“Non ho ancora chiaro come questo periodo mi abbia cambiato, e credo di aver bisogno di altro tempo per rendermene conto. Di sicuro, il fatto di essere stato, come tutti, più in contatto con il pensiero della morte, il grande rimosso della nostra epoca, avrà degli effetti. Spero che saranno anche positivi”. In occasione dell’uscita del libro “L’avventura”, ilLibraio.it ha intervistato il cantautore Giovanni Truppi per parlare di scrittura, di vita, della pandemia e del futuro della musica. Riguardo al rapporto con i social, invece, l’artista spiega: “Mi ricordano la piazza vicino al mio liceo dove si ritrovavano tutti i ragazzi e dove per me, abbastanza timido, era complicato ritagliarmi un posto che sentissi mio”

Prima di partire per un viaggio, è tappa d’obbligo comporre una playlist. Una carrellata di canzoni che ci terrà compagnia quando attraverseremo le strade, mentre accarezzeremo l’aria con la mano fuori dal finestrino, o quando, sfiniti, ci butteremo sul letto a guardare le foto che abbiamo scattato. È necessario avere una colonna sonora di quell’esperienza, la melodia che ci ricorderà per sempre quello che abbiamo vissuto.

Giovanni Truppi, cantautore napoletano classe ’81, che nel 2019 ha ricevuto al MEI il premio PIMI come miglior artista indipendente dell’anno, ha deciso di fare l’inverso. In un viaggio che si srotolava attraverso i suoni delle sue canzoni, ha deciso di immortalare quei momenti attraverso la scrittura.

Ne è nato il suo primo libro, L’avventura (La Nave di Teseo), che è un racconto di viaggio, ma anche un diario intimo, una fotografia dell’Italia e una lettera colma d’affetto nei confronti di chi vive il mondo della musica: per chi ci lavora, ma anche per chi lo ama.

Dopo un anno che aveva messo in ginocchio il settore dello spettacolo, tra la fine di luglio e l’inizio di settembre del 2020, Truppi ha caricato il suo pianoforte smontabile su un camper ed è partito per una manciata di concerti. Con i suoi due compagni di viaggio, Giovanni Pallotti e Daniele Del Plavignano, ha percorso l’intero perimetro della costa italiana, immergendosi ogni giorno dentro un paesaggio impercettibile o in chiassoso mutamento.

Con uno stile che non può non ricordare quello delle sue canzoni – parole della quotidianità, scarne, ma essenzialmente luminose e sorprendenti – l’artista ci fa immergere in quaranta giorni in cui i sentimenti dominanti sono la bellezza, lo stupore ma anche, e soprattutto, la nostalgia per un presente che corre via, per quello che è stato e per quello che non vivremo più: “Mi accompagna nel sonno un pensiero che fino a qualche anno fa non avevo mai e ora ho sempre più spesso: ‘Non avrò altre occasioni, nel corso della mia esistenza, di vivere di nuovo quello che sto vivendo oggi‘”.

ilLibraio.it ha intervistato Giovanni Truppi per farsi raccontare questa avventura.

copertina del libro l'avventura di Giovanni truppi

Truppi, questo è il suo primo libro, ma lei scrive per la musica già da diverso tempo. In un’intervista ha anche dichiarato che “i romanzi sono stati un amore gigante, maggiore della musica, perché sono i miei primi amori”. Qual è il suo rapporto con la scrittura e come è cambiato con questa nuova esperienza?
“Quando andavo a scuola il compito in classe di italiano era di gran lunga l’appuntamento preferito e, confermo, i romanzi sono stati il mio primo grande amore. Tuttavia, salvo alcuni esperimenti iniziali, il rapporto con la creatività è sempre rimasto nel perimetro della forma canzone”.

Come l’ha capito?
“In questi anni, confrontandomi con i colleghi o approfondendo l’opera di autori che amo, mi sono reso conto che il modo in cui lavoro il più delle volte su un brano, partendo dal testo piuttosto che da un’idea musicale, non è una pratica diffusa quanto credevo, e probabilmente è un indicatore di quanto sia stretto il mio rapporto con la scrittura ‘pura’: non ho mai pensato di fare un uso diverso delle mie parole, anche nei casi in cui la musica alla fine non arriva mai. Sarebbe interessante accorgersi che l’esperienza di questo libro abbia aperto in me un nuovo canale di comunicazione ma, almeno per ora, mi sembra che non sia così e, anzi, che si sia precisata in me la consapevolezza che le due vie – quella delle canzoni e quella dei libri – sono molto diverse, a cominciare dai mezzi tecnici necessari per percorrerle”.

In Avventura ha deciso di raccontare il suo tour lungo tutta la costa italiana, tra il luglio e l’inizio di settembre 2020, subito dopo la prima ondata della pandemia. Come ha vissuto quella “situazione di difficoltà” (da musicista, con i concerti vietati) e in che modo ha cambiato la sua arte?
“Rispetto a molti miei colleghi sono stato fortunato: la pandemia è arrivata quando ero alla fine di un lungo tour e, tranne che per alcuni concerti legati all’uscita di Cinque – un libro di storie a fumetti legate al mio ultimo disco -,  mi aspettava un periodo di pausa. Inoltre il fatto di lavorare al libro è stato un modo per dribblare la scrittura delle canzoni in un momento in cui non sarebbe stato per niente facile guardarsi dentro”.

Come mai?
“Non ho ancora chiaro come questo periodo mi abbia cambiato e credo di aver bisogno di altro tempo per rendermene conto. Di sicuro il fatto di essere stato, come tutti, più in contatto con il pensiero della morte, il grande rimosso della nostra epoca, avrà degli effetti. Spero che saranno anche positivi”.

Quando ha deciso di dedicarsi al racconto di questo viaggio, qual era il suo obiettivo?
“L’obiettivo era quello che quasi sempre mi spinge alla scrittura, e cioè immortalare qualcosa. Può essere un pensiero, un avvenimento, un’emozione, una persona. In questo caso, nel mio piccolo, volevo fare una fotografia all’Italia”.

Quello che colpisce di più della sua scrittura è uno sguardo preciso, delicato e sorprendente sul mondo. Eppure nel prologo di Avventura si legge questa frase: “Ho cercato di fare una cosa in cui difficilmente riesco in condizioni normali, e cioè immergermi nei posti e nei momenti in cui mi trovavo, e osservarli”. Cosa intendeva?
“È una cosa di cui mi sono reso conto solo alla fine del viaggio: il fatto di volerne fare un racconto ha alzato il mio livello di attenzione quotidiano su quello che accadeva e mi ha portato a vivere più del solito nel presente, mentre invece il mio pensiero è molto spesso rivolto al futuro o al passato (o, ancora peggio, al cellulare). Questa percezione ‘aumentata’ della realtà, che poi sarebbe quella normale, è la cosa più importante che porto con me da quelle settimane e, anche se conosco poco l’argomento, è quanto di più vicino alla meditazione sia riuscito a fare”.

Ci spieghi meglio.
“Pur essendo già abituato a osservare e descrivere c’è stata, in questo caso, una differenza sostanziale rispetto a quando lavoro alle canzoni, che consiste nella direzione del mio sguardo: rivolto all’esterno piuttosto che dentro di me, e fermo su un punto invece che trasversale e in movimento”.

La sua arte è del tutto singolare e difficilmente incasellabile. Se dovesse scegliere una parola per definirla, quale sarebbe?
“Vita”.

Il primo post del suo profilo Instagram risale al 1° luglio di quest’anno. In generale non sembra esporsi molto sui social, che invece oggi vengono visti (anche in ambito musicale) come uno strumento fondamentale per far conoscere il proprio lavoro. Come mai questa scelta?
“Ho molta difficoltà a trovare un modo di stare sui social che mi faccia sentire a mio agio. Ancora prima di arrivare a considerazioni più articolate su quanto di bene e di male facciano, i social mi ricordano la piazza vicino al mio liceo dove si ritrovavano tutti i ragazzi e dove per me, abbastanza timido, era complicato ritagliarmi un posto che sentissi mio essendo il contesto inevitabilmente legato alla velocità e all’apparenza”.

E come si comportava?
“Mi sforzavo di farlo allora, ancora di più oggi che sono un po’ meno timido, in più mi sembra che sia indispensabile per il mio lavoro e cerco di trovare un modo per stare nella piazza. Ad esempio il fatto che non ci siano post precedenti al 1° luglio, giorno dell’uscita del libro, è legato all’idea di dedicare questo mese solo alle foto di questo viaggio, che sto condividendo per gruppi tematici a intervalli regolari dopo aver temporaneamente archiviato le immagini precedenti”.

Quali sono gli artisti che, in questo periodo complesso specialmente per chi lavora nel mondo dello spettacolo, l’hanno stupita di più con i loro lavori?
“La reazione della musica italiana a questo periodo mi sembra molto energica: in questi mesi sono usciti molti dischi, ho ascoltato soprattutto dischi italiani, che mi sono piaciuti, da Margherita Vicario a Iosonouncane a Motta a Caparezza e, come tantissimi altri, mi sono entusiasmato per la deflagrazione di Colapesce e Dimartino a Sanremo. Ora sono curioso dei dischi che usciranno nei prossimi mesi, che saranno quelli concepiti durante la pandemia”.

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