sembra forse di Nina García [Fashion Director di Elle e Marie Claire, ndr] interamente dedicato ai capi da avere: il trench, la camicia bianca, il tubino nero… In realtà questi stereotipi, queste ‘regole non scritte’, sono quelle che la gente rispetta più malvolentieri perché riguardano sempre capi che poi magari non vengono davvero indossati o apprezzati. Come la giacca di jeans: un sacco di gente mi dice che ce l’ha ma non la mette mai, però la tiene lì perché chissà chi ha detto che bisogna averla”.

Nel lungo capitolo dedicato ai materiali esordisce sottolineando quanto sia comune che le persone comprino senza leggere le etichette. Quali sono i rischi di uno shopping poco attento?
“Ci sono persone che non leggono le etichette, o perché non sanno di doverlo fare, o perché semplicemente non sono molto interessate a questi aspetti. Il rischio è principalmente estetico: se uno indossa materiali brutti un occhio esperto, ma anche un occhio meno esperto, lo vede. La camicetta di poliestere da 20 euro si riconosce subito rispetto a una camicia di un materiale migliore. Sono sensibile ai tessuti anche come ‘touch and feel’: certi materiali, come il poliestere o la lana mista, mi danno proprio fastidio al tocco. Quando vedo una camicetta in poliestere dico alle clienti: ‘È carina, ma non ti fa sudare?’. E loro immancabilmente mi rispondono che, in effetti, ogni volta che la indossano, sudano. E alla fine della giornata vengono sempre scartate le cose un po’ più cheap”.

Un altro punto importante riguarda il fast fashion, che dovrebbe essere quanto possibile evitato. Dalla sua esperienza a che punto siamo?
“C’è stato un notevole cambiamento, soprattutto nell’ultimo anno: le persone sono più attente a quello che comprano e le ragazze giovani mi chiedono di fornire loro alternative più sostenibili.  E non solo cercano di non comprare più questo tipo di abbigliamento, ma sono anche gli unici capi che durante il decluttering scartiamo sempre. Mi sono resa conto che in qualsiasi armadio, sia di ragazze sia di signore, senza farlo apposta i primi capi a venire eliminati perché meno sfruttati quotidianamente sono comunque quelli del fast fashion. E a quel punto le persone se ne accorgono e li comprano meno”.

E c’è, di riflesso, un’attenzione maggiore per vintage e seconda mano?
“Sì, c’è più attenzione. Le ragazze si sono ‘educate’ a comprare di seconda mano un po’ attraverso i social, un po’ per interesse personale, un po’ grazie al passaparola: quest’anno se n’è parlato tanto e sembra che il messaggio sia stato recepito. Le mie clienti, seguendo i miei consigli, hanno cercato specialmente jeans vintage, però c’è stata anche tanta attenzione per camicie, giacche, o cappotti”.

Nel capitolo dedicato all’unicità di ogni armadio, racconta i profili di alcune persone incontrate in questi anni e scrive: ‘Ogni seduta è un entrare in punta di piedi nella vita della persona in questione’. I vestiti, come gli oggetti, raccontano una storia.
“Dentro gli armadi ci sono un sacco di cose: con i vestiti arrivano anche i ricordi. Ci sono abiti usati per occasioni speciali, i vestiti degli ex, quelli che ci hanno regalato i genitori. Le ragazze, mano a mano che li scorriamo, mi raccontano da dove vengono: ‘Questo è di quando mi sono laureata, questo di quando ho conosciuto mio marito…’. Quindi si finisce sempre con il parlare di vita privata e alla fine del lavoro ho fatto una sorta di recap della vita della persona: se è laureata, se è fidanzata, che interessi ha, cosa fa… Perché ci sono i vestiti sportivi, quelli per eventi particolari, quindi capisci se una persona esce tanto, se ha un lavoro importante, se viaggia molto. Insomma, la parte psicologica è importante e tra l’altro ci sono quegli abiti a cui si è affezionati anche se non si usano più, quindi le clienti mi spiegano perché non li possono buttare. Io, poi, sono una chiacchierona, quindi alla fine mi raccontano sempre tanto di loro”.

Si parla anche dell’importanza di avere uno stile che ci rappresenti: perché è importante?
“Più che importante, è un’esigenza che sia le mie clienti, sia le mie follower, esternano ed è un tema su cui mi fanno spesso domande, per questo ho voluto toccarlo anche nel libro. Credo che, soprattutto nell’ultimo anno, le persone abbiano fatto molto decluttering e avendo avuto più tempo di stare a casa, ne abbiano passato anche di più sui social e prestato maggiore attenzione alla moda. Ma una moda diversa, che non è più quella da ‘compro la prima cosa che vedo nel negozio in cui entro in pausa pranzo’ ma è quella del ‘mi serve veramente? Mi interessa veramente? Mi rappresenta veramente?’. Da qui il discorso sullo stile personale: perché si ama un determinato capo? Perché ci rappresenta, o perché racconta qualcosa di noi, oppure perché può aiutarci a spiegare qualcosa di noi che non riusciamo a esprimere? Anche per questo motivo nel mio lavoro, al  decluttering, si è aggiunta anche la consulenza di stile”.

Se dovesse indicare un’unica cosa da tenere a mente nella ricerca del proprio stile, quale sarebbe?
“Dare un unico consiglio è impossibile. Un punto di partenza, però, può essere pensare a un capo che ci rappresenti da cui partire e poi costruire uno stile attorno a quello. Per me, per esempio, è il jeans, per altre può essere il cappotto, lo stivale, il maglione: trova il tuo pezzo caratteristico e poi pensa a tutto il resto”.

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