“Dico sempre che non sono io a scrivere le poesie ma sono loro che mi vengono a trovare. Nel momento della scrittura il mio corpo è il tramite attraverso cui la poesia si palesa”. In occasione dell’uscita della raccolta di versi “La signorina nessuno”, ilLibraio.it ha intervistato Giorgia Soleri, modella, attivista e portavoce di battaglie legate al corpo femminile, in particolare endometriosi e vulvodinia. Con l’autrice (seguita su Instagram da oltre 600mila follower) abbiamo parlato di libri e di scrittura, ma anche di depressione, di dipendenza, di legami, di amore e del sentirsi esposti: “Se c’è una cosa che ho imparato durante la terapia, è che non bisogna giudicare le proprie emozioni. Le emozioni sono, e basta. Questo libro è, e basta”

È passato qualche anno dal caso editoriale degli Instagrampoet. Sul social spopolavano versi accompagnati da illustrazioni evocative e minimal. Era stata Rupi Kaur la capostipite di questa corrente, che aveva poi conquistato autrici e autori di ogni età, dando vita a una generosa serie di pubblicazioni dello stesso genere.

Eppure non si può dire che La signorina nessuno (Vallardi) di Giorgia Soleri rientri in quel filone: “La pagina Instagram è nata nel 2018, quindi nel pieno boom degli Instapoet, ma non mi sono mai sentita vicino a quel mondo”, racconta a ilLibraio.it l’autrice (milanese d’origine e romana d’adozione), 26 anni, attivista e modella. “Ogni poesia che scrivo mi avvicina alla morte, ho scritto in uno dei miei componimenti. Non sarei mai riuscita a pubblicare con un ritmo serrato tutte quelle poesie. Non volevo avere l’ansia di dover curare un profilo con costanza e assiduità. Mi sento un po’ all’antica in questo, anche se ai social devo molto“.

Fugge le etichette e dalle classificazioni Soleri, non ha paura di esporsi e di far sentire la propria voce. È anche per questo che oggi è un punto di riferimento per le battaglie legate al corpo femminile, in particolare endometriosi e vulvodinia, sindromi per cui ha presentato alle Camere un disegno di legge affinché le due patologie siano inserite nei LEA, i Livelli Essenziali di assistenza del Sistema sanitario nazionale.

Di corpi, di sofferenza, di abbandono parla la sua raccolta (in cui le pagine alternano poesia, prosa e illustrazioni firmate da Emma Passarella “è la mia migliore amica dall’asilo, siamo cresciute insieme”), ma non solo: anche di tenerezza, di contatto, di riscoperta di sé, di amore e sesso. Così, nel buio dell’abisso si intravedono piccole stelle di luce bianca, tra le quali si scorge, come in copertina, un abbraccio invisibile.

La signorina nessuno

Partiamo dall’inizio. Com’è nata la sua passione per la poesia?
“Ho iniziato a scrivere poesie nel 2006, avevo dieci anni. Andavo in quinta elementare. Non saprei nemmeno descrivere come e perché, è stata un’esigenza spontanea, molto ingenua e inconsapevole”.

Era una grande lettrice?
“Mi è sempre piaciuto molto leggere. Ma più che altro romanzi, la poesia l’ho scoperta dopo”.

Come?
“Uno dei primi ricordi legati alla poesia riguarda un libro di Andrea Melis. Mi sono innamorata del suo modo di scrivere, così ho deciso di iniziare a seguirlo su Instagram, per fargli sapere quanto mi piacessero le sue poesie. Ma leggevo già poete e poeti come Kaur e Arminio”.

E quando ha iniziato a seguirlo, cosa le ha detto Melis?
“‘Come ci è finita una modella da 20mila follower a seguire un poeta sconosciuto come me?’. Gli ho raccontato che amavo la poesia e, dopo un po’, gliene ho fatto leggere qualcuna. A dire il vero, prima di quel momento, non avevo mai condiviso con nessuno quello che scrivevo”.

Per timore?
“In realtà no. La consideravo solo una cosa estremamente personale”.

E poi?
“Sono passati tre giorni di silenzio”.

Finché?
“Finché non mi ha chiamato dicendomi che ero ‘la nuova Alda Merini’. Mi ha spronato a pubblicare a tutti i costi. Io ero un po’ scettica, non volevo. Ma la sua reazione ha seminato in me un’idea, che poi lentamente è cresciuta. Così nel 2018 è nata La signorina Nessuno“.

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Chi è questa Signorina Nessuno?
“Io dico sempre che la Signorina Nessuno è tutti e nessuno. E che comunque lo siamo stati tutti, almeno una volta nella vita”.

Un po’ criptica. Può svelarci qualcosa di più?
“Mi piace definirla come la mia crisalide. Per un periodo è stato il mio modo per astrarmi da quello che provavo e per comprenderlo meglio. La Signorina Nessuno non è Giorgia, è un’esterna. Non ha nome, non ha viso, non è nessuno. La porto nel cuore perché è stata una parte importantissima di me. Ed è per questo che la ringrazio, e la ringrazierò sempre”.

Si potrebbe dire che è una sorta di suo alterego. Un modo per nascondersi?
“Sì, è nata così, in un momento in cui la relazione tra me e Damiano [David, frontman dei Måneskin, ndr] era ancora riservata e doveva rimanere tale. Ma poi si è presa tanto, si è presa spazio, ha creato nuove dimensioni, ha fatto un percorso tutto suo, proprio come se fosse una personalità a sé”.

A proposito di percorso, il libro è strutturato come una sorta di viaggio che parte dalla dipendenza, passa per la perdita, per la carne e arriva alla liberazione.
“Di fatto la struttura rispecchia il mio percorso personale. Nella vita ho attraversato momenti di dipendenza, di bisogno malsano di legami. Poi ho vissuto una perdita, e di conseguenza una fase di abisso”.

Ce ne vuole parlare?
“Nel 2017 ho sofferto di una depressione molto forte, ma poi ne sono uscita. La sezione Carne rispecchia il momento in cui ho riscoperto la fisicità e la sessualità, il rapporto con il mio corpo e con quello dell’altro. Molto spesso sembra che il legame sia quasi una zavorra, mentre quello che volevo che emergesse è che la liberazione avviene sì, attraverso una evoluzione di sé, ma principalmente attraverso gli altri, attraverso l’amore – ma l’amore in senso lato, non per forza l’amore romantico”.

Parliamo sempre di corpi.
“Ho avuto un rapporto di amore e odio con il mio corpo. Attraverso il dolore però è come se l’avessi riscoperto come strumento di esperienza sensoriale per stare nel mondo. Lo considero come un tempio sacro. Non ho ancora imparato ad amarlo e rispettarlo del tutto, ma cerco sempre di ascoltarlo”.

Questo libro ha avuto in qualche modo un valore terapeutico?
“La scrittura è sempre un atto catartico. Di certo la maggior parte di queste poesie sono state scritte con urgenza, nel senso vero del termine. Sono nate praticamente già fatte, raramente le ho rilavorate. Sono state un modo per vedere dall’esterno il mio dolore. Metterlo nero su bianco mi ha permesso di scorgerne i contorni, di dargli corpo, di riconoscerlo”.

Cosa significa scrivere poesia, per lei.
“Dico sempre che non sono io a scrivere le poesie ma sono loro che mi vengono a trovare. Nel momento della scrittura il mio corpo è il tramite attraverso cui la poesia si palesa”.

Colpisce molto la dedica: A mia madre, che avrebbe sempre voluto scrivere un libro di poesie e a mio padre che non ne ha mai letta una.
“La dedica si presta a più interpretazioni. Può raccontare come una coppia che non aveva niente in comune, alla fine, sia riuscita a trovare qualcosa che li legasse. O può rappresentare anche qualcosa che mi avvicina a mia madre, e che invece mi allontana da mio padre. In ogni caso, sono quello che sono per le esperienze che ho vissuto, anche quelle più dolorose. Era importante che il mio primo libro fosse dedicato a entrambi”.

Lei è abituata a condividere e ad esporsi. Eppure, non c’è niente di più intimo e personale di una raccolta di versi. Come la vive?
“Alla fine le persone parleranno sempre, ma ciò che ho scritto nel libro è quello che ho vissuto e provato. E se c’è una cosa che ho imparato durante la terapia, è che non bisogna giudicare le proprie emozioni. Le emozioni sono, e basta. Questo libro è, e basta”.

Chiudiamo con una domanda sui libri. Quali sono quelli che ha amato di più?
“Da ragazzina ho divorato tutti i libri di Murakami e Baricco”.

E poi?
“Poi, come ho detto, ho scoperto le poesie di Franco Arminio e Rupi Kaur, e me ne sono innamorata. E così anche quelle di Antonia Pozzi, di Mariangela Gualtieri, Patrizia Cavalli Chandra Livia Candiani. In generale potrei fare cose folli per un libro di poesie”.

Ce ne racconti una.
“Una volta mi ero imbattuta nei versi di questa poeta, Joumana Haddad, e volevo assolutamente leggere il suo libro. Ma non era più in commercio, quindi ho provato a contattare la traduttrice per sapere se ne aveva conservato una copia, ma niente. Così sono riuscita a risalire a chi l’aveva presentato tempo prima e farmelo inviare per posta. Ma il libro si era smarrito nell’invio e sembrava impossibile poterlo avere”.

E alla fine?
“Ce l’ho fatta, sono riuscita a trovarlo. Si chiama Adrenalina, ed è davvero magico”.

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