“Tuttora non ho consapevolezza di quello che desidero davvero e di quello che voglio perché imposto da modelli esterni. Ma ci sono cose che non mi fanno più impressione come una volta. I capelli bianchi. I peli. Uscire senza trucco. Da qui a dire che mi sento libera dai condizionamenti no, per niente. Anzi, credo che peggiorerà quando inizierò a invecchiare, quando vedrò il mio corpo diventare un corpo che alla società fa schifo”. In occasione dell’uscita del libro “Campo di battaglia”, ilLibraio.it ha intervistato Carolina Capria, autrice e ideatrice del progetto digitale “L’ha scritto una femmina”. Tanti i temi toccati durante la conversazione, dalla bellezza alla vecchiaia, passando per le insicurezze personali, la letteratura e l’attualità

Esiste un’usanza, forse non troppo diffusa, che prevede di schiaffeggiare una ragazza nel giorno del menarca. È uno schiaffo leggero, bonario, dato per gioco, di solito da una madre o da una nonna, o comunque da una qualsiasi figura femminile adulta e di riferimento. Quello, dicono, dovrebbe essere lo schiaffo che non riceverai il giorno in cui perderai la verginità. Una pena anticipata per quello che farai. Per l’errore che commetterai. Si tratta soltanto una tradizione, nel maggiore dei casi portata avanti  senza cattiveria o consapevolezza, perpetuando uno schema che si ripete identico nel tempo.

Esistono poi anche altre consuetudini legate al menarca, magari visivamente meno forti di quella sopra citata, ma comunque di un certo impatto. Come l’allegra smania di contattare tutti i parenti per comunicare il grande evento, il febbrile entusiasmo collettivo di fronte alla dichiarazione di essere appena “diventata signorina“, oppure semplicemente l’augurio, spesso accompagnato da un regalo, come una bustina di soldi o un pensiero simbolico.

Si tratta, insomma, di un vero e proprio avvenimento, non solo per la persona che lo vive sulla propria pelle, ma anche per chi le sta attorno. È come se l’arrivo della prima mestruazione lanciasse un messaggio forte e chiaro, come se rappresentasse un momento di snodo, dopo il quale tutto sarà diverso.

È proprio da questo evento, infatti, che inizia Campo di battaglia (effequ) di Carolina Capria, un saggio che racconta il corpo delle donne e il suo ruolo nella società, attraverso riferimenti storici, sociologici, letterari ed esperienze personali. L’autrice – che ha firmato diversi libri, tra cui La circonferenza di una nuvola (HarperCollins Italia), e che nel 2018 ha ideato la pagina Facebook L’ha scritto una femmina – ricorda il ciclo come una profonda presa di coscienza, in cui si accorge di avere un corpo che non le appartiene davvero, perché considerato oggetto della società in cui vive.

Il mio corpo ha cominciato a esistere con il menarca. Prima di allora sapevo di averne uno, ma essendo bianca e abile nessuno si era mai soffermato a osservarlo, era un corpo invisibile, e di conseguenza io non avevo mai preso in considerazione che esistesse anche al di fuori della mia percezione. Ero una bambina graziosa, magra, ubbidiente ed era normale che passassi inosservata. Fino a quando, una mattina d’autunno, non è arrivato il sangue“.

Questo è solo l’avvio di una dissertazione che tocca svariati temi legati alla fisicità, dalla bellezza alla vecchiaia, passando per i disturbi alimentari e per gli stereotipi imposti dai media: un testo di natura divulgativa che decide di parlare ai lettori e alle lettrici attraverso parole intime, confidenziali e precise; con un tono amichevole che si diverte ad attingere anche a un immaginario pop, proprio per riuscire ad arrivare nel modo più diretto e chiaro possibile: “Sono abituata a scrivere per bambini, quindi per me è naturale cercare sempre di farmi capire. Lavoro molto sul linguaggio e sullo stile, perché alcune cose che per me sono scontate potrebbero non esserlo per tutti”, racconta Capria intervistata da ilLibraio.it. “Inoltre mi piace mescolare e contaminare diversi elementi. Saggi sul femminismo e teen drama, romanzi classici e soap televisive. Sono convinta che quando si parla di corpo sia impossibile generalizzare. Bisogna necessariamente partire da se stessi. E io sono partita proprio da me. Ho messo dentro questo lavoro le esperienze che ho fatto, i libri che ho letto e anche il contesto in cui sono cresciuta”.

campo di battaglia

Il recente episodio che ha coinvolto la giornalista Greta Beccaglia, palpata da un tifoso mentre lavorava, ci porta a uno dei temi più importanti del suo libro: il fatto che il nostro corpo non ci appartiene veramente, ma appartiene alla società in cui viviamo. C’è un’immagine, o un evento, che secondo lei riesce a rappresentare questo concetto?
Il caso di Beccaglia rappresenta perfettamente come il corpo di una donna venga ritenuto oggetto di dominio pubblico, soltanto perché presente in uno spazio pubblico. Ma, al di là di questo episodio, è un evento che accade di continuo, ogni giorno. Per esempio, questa mattina, mentre passeggiavo, un uomo si è avvicinato e mi ha chiesto ‘perché non mi saluti?’. E io ho risposto ‘perché dovrei?’. Lui mi ha detto che ‘le ragazze belle e gentili salutano sempre’. Sembra un’affermazione di poco valore, ma in realtà noi donne con queste frasi ci cresciamo. Cresciamo con la consapevolezza che il nostro corpo sarà materia di discussione, di dibattito, di interesse altrui. Anche il fatto che si parli di aborto e di obiezione di coscienza – spesso nemmeno coinvolgendo le donne – ci dà un segnale importante di come il corpo femminile debba essere rivendicato”.

Quando parla del suo corpo, pur considerando diverse problematiche sociali e personali, specifica sempre di essere una privilegiata, in quanto bianca e abile. 
“Certo. Non ho mai avuto un buon rapporto con la mia fisicità, ma sarei disonesta se non considerassi che vivo in un corpo conforme per la società. Posso essere infelice, posso stare male, posso non piacermi, ma non vivo discriminazioni. E questo lo vedo chiaramente sulle persone che invece queste discriminazioni le vivono eccome. Basta essere di una taglia che la società non ritiene giusta per fare fatica semplicemente a fare un giro in un luogo pubblico. Anche quando si parla di questo libro, è necessario sottolineare che la mia è una voce parziale e non universale. Devo tenere conto della mia condizione, della mia formazione e della mia provenienza. Se non facciamo i conti con quello che siamo non possiamo accorgerci delle ingiustizie intorno a noi”.

C’è poi un lungo discorso dedicato alla vecchiaia, un tema di cui si parla ancora poco rispetto ad altri, come la body acceptance, o il fatto che spesso le donne per essere piacenti debbano per forza soffrire.
“Se ne parla poco perché la vecchiaia in generale è un tema che non genera interesse. I vecchi non esistono. Le donne vecchie, poi, ancora di più: scompaiono. E se non lo fanno vengono aspramente criticate, schernite, giudicate. Sarà che forse in questo momento sto entrando in una nuova fase della vita, ma sento il bisogno di parlarne perché credo che l’invecchiamento sia sentito come limite. Io stessa nel libro racconto di essermi sentita parecchio in difficoltà all’idea di tingermi i capelli di rosa”.

Come mai?
“Mi sentivo fuori contesto. Mi dicevo ‘ma che ci faccio io, alla mia età, con i capelli colorati?’. Siamo molto condizionate e a volte nemmeno riusciamo a realizzarlo”.

Sempre parlando di aspetto fisico e di tempo, c’è un altro punto che colpisce: ovvero che l’ossessione per il corpo si è intensificata negli ultimi anni. Trattamenti estetici, chirurgia, miglioramenti di ogni tipo. Adesso ci sono tanti accorgimenti da mettere in atto per essere ‘più belle’, e lei ipotizza un futuro in cui ci saranno ancora più possibilità di perfezionamento. Sembra paradossale, in un mondo in cui invece si parla con maggiore consapevolezza di questi temi.
“La bellezza prende sempre più spazio, perché cresce in modo esponenziale la possibilità di essere più belle. Oggi ci sono molte possibilità che un tempo non c’erano, e averle a portata di mano cambia sicuramente le carte in tavola. È dura non desiderare qualcosa che c’è e che ci potrebbe far sentire molto bene. Perché non metto in dubbio che ci si possa sentire bene con un trattamento, o con sottoponendosi a un intervento di chirurgia. Ognuna però dovrebbe porre il proprio limite, perché la società non smetterà mai di instillarci insicurezze”.

E lei, è riuscita in qualche modo a liberarsi?
“Tuttora non ho consapevolezza di quello che desidero davvero e di quello che voglio perché imposto da modelli esterni. Ma ci sono cose che non mi fanno più impressione come una volta”.

Ad esempio quali?
“I capelli bianchi. I peli. Uscire senza trucco. Da qui a dire che mi sento libera dai condizionamenti no, per niente. Anzi, credo che le cose diventeranno sempre più difficili quando invecchierò, quando vedrò il mio corpo diventare un corpo che alla società fa schifo”.

E dunque?
“Da un lato non voglio cambiare, ho un moto di orgoglio interiore che mi porta a non sentirmi sbagliata. Dall’altra parte è difficile non cedere al desiderio di aggiustarsi. L’importante è porsi delle domande”.

Un capitolo si intitola #tuttimaschi. Ma parlando invece del suo progetto digitale, nato per diffondere e far conoscere la scrittura di donne, pensa che ci siano stati dei miglioramenti negli ultimi anni?
“Sinceramente non lo so dire con precisione. Mi sembra, però, che ci sia stato qualche miglioramento. Io frequento molto le scuole, e L’ha scritto una femmina nasce proprio dal fatto che i bambini, quando parlavo di un libro di un’autrice, dicevano ‘l’ha scritto una femmina, non lo voglio leggere’. Negli ultimi anni è un’obiezione che sento di meno, c’è ancora qualche resistenza ovviamente, ma non come prima. Così come noto con piacere che c’è più disponibilità a immedesimarsi in personaggi femminili, e questa è una cosa che fa la differenza”.

Perché?
“Quando gli uomini inizieranno a immedesimarsi nel femminile, a riconoscersi nel femminile, sarà l’inizio di un grande cambiamento. Perché quello che siamo non può essere limitato solo a quello che siamo biologicamente”.

Un’altra cosa: c’è un passaggio in cui parla del modello narrativo di donna, presentata sempre come ingenua, buona e un po’ pasticciona. Quali sono invece i personaggi femminili che ha più apprezzato?
“Tra quelli del passato Sylvia Plath, Jane Eyre, senza parlare delle protagoniste di Piccole donne. Oggi sono rimasta colpita da eroine delle serie tv come Midge Maisel e Fleabag, modelli di donne non perfette, che a volte sbagliano e fanno schifo. Ecco, credo che questa sia una cosa di cui ci dobbiamo riappropriare: essere insopportabili e indigeste”.

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