I romanzi di Jean Genet (1910-1986), per via dei riferimenti espliciti all’omosessualità, inizialmente sono stati censurati e venduti sottobanco. E ancora oggi l’autore viene riconosciuto come una delle icone gay della letteratura del Novecento. Un viaggio alla scoperta dell’autore francese, che visse un’esistenza ai margini della società, in occasione della riedizione del suo secondo romanzo, “Il miracolo della rosa”
“Questo libro mi è costato molto. Scrivo senza piacere. Mi sforzo. La mia capacità poetica si attenua. Con minor gusto mi tuffo, a capofitto, nelle avventure di quell’infanzia eccezionale. Certo, so ancora come fare il buio dentro di me e, dietro il suggerimento di un ricordo, inebriarmi delle mie storie passate, rifarle o completarle secondo il registro tragico che trasforma ciascuna di esse in un poema di cui sono l’eroe, ma non ho più la stessa foga”, scrive Jean Genet (1910-1986) ne Il miracolo della rosa, tornato in libreria nella traduzione di Alberto Capatti per Il Saggiatore.
In questo romanzo autobiografico lo scrittore francese racconta i suoi anni in carcere e l’attrazione per un assassino recluso nella stessa prigione: “I giornali gli avevano affibbiato gli epiteti di ‘assassino’, ‘mostro’… Col volto alzato, il labbro superiore leggermente sporto in fuori, sembrava stesse dando o ricevendo il bacio di una creatura trasparente appesa al cielo per i piedi nudi. Sembrava che contasse rapidamente grandi numeri, come se avesse preparato un importante esperimento e lo stesse ripassando. Le sue labbra avevano il movimento silenzioso delle labbra del prestigiatore intento a contare mentalmente l’ordine delle carte che esibisce”.
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Come in ogni opera di Jean Genet il limite tra fiction e autobiografia è impalpabile: Miracolo della rosa è stato composto nelle prigioni di Fresnes e del Camp de Tourelles tra il 1943 e il 1944.
Nato a Parigi nel 1910 da una donna single, Gabrielle Genet, è dato in affidamento a una famiglia in campagna, dove viene cresciuto da una balia e riceve un’educazione cattolica. A dieci anni compie il suo primo furto: un momento che l’autore identifica spesso come un presagio del futuro “antisociale” che lo aspetta.
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Da allora ha inizio la sua vita ai margini della società, di cui racconta nel romanzo d’esordio Notre Dame des Fleurs (Il Saggiatore, traduzione di Dario Gibelli). Sempre a causa di un furto perde il lavoro come apprendista tipografo e a quindici anni viene recluso nella colonia penitenziaria di Mettray. Tre anni dopo viene rilasciato, si arruola nella Legione Straniera e viene stanziato in Siria e Marocco.
Nelle sue opere Genet in molti casi si identifica con il protagonista: come in Diario del ladro (Il Saggiatore, traduzione di Giorgio Caproni), dedicato agli amici Sartre e de Beauvoir, in cui racconta la vita di strada di un ladro omosessuale negli anni Trenta.
L’attrazione per i “guappi” e i marinai e il rapporto di dominio e sottomissione degli amanti sono ricorrenti nei romanzi di Genet, che in Querelle de Brest (Il Saggiatore, traduzione di Dario Gibelli), portato sullo schermo da Rainer Werner Fassbinder nel 1982, descrive il mito omoerotico del marinaio.
I suoi libri, per via dei riferimenti espliciti all’omosessualità, inizialmente sono stati censurati e venduti sottobanco. E ancora oggi l’autore viene riconosciuto come una delle icone gay della letteratura del Novecento.
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Dalla fine degli anni Quaranta Genet si dedica con successo alla drammaturgia e dagli anni Settanta si interessa alla politica, partecipandovi attivamente e scrivendo saggi e articoli.
Continua a vivere una vita vagabonda fino alla morte, avvenuta in un hotel di Parigi. Per suo volere viene sepolto vicino a Larache, in Marocco.