Splendide donne, accessori eccezionali, inseguimenti mozzafiato, eleganza a palate e un senso dell’umorismo incomparabile, James Bond non si smentisce mai. A pochi passi dal 25esimo capitolo della saga cinematografica, atteso il 9 aprile 2020 nelle sale, un approfondimento sul personaggio di 007, la famigerata spia inglese creata dalla penna di Ian Fleming, lo scrittore che ha dato vita a una figura tanto nota nei romanzi di spionaggio quanto sugli schermi. Diversi sono gli attori che hanno interpretato il ruolo e molte le bondgirl al suo fianco, ma James Bond non smette di sorprendere, e di rinnovarsi per il suo pubblico (basti pensare che al prossimo ha collaborato come sceneggiatrice Phoebe Waller-Bridge…)

Vodka Martini, agitato, non mescolato. Aston Martin, con pulsante di eiezione dei passeggeri nascosto nella leva del cambio. Una serie infinita di donne, una lista ancora più lunga di gadgets. Senso dell’umorismo, licenza di uccidere e patriottismo fino alla nausea. Il suo nome è Bond. James Bond.

Lagente 007 dei servizi segreti britannici è una delle spie più famose nella storia della letteratura e del cinema, tanto che la serie di film dedicata alle sue avventure è la saga più duratura che la settima arte abbia mai conosciuto, l’unica a sopravvivere così a lungo ininterrottamente: da quando, nel 1962, è uscito il primo film, Dr. No, la serie non ha conosciuto battute d’arresto, fino al nuovo, venticinquesimo capitolo, No time to die, atteso nelle sale il 9 aprile 2020 e girato, in parte, a Matera.

A dar vita a questo personaggio sopravvissuto così a lungo ai gusti volatili dello showbiz è stato Ian Lancaster Fleming (1908-1964), rampollo dell’alta società inglese, nato a Londra e istruito a Eaton, agente dei servizi segreti della marina britannica durante la seconda Guerra Mondiale, giornalista e infine scrittore, dedicatosi, negli ultimi anni della sua vita, alla creazione di una spia tanto simile a lui stesso, attingendo alla sua personale esperienza nello spionaggio per architettare le trame dei suoi libri.

Non solo: tale è stato il successo conosciuto da James Bond che dopo la morte dell’autore diversi altri scrittori hanno contribuito ad ampliare la saga, pubblicando nuovi capitoli delle avventure di 007 in accordo con l’editore britannico di Fleming; tra questi, vanno senz’altro menzionati John Edmund Gardner (inglese, 1926-2007) e Raymond Benson (americano, classe 1955), autori, tra gli altri, di alcune trasposizioni romanzesche tratte dalle sceneggiature di omonimi film della saga: Goldeneye, Licenza di uccidere (Gardner), Il domani non muore mai, Il mondo non basta e La morte può attendere (Benson).

james bond 007 goldeneye

Il primo volume della serie, Casino Royale (Adelphi, traduzione di Massimo Bocchiola) è stato scritto da Ian Fleming a Goldeneye, la sua tenuta in Jamaica, nel 1952, in attesa del matrimonio con Ann Charteris; leggenda vuole che l’autore abbia finalmente realizzato un suo sogno di lunga data, scrivere un romanzo di spionaggio, proprio per isolarsi dal trambusto che i preparativi per le nozze comportavano.

Da allora in poi, Fleming scrisse un libro di 007 l’anno, sempre a Goldeneye, dove si recava regolarmente. Ma l’ordine in cui l’autore ha concepito e scritto i romanzi non è lo stesso seguito dalla Eon Productions nella realizzazione dei film, che d’altronde non sono fedeli riproduzioni dei libri, ma spesso libere interpretazioni, il che rende piuttosto difficile costruire un discorso unitario che sia valido tanto per la saga cartacea quanto per quella cinematografica.

Nel corso degli anni sono cambiati i registi che hanno diretto le avventure della formidabile spia, sono cambiati gli attori che hanno vestito i suoi panni, è cambiato il personaggio stesso di James Bond, che ha inevitabilmente subito un’evoluzione, ma la serie è rimasta fedele a se stessa, con alcune caratteristiche fondamentali che si sono consolidate come tratti distintivi del marchio 007: i personaggi femminili che accompagnano il protagonista nelle sue avventure, le cosiddette bondgirls; la figura di M, superiore di 007, e della sua segretaria Eve Moneypenny; i gadget spettacolari di Q, il Quartiermastro dell’MI6; gli inseguimenti e le fughe pirotecniche; i supercattivi particolarissimi con velleità di distruzione globale, lucida follia e deliri di onnipotenza. Questi aspetti, insieme alla personalità stessa di 007, sempre impeccabilmente vestito, con il suo umorismo tipicamente inglese, amante dei sigari e della bella vita, incapace di restituire l’attrezzatura integra, sono il filo rosso che tiene insieme una delle saghe più fortunate di tutti i tempi.

james bond 007 casino royale ian fleming

Pubblicato nel 1953, Casino Royale è il primo libro della serie e uno degli ultimi film realizzati, nel 2006, diretto da Martin Campbell; libro e film vedono James Bond (interpretato sullo schermo da Daniel Craig) alle prese con Le Chiffre (Mads Mikkelsen), il tesoriere di un’operazione della SMERSH, temibile organizzazione di supercattivi che poi diventerà la SPECTRE. I due si confrontano in un’epica partita a carte ricca di colpi di scena, mentre al fianco di Bond si staglia la spettacolare Vesper Lynd (Eva Green), femme fatale e prima di una lunga serie di bondgirls, ma una delle poche di cui 007 si sia veramente innamorato, tanto da prendere in considerazione l’idea di abbandonare i servizi segreti per trascorrere una vita tranquilla al suo fianco. Ma, ça va sans dire, se così fosse, non ci sarebbe nessuna saga di cui parlare.

La presenza di personaggi femminili di straordinaria bellezza e irresistibile fascino, le bondgirls, è una di quelle cose che il pubblico non può non aspettarsi da 007: al fianco di James Bond, e tra le sue lenzuola, si susseguono una dopo l’altra donne bellissime, tendenzialmente sfortunate in amore, spesso maschili nell’abbigliamento e molto in alto nella loro carriera, abituate a difendere il loro ruolo con le unghie e con i denti all’interno di un mondo governato dagli uomini; ricche ereditiere, scienziate, pilote, spie russe, spie americane, spadaccine eccezionali, chiromanti, molto diverse tra loro ma inevitabilmente sedotte, e presto dimenticate.

Honey Ryder, Pussy Galore, Elektra King, Miranda Frost, le sorelle Masterson, Tatiana Romanova, Solitaire, Anya Amasova, May Day, Natalya Simonova, Christmas Jones, Jinx, giocano tutte un ruolo piuttosto significativo all’interno della storia, spesso non sono neanche personaggi positivi, ma aiutanti del cattivo di turno, come nel caso della formidabile Xenia Onatopp di GoldenEye (interpretata da Famke Janssen al fianco di Pierce Brosnan, nel film diretto da Martin Campbell), un’assassina formidabile, capace di uccidere gli uomini stritolandoli tra le cosce; alla sua morte, stritolata tra due rami di un albero, Bond non riesce a trattenere lo humor e commenta: “Le è sempre piaciuta una bella stretta”. Sono tutte storie fugaci, accantonate prima della prossima avventura, ma d’altronde salvare il mondo non è un lavoro che lascia molto spazio alla vita sentimentale, mentre pare invece che quando si salva il mondo si possa sempre trovare il tempo per un’avventura o due.

james bond 007 il dottor no ian fleming

Tratto da Il Dottor No (Adelphi, traduzione di Flavio Santi), sesto romanzo della serie, Dr. No è il primo film di 007 a fare capolino sugli schermi, diretto, come si è detto, da Terence Young e interpretato dal giovane Sean Connery, il primo dei diversi attori che hanno rivestito i panni di James Bond.

Nel caso di Dr. No libro e film sono piuttosto simili e si ambientano in Jamaica, dove 007 si reca per indagare la scomparsa di un altro agente dei servizi segreti, missione che lo porta da Julius No, detto Dr. No (Joseph Wiseman), membro dell’organizzazione criminale SPECTRE (SPeciale Esecutivo per Controspionaggio Terrorismo, Ritorsione, Estorsione), il quale sta pianificando il sabotaggio di un lancio americano nello spazio. Nel corso della sua missione per fermare il Dr. No, Bond incontra la bella Honey Ryder, prima bondgirl a comparire sullo schermo, interpretata da Ursula Andress; Honey viene immortalata nell’iconica scena che la vede emergere dall’acqua di una spiaggia caraibica con due conchiglie in mano, indossando un bikini bianco che è entrato nella storia, mentre canticchia tra sé e sé la canzone Under the mango tree.

In quanto primo film della saga, Dr. No ha stabilito diversi particolari che sono poi diventati must assoluti del format 007, prima fra tutti la sigla iniziale, in cui James Bond compare come inquadrato dalla canna di una pistola, mentre in sottofondo suona il celebre motivo che da oltre cinquant’anni apre i film della serie (ta-da-ta-daa-ta-da-daa-ta-da-ta-da-da); non solo, ha anche stabilito una conclusione canonica dei film, che spesso e volentieri terminano, a missione compiuta, con la bondgirl di turno tra le braccia di 007. Mette anche in scena un super cattivo perfetto, caratterizzato, come lo saranno molti altri, da un curioso particolare fisico: ha delle protesi metalliche alle mani, che ha perduto a causa delle radiazioni. In fine, Dr. No è anche il film che presenta al pubblico la SPECTRE, un’organizzazione che, nel corso degli anni, diventerà il nemico numero uno di Bond, l’antagonista per eccellenza, fino a dare il titolo all’ultimo film di 007, uscito nelle sale nel 2015, SPECTRE, diretto da Sam Mendes e interpretato da Daniel Craig.

Uno dei film più iconici dell’intera serie è senz’altro Missione Goldfinger, diretto da Guy Hamilton e interpretato ancora da Sean Connery, tratto dal settimo romanzo, pubblicato da Fleming nel 1959, Goldfinger (Adelphi, traduzione di Massimo Bocchiola), dal quale però prende libera ispirazione. La missione vede Bond alle prese con il perfido Auric Goldfinger (Gert Fröbe), un uomo ossessionato dall’oro e architetto di uno dei furti più ambiziosi che la storia ricordi: vuole penetrare Fort Nox per rendere radioattivo l’oro al suo interno, rendendolo inutilizzabile, e facendo crescere esponenzialmente il valore dell’oro di Goldfinger stesso.

james bond 007 goldfinger ian fleming adelphi

Missione Goldfinger contiene alcune chicche per intenditori, come l’odio di 007 per i Beatles, e uno degli scambi di battute più memorabili, tra Goldfinger e Bond: nel momento in cui quest’ultimo sta per essere tagliato in due da un laser si rivolge al suo antagonista chiedendogli “Si aspetta che parli?”, e l’altro prontamente risponde “No, io mi aspetto che muoia!”. Altrettanto celebre è il braccio destro di Goldfinger, il muto e micidiale Oddjob, dotato di un cappello con tesa metallica che usa come un’arma lanciandolo con precisione, a mo’ di fresbee; manca solo una bondgirl all’appello, l’ammaliante Pussy Galore (Honor Blackman), pilota che si dichiara immune al fascino di Bond ma, naturalmente, ne cadrà preda, garantendo il successo della missione.

Esotico e avvincente, Vivi e lascia morire è forse uno dei capitoli più seducenti della saga, tanto nella sua versione cartacea, pubblicata da Fleming nel 1954 (uscito in Italia per Adelphi, traduzione di Flavio Santi), quanto nella pellicola cinematografica del 1973, diretta da Guy Hamilton e interpretata, per la prima volta, da Roger Moore, l’attore che ha indossato più volte l’elegante smoking di 007.

james bond 007 vivi e lascia morire ian fleming adelphi

In Vivi e lascia morire Bond si ritrova ad affrontare un boss dell’eroina di Harlem e il dittatore di un’isola caraibica che vive della coltivazione di oppio; i due si rivelano essere la stessa persona, il terribilmente superstizioso Dr. Kananga, affiancato dalla bella chiromante Solitaire (serve dire altro?), alla quale Kananga si affida per farsi predire il futuro e basarvi le proprie azioni. Tra un inseguimento acquatico, dell’ottima musica e alcuni riti voodoo, Bond riesce a sedurre Solitaire, che perdendo la verginità perde anche i suoi poteri di premonizione e diventerà essenziale per portare a termine la missione. Non solo, 007 trova anche il modo di incenerire un serpente durante la sua beauty routine, utilizzando del dopobarba e un accendisigari.

Un antagonista perfetto, con benda sull’occhio e covo subacqueo, il suo terribile aiutante dai denti di metallo, una spia russa come bondgirl, un inseguimento sugli sci e uno tra le piramidi, gadget spettacolari, come una macchina che si trasforma in sottomarino, La spia che mi amava è magistrale nel riunire tutti gli ingredienti che garantiscono il successo di un film di 007; uscito nel 1977, riprende il titolo, ma non il contenuto, del decimo romanzo della serie di Fleming, ed è diretto da Lewis Gilbert e interpretato da Roger Moore, che sembra vestire il ruolo come se fosse la sua stessa pelle.

007 james bond la spia che mi amava

La pellicola si apre con una scena impagabile: mentre è in dolce compagnia, Bond viene richiamato al quartier generale e, nel guardarlo partire, la bella esclama “ma James, ho bisogno di te!”, sentendosi rispondere “anche l’Inghilterra”; uscito dalla casa di montagna dove stavano amoreggiando, Bond comincia la sua discesa sugli sci verso valle ma viene inseguito da un gruppo di uomini che intende ucciderlo, ma 007 usa una racchetta da sci per sparare a uno di loro, poi se la svigna lanciandosi in un burrone e, tocco di classe, si salva grazie a un paracadute con stampata sopra la bandiera britannica.

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Il film vede Bond affiancato dalla splendida Anya Amasova (Barbara Bach), una spia russa, nel tentativo di fermare il diabolico piano di Karl Stromberg, che intende usare dei missili nucleari per distruggere Mosca e New York, scatenando una guerra che permetta a Stromberg di dare inizio a una nuova civiltà sottomarina, nel suo sommergibile Atlantide. Ma il suo progetto non teneva conto della presenza di Bond, che riesce a fermarlo e si ritrova, alla fine del film, in una lussuosa capsula di salvataggio con la bella Amasova, dove i due festeggiano con passione il successo della missione; vengono colti in flagrante dai loro superiori, che domandano stupiti cosa stiano facendo, ricevendo come unica spiegazione da parte di 007: “Cerco di tenere su la bandiera inglese”.

Non può mancare all’appello, in una simile rassegna, La morte può attendere, film diretto da Lee Tamahori e interpretato da Pierce Brosnan, una pellicola che mette 007 davanti a un antagonista coreano, interpretato da Toby Stevens, un megalomane che non dorme mai, traffica diamanti, costruisce castelli di ghiaccio e (sorpresa!) vuole dominare il mondo. Per sconfiggerlo, Bond ha dalla sua una macchina invisibile, una formidabile collega della CIA, Jinx, interpretata da Halle Berry, e delle notevoli doti di spadaccino, esibite nella scena arcinota che lo vede confrontarsi col suo avversario e quasi distruggere la scuola di scherma. Il film vanta anche un cameo di Madonna, che ne canta la colonna sonora principale e recita il ruolo di Verity, seducente insegnante di scherma.

Se si volesse stilare un elenco di tutte le scene memorabili che costellano la saga si potrebbe tranquillamente ricavarne un libro. Nel 1999 è uscito Il mondo non basta, diretto da Michael Apted e interpretato da Pierce Brosnan, dove James Bond si ritrova a proteggere Elektra King, ricca ereditiera che si finge vittima ma si rivela carnefice: verso la fine del film i due si confrontano e 007 le punta contro una pistola, minacciando di ucciderla se lei non pone fine al suo piano, ma lei, convinta di averlo sedotto, si rifiuta, sussurrandogli “non mi uccideresti, ti mancherei troppo”; Bond le spara in pieno petto limitandosi a rispondere, al suo corpo senza vita, “io non manco mai”.

Anche sulle capacità di fuga di 007 ci sarebbe da parlare per una giornata intera: come dimenticare la formidabile scena di Vivi e lascia morire in cui viene abbandonato dal suo antagonista su un piccolo isolotto nel mezzo di uno stagno pieno di coccodrilli che si apprestano a papparselo vivo? Solo Bond poteva trovare un modo per salvare la pelle, saltando sul muso di ogni coccodrillo fino ad arrivare all’altro capo dello stagno.

Perfino sul ruolo di M, capo dei servizi segreti, monarca indiscusso dell’MI6 e superiore di Bond, si potrebbe scrivere un saggio: in una serie così parca di quote rosa, il miglior interprete di quel ruolo è stata una donna, Judi Dench, perfetta dalla prima all’ultima battuta, esordisce in Goldeneye definendo Bondsessista e misogino dinosauro, reliquia della guerra fredda, e se ne va in Skyfall, morendo tra le braccia di 007, ma non prima di aver portato a termine la missione.

Infine, si potrebbe scrivere un longform sul modo in cui ogni attore che ha interpretato James Bond abbia saputo personalizzare il ruolo, dandogli un proprio tocco, pur mantenendosi fedele al personaggio originale: Sean Connery si distingue per eleganza e un certo impassibile aplomb, uno dei migliori 007 anche in virtù di essere stato il primo a interpretarlo; Roger Moore porta nel personaggio il proprio fascino affabile e un senso dell’umorismo salace, brillante, probabilmente il migliore interprete in assoluto; Timothy Dalton mette in scena un’oscurità più dura e crudele di Bond, nei due film diretti da John Glen, Zona pericolo (1987) e Vendetta privata (1989); negli anni ’90 Pierce Brosnan ha saputo combinare fascino senza tempo e forza fisica, vecchi intrighi e nuove tecnologie; Daniel Craig ha rinnovato 007 per lo spettatore contemporaneo, con un’aria di pericolosità e seduzione animalistica che calano il personaggio in una nuova era, dove viene problematizzato e si scopre incapace di guardare al mondo dividendolo chiaramente in alleati e nemici: è il XXI secolo, dopotutto.

A mantenere in vita così a lungo la saga di 007 è stata anche la versatilità del brand, che ha permesso a James Bond di rinnovarsi sempre e sopravvivere al suo tempo, pur senza tradire il personaggio che Fleming aveva concepito per i suoi romanzi, e che ha trovato sullo schermo un habitat naturale. Perfetto esempio di questo conservatorismo innovativo è Skyfall, il film del 2012 diretto da Sam Mendes e interpretato, per la terza volta, da Daniel Craig, ricco di citazioni dai capitoli precedenti, che riempiono di soddisfazione i fan più appassionati.

Accompagnato dalla colonna sonora cantata da Adele, Skyfall mette Bond davanti a un cattivo problematico: Raoul Silva (Javier Bardem) è un antagonista onnipresente, che si muove nell’ombra e prevede ogni contromossa dei servizi segreti, di cui faceva parte, determinato a vendicarsi proprio dell’MI6, e di M. La pellicola pone l’agente con licenza di uccidere in un mondo, quello contemporaneo, dove un computer è più pericoloso di una pistola, e lo spionaggio vecchio stile deve tenere il passo, se non vuole subire lo scacco matto, una questione rappresentata perfettamente dalla scena in cui Bond si trova davanti al suo nuovo Quartiermastro.

Questo continuo rinnovarsi ha portato la serie a sorprendere il suo pubblico ancora una volta: dopo le recenti polemiche legate alla possibilità che James Bond venisse interpretato da un attore di colore, la saga ha accolto a bordo come sceneggiatrice Phoebe Waller-Bridge, l’autrice di Fleabag, affinché proponesse un ulteriore restyling del personaggio. La manovra ha funzionato, il nuovo 007 è una donna di colore, Lashana Lynch, che affianca Daniel Craig nel nuovo capitolo della saga: Craig continua a interpretare Bond, ma James Bond non è più 007, la sua licenza di uccidere viene ereditata dal personaggio di Lashana Lynch. Che ne sarà allora di James Bond, senza la sua famigerata sigla?

Se c’è una cosa che il personaggio ha saputo ampiamente dimostrare al suo pubblico è che la morte può attendere, e uccidere la spia britannica non è affatto facile; ma tenersi al passo con i tempi è indispensabile, se non si vuole fare la fine del già citato “sessista e misogino dinosauro, reliquia della guerra fredda”, per dirla con le parole di M. La presenza dietro le quinte di Phoebe Waller-Bridge e di una giovane promettente attrice come Lashana Lynch dovrebbero indurre nel pubblico curiosità: ci saranno nuovi nemici, nuovi gadget, nuove missioni, e magari qualche bondboy?

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