“Scrivere questo libro è stata una prova psicologica importante. Ho dovuto fare i conti con determinati aspetti di me stessa, con le mie paure, con il mio senso di finitezza e di inadeguatezza. Ho dato l’anima. E questo mi ha spiazzato, mi ha scarnificato. Ma mi ha anche permesso di tirare fuori il meglio di me”. In occasione dell’uscita del secondo volume della saga dei Florio, “L’inverno dei Leoni”, Stefania Auci, autrice bestseller da 650mila copie, racconta a ilLibraio.it il suo rapporto con la scrittura (“Non ho scritto per dieci anni, ma poi la la scrittura è tornata per salvarmi”), la sua quotidianità (“Amo insegnare, non smetterei mai”), le sue letture (“Cerco di leggere libri molto distanti da quello che scrivo”) e l’amore per una storia che le ha cambiato la vita (“Certi amori non possono essere dimenticati. Restano dentro, come un cuore di pietra che batte accanto a quello di carne”)

Attorno a Stefania Auci (nella foto di Botega Digital, ndr), scrittrice del bestseller I Leoni di Sicilia, è nata una sorta di leggenda, una mitologia che si intreccia con l’immensa storia che ha deciso di raccontare: quella dei Florio, una delle famiglie più ricche e potenti d’Italia, protagonista del periodo della Belle époque.

Ma oltre il successo da 650mila copie, oltre le traduzioni in corso in 32 Paesi, oltre la serie tv in lavorazione, c’è sempre “la solita quotidianità. Gli impegni di tutti i giorni, la scuola, i figli, la casa“.

ilLibraio.it raggiunge l’autrice, classe ’74, originaria di Trapani, laureata in giurisprudenza, insegnante e madre, mentre è alla sua scrivania (“una scrivania enorme, antica”), intenta a firmare bigliettini autografati da inserire nei libri. “Questa è la terza partita da mille”, ci rivela, esausta.

Tra un impegno e l’altro, tra una lezione a distanza e alcuni doveri da mamma (“devo accompagnare mia figlia a teatro tra poco”), e qualche breve sonnellino per riprendere le forze (“ho dormito 15 minuti, ma avrei preferito riposarmi 15 ore”), ci racconta del secondo e ultimo volume della saga dei Florio, L’inverno dei Leoni, appena uscito.

L inverno dei leoni

Tantissimi lettori e tantissime lettrici sono in trepida attesa del suo romanzo, lo sa?
“Ogni volta che andavo ai festival, agli incontri o alle presentazioni mi dicevano sempre: ‘E il seguito quando arriva’?”.

E adesso è arrivato. Un seguito di quasi 700 pagine.
“Infatti possono prendersela con calma”.

Emozionata?
“Giusto un po’ (ride, ndr)”.

Come ha vissuto la scrittura con tutta la pressione del successo del primo romanzo?
“In realtà ho iniziato a scrivere L’inverno dei Leoni quando il primo volume non era ancora uscito, ma sono entrata nel vivo soltanto nel periodo del lockdown, quando ho avuto più tempo a disposizione per dedicarmi alla scrittura”.

Era serena?
“No, agitatissima. La prima bozza non mi convinceva, l’ho dovuta riscrivere una seconda volta e, se non fosse stato per l’aiuto della mia editor Cristina Prasso, avrei potuto continuare fino all’infinito”.

Come mai?
“Sono fatta così. Sono estremamente severa con me stessa”.

E ora è soddisfatta?
“Sì. Sono arrivata alla versione che più si avvicina a quello che avevo nella mente e nel cuore. Ma è stato davvero provante”.

Stefania Auci, Botega Digital

Stefania Auci, foto di Botega Digital

In fondo lei stessa scrive nel romanzo che “per tutto ciò che è bello e prezioso ci vuole tempo. Calma. Pazienza”.
“Scrivere questo libro è stata una prova psicologica importante. Ho dovuto fare i conti con determinati aspetti di me stessa, con le mie paure, con il mio senso di finitezza e di inadeguatezza”.

Però alla fine ce l’ha fatta.
“Ho dato l’anima per questa storia. La scrittura è un processo impegnativo e logorante, che serve per mettersi a nudo e per dissimulare, ti costringe a scoprire qualcosa di te mentre ti nascondi. È come se avessi posto all’interno dei personaggi un Horcrux che mi appartenesse. E questo mi ha spiazzato, mi ha scarnificato, mi ha messo davanti alla persona che sono e alle mie capacità. Ma mi ha anche permesso di tirare fuori il meglio di me”.

“Non può nemmeno immaginare cosa significa avere addosso tutta la responsabilità di Casa Florio”, dice a un certo punto uno dei suoi personaggi. Cosa significa, per lei, avere la responsabilità di aver raccontato la famiglia Florio?
“Noi parliamo di personaggi, ma in realtà io ho dovuto raccontare delle persone realmente esiste, ho dovuto scavare nella loro interiorità e nei loro vissuti. Specialmente in questo secondo volume ho dedicato tanta energia a riportare le ombre e le contraddizioni di queste figure. Figure che sbagliano, che cadono, che rotolano su se stesse, che fanno un gran casino delle loro vite. Per esempio, ho voluto raccontare donna Franca come una donna piena di paure e di incertezze, cercando di andare oltre il solito racconto leggendario che la presenta come un personaggio mitico. Ho descritto anche quell’aspetto, certo, ma prima di tutto ho voluto raccontare un essere umano”.

A proposito di mito e leggende, in tutta la saga si avverte un senso di destino e predestinazione che ricorda sentimenti epici, lontani, che non si incontrano spesso nelle narrazioni moderne.
“Ho un grande debito nei confronti della letteratura classica. Al liceo ho avuto un professore di greco che ci umiliava di continuo. Con lui il greco non l’ho amato, l’ho temuto, perché mi sentivo perennemente incapace di tradurlo e di capirlo. Non era riuscito a trasmettermi tutto l’amore e l’emozione di quelle opere”.

E poi come le ha riscoperte?
“Mi ci sono riaccostata da adulta, in un momento di profonda fragilità. Ho riconosciuto in quei testi, nelle tragedie di Euripide e di Sofocle, un’umanità di cui avevo bisogno. Sono stati i libri a salvarmi la vita”.

Quale in particolare?
“Ricordo che per un periodo ho letto per dodici volte di fila Harry Potter e il prigioniero di Azkaban. Ho sempre pensato che i libri avessero un valore terapeutico, ma in quella circostanza l’ho potuto sperimentare davvero sulla mia pelle. La lettura mi ha salvata. La lettura mi ha fatto tornare la voglia di scrivere”.

Non scriveva più?
“Non ho scritto per dieci anni, ma poi la la scrittura è tornata per salvarmi. Da allora non ha mai smesso di farlo. Mi salva ogni giorno”.

Casi editoriali come il suo sono rari. Perché in generale sono rari i libri che riescono a intercettare un bisogno universale e condiviso. Secondo lei cosa hanno trovato nel suo libro i lettori e le lettrici?
“Questa è una domanda che mi fanno tutti. E a dire il vero, una risposta precisa ancora non ce l’ho. Anche perché ognuno mi dà pareri diversi. Molte persone di una certa età, per esempio, mi dicono che è emozionante leggere del tempo in cui hanno vissuto i loro genitori, o i loro nonni. Altre, invece, rimangono colpite dalla tenerezza dello zio Ignazio, altre ancora si rivedono nella rabbia e nell’ambizione di Vincenzo… Ciascuna mi restituisce una sensazione differente”.

Lei ha raccontato spesso di una routine molto precisa e scandita, fatta di sveglie alle cinque del mattino. Sta continuando con questo ritmo?
“Una volta che il corpo impara una strada non la lascia più. Mi piace potermi prendere il mio tempo mentre tutto il resto del mondo dorme. Ma per ora non sto scrivendo. Ho bisogno di riprendere le forze e le energie. Inoltre credo che mettersi troppo sotto pressione non vada bene”.

In tutto questo sta comunque continuando a insegnare?
“Certo. Amo insegnare, lo faccio con passione. Non smetterei mai”.

A seguito del successo dei Leoni c’è stato un vero e proprio boom di saghe famigliari. Ne ha letta qualcuna che l’ha colpita particolarmente?
“Mi è piaciuta molto La casa sull’argine di Daniela Raimondi, l’ho trovata affascinante, mi ha ricordato La casa degli spiriti di Isabel Allende. In realtà ammetto che cerco di leggere sempre libri molto distanti da quello che scrivo. Per me è fondamentale spaziare, interessarsi ad altri generi, perché è nella diversità che si trova la ricchezza”.

Qualche nome?
“Ultimamente ho scoperto i romanzi di Alessandro Piperno. Ma adoro anche Benedetta Craveri, Melania Mazzucco, per non parlare di quanto sia debitrice alla prosa di Roberto Calasso, nonostante possa sembrare strano…”.

Perché strano?
“Perché è una prosa che non ha niente a che vedere con la mia, ma questo non significa che non ne possa riconoscere l’immenso valore. Alcuni mi hanno criticato perché il mio modo di scrivere è troppo semplice, lineare…”

È una prosa che si adatta anche alla materia trattata. In entrambi i romanzi c’è molta ricostruzione storica.
“Per me la chiarezza nella scrittura è fondamentale. Forse è un retaggio dell’insegnamento, chissà. Volevo che i lettori potessero comprendere i movimenti storici in maniera immediata ed efficace, senza troppe spiegazioni o giri di parole”.

Adesso che la saga è giunta al termine, come ha salutato i suoi personaggi?
“Sono andata in uno dei luoghi più significativi dei romanzi, mi sono fermata lì, e mi sono messa a pensare. Ho camminato, ho osservato quel mondo che mi ha fatto compagnia per tanti anni, quel mondo che ho studiato e conosciuto così bene, e mi sono detta che era arrivato il momento di iniziare a dimenticarlo. Ma poi ho capito che era impossibile. Perché certi amori non possono essere dimenticati. Restano dentro, come un cuore di pietra che batte accanto a quello di carne”.

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