“Isla bonita” di Nicola Muscas è un romanzo picaresco sul calcio e sull’amore, due passioni irrefrenabili che portano a compiere errori, a rotolarsi nelle proprie miserie e a riemergerne di colpo con lampi geniali, improvvisi come gol all’ultimo minuto… – L’approfondimento

Come una sorta di riduzione in sedicesimo della retorica di un manuale da aspiranti manager, anche la narrazione del calcio vive ormai quasi esclusivamente di figure vincenti, quasi involontariamente comiche nella loro ossessione per la cura di sé e l’enumerazione dei risultati.

Giocatori che “non accettano la sconfitta”, o “si arrabbiano anche quando perdono a ping pong”, o che ancora “finita la partita parlano già della prossima”.

Un tipo umano nevrotico, compulsivo e tirannico, che dichiara guerra allo scorrere del tempo sul proprio corpo cercando di congelarsi in un eterno presente di successo. E, soprattutto, una figura che nessuno vorrebbe realmente accanto nella propria vita.

Chi andrebbe volentieri a cena da un amico che si rifiuta di poter perdere a un gioco da tavolo? A qualcuno piacerebbe avere un collega che appena staccato dal lavoro invece di bere una birra costringa tutti a concentrarsi esclusivamente su cosa c’è da fare domani?

Isla Bonita di Nicola MuscasIsla Bonita di Nicola Muscas, in libreria per 66thand2nd, è un romanzo di calcio che attinge a piene mani dalla tradizione opposta, quella del futbol a sol y sombra, con la malinconia dei rimpianti e degli amori complicati, e la gioia dei gol improvvisi o dei desideri irresistibili.

Santiago Ramiro Rodriguez, per tutti El Gordo, è un giocatore che del vincente ha davvero poco. Il suo talento con la palla tra i piedi è cristallino, ma a trentacinque anni la sua occasione se l’è giocata da un pezzo, persa nell’alcol, nei debiti di gioco e soprattutto in un’incapacità genuina di sostenere le aspettative, di rinunciare a fuggire dalle cose che lo assediano sperperandole senza ritegno.

È bolso e infiacchito, due mogli nel suo passato e una incinta nel presente, parecchio focosa e poco incline a tollerare la disinvoltura coniugale del marito. Il soprannome è ben meritato, visto il ventre espanso e costantemente innaffiato dal rum. Insomma, non certo un gran colpo di mercato per il Cagliari.

Al direttore sportivo Firicano però piacciono le scommesse e le avventure. Anche parecchio, visto che il suo passato cela più di un’ombra e molti episodi quantomeno controversi, e pure lui per distendere i nervi e affrontare le avversità di un mestiere difficile non disdegna l’aiuto del gin tonic e della cocaina.

Così il Gordo accetta di tornare nella sua isla bonita, forse l’unico posto dove è riuscito davvero a essere felice. Ma anche lì lo inseguono i suoi creditori – gente pericolosa – e i suoi fantasmi, che forse sono ancora peggiori. Soprattutto perché nonostante tutto con lui il Cagliari ha cominciato a volare, e adesso Rodriguez ha la responsabilità di una squadra che sogna addirittura un posto in Champions League.

La storia del gordo Rodriguez è una commedia picaresca, in cui il genio dissipato è accompagnato in un anno folle da uomini e donne passionali e incoscienti.

Firicano è un vecchio squalo, capitano rotto a mille battaglie che sa attraversare anche i momenti più delicati con un sorriso sardonico e la battuta pronta.

Il dottor Morelli, che del Gordo dovrà essere la balia e la guardia del corpo, è un medico molto bravo a prendersi cura dei giocatori e molto meno a gestire i propri sentimenti.

L’addetto stampa Aresu guarda compilation di gol storici del Cagliari per ritrovare la calma quando le cose si fanno difficili, ed è talmente assorbito dall’amore per la squadra da non accorgersi dei moti del suo proprio cuore.

Laura è una giovane giornalista che non vuole raccontare verità di comodo e si troverà in tutti i sensi invischiata con gli altri in quest’avventura. Balleranno tutti quanti insieme a un ritmo dolce e sfrenato, tra dribbling e tradimenti, miserie e invenzioni.

C’è il calcio, nel romanzo, fatto di bellezza indolente, intuizioni luminose e punizioni da stropicciarsi gli occhi. E anche il calcio quadrato e essenziale dell’allenatore Tagliaferro, che detesta Rodriguez e la sua anarchia e ama ricordare tutti i campioni che ha rotto quando era un difensore di provincia. C’è l’amore, carnale e tenero, mai lineare. E su tutto la coscienza del tempo che passa, la nostalgia dei momenti perduti, il rimorso per gli errori. Ma se le cose stanno così, allora piuttosto che durare in eterno è meglio chiudere in bellezza, con un colpo che possa lasciare tutti gli spettatori a bocca aperta, un’ultima volta.

E con loro sì, con tutti i personaggi di questo romanzo, che sarebbe bello stare insieme. Passare una sera a bere di bar in bar, fino all’alba. Scendere in campo fianco a fianco in uno stadio gremito, o prendere un aereo per il Sudamerica e risolvere in modo poco ortodosso una questione spinosa. Inciampando su noi stessi, complicando ogni cosa per colpa delle nostre debolezze. Ma senza mai perdere il gusto. Perché possiamo sbagliare e anche spesso, ma come dice il Gordo, la pelota no se mancha, il pallone non si sporca. E vuole solo essere trattato con un pochino d’amore.

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