Come crescere insieme ai propri figli adolescenti nei periodi di difficoltà? “La neve in fondo al mare”, il nuovo romanzo (corale) di Matteo Bussola, ci porta a scoprire l’amore incondizionato di padri e madri alle prese con la malattia dei propri figli… L’autore sceglie infatti un punto di osservazione straordinario: un reparto di neuropsichiatria infantile…
“[…] Adolescente e adulto sono due facce della stessa moneta. Hanno addirittura la medesima radice. Però adulto è un participio passato. Mentre adolescente è un participio presente. Capisce cosa voglio dire?” (p. 47).
Le relazioni sono da sempre al centro delle narrazioni di Matteo Bussola, che non teme di indagare anche i risvolti più riposti dei sentimenti. La neve in fondo al mare (in libreria per Einaudi Stile Libero) si avvicina a uno dei legami più affascinanti, contraddittori e soggetti a mutamenti: il rapporto tra genitori e i figli al sopraggiungere della loro adolescenza.
In particolare, Bussola sceglie un punto di osservazione straordinario: un reparto di neuropsichiatria infantile. Qui i genitori vengono ricoverati insieme ai figli, in una convivenza forzata che mette a nudo fragilità, idiosincrasie, problemi di comunicazione. O, viceversa, manifestazioni d’affetto, accudimenti, tentativi di dare conforto. In comune a tutti c’è un continuo saliscendi emotivo, in presenza ora di referti che danno qualche speranza ora di ricadute che gettano nel baratro una famiglia intera.
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Nel reparto viene ricoverato il sedicenne Tommaso, detto Tommy, dopo che ha ingerito troppe pastiglie per il dimagrimento: affetto da quasi tre anni da anoressia nervosa, il ragazzo non accetta il suo corpo e si chiude spesso in una dimensione di silenzio ostinato, alternato a poche risposte indifferenti, segno del suo rifiuto del mondo. Con lui c’è suo padre Caetano, per tutti Tano, perché la madre Grazia è a casa a crescere le gemelle: l’uomo, un ingegnere abituato a far “quadrare” le cose, è invece continuamente colto dalla terribile sensazione di non poter cambiare il presente né di poter prevedere il corso della patologia di Tommy.
Ed è proprio dal punto di vista di questo padre che si sente inerme, sballottato com’è tra la fioca speranza di guarigione e le sconvolgenti prese di coscienza delle ricadute, che scopriamo cosa accade in corsia durante il periodo di ricovero di Tommy.
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Altre famiglie spezzate dalla malattia entrano a far parte delle giornate dei protagonisti e si prendono i giusti spazi di narrazione, facendola diventare corale: a condividere la stanza con Tommy c’è Giacomo, “Gap”, un aspirante webstar diciassettenne che ha tentato il suicidio buttandosi dal secondo piano (per motivi che si capiranno via via). Con lui resta la madre, Giulia, perennemente sospesa tra i ricordi di un Giacomo autenticamente felice e il presente, dove i sorrisi sono perlopiù forzati.
Colpisce la regressione della dolcissima Eva, che ancora si finge una bambina e che ha triplicato il suo peso in poco tempo, per ragioni ancora ignote ai genitori, Amelia e Paolo.
Che dire, poi, dell’autolesionismo di Marika, completamente inaccettabile per suo padre Franco, ostile alle parole dei medici e incapace di portare conforto?
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O della rabbia dell’undicenne Nicholas, dall’aspetto angelico, che non riesce a tollerare alcuna frustrazione, al punto da aver ferito anche fisicamente sua madre Elena in un accesso d’ira?
Fisicamente e/o psicologicamente, tutti i genitori lì presenti portano dei lividi: a volte sono i loro sguardi a raccontare la quotidianità stravolta e devastata dalla malattia di quel figlio che, prima, era un bambino o una bambina normale. Cosa significhi esattamente “normale” non è dato saperlo, e d’altra parte anche i genitori sono alla ricerca delle parole più giuste per comunicare con i propri figli, che non riconoscono quasi, o per parlare di loro nel corridoio.
Gli interlocutori, d’altro canto, sono padri e madri che ogni giorno sperimentano un inferno simile e per questo sono aperti al confronto. Per loro non c’è alcun tabù nel discutere di cosa abbia portato lì i loro figli, né restano sconvolti dalle reazioni talvolta imprevedibili dei piccoli pazienti. Tuttavia, leggere la rassegnazione negli occhi di altri genitori o captare la loro stanchezza fa paura: il rischio di specchiarsi negli occhi della sofferenza altrui è costante.

Letture originali da proporre in classe, approfondimenti, news e percorsi ragionati rivolti ad adolescenti.

Per i giovanissimi ricoverati, invece, la questione è diversa: basta poco perché capiscano di appartenere a una stessa comunità e facciano gruppo, accettandosi in modo solidale. Non hanno scelto di essere ricoverati nella stessa stanza o sullo stesso corridoio, ma si sostengono in nome di una sofferenza che trova sfogo in modi diversi, ma che è ugualmente degna di rispetto. E qualche volta sorridono, si confidano, cantano e giocano a carte, lasciando intravedere un baluginio di adolescenza:
“Siamo rimasti lì, a guardare i nostri figli incorniciati dalla porta, come se stessimo ammirando una vecchia fotografia, ricordo di un tempo che ormai non c’è più” (p. 59).
Intrecciata a questa dimensione del presente, troviamo poi i tanti flashback che riguardano l’infanzia e la prima adolescenza di Tommy: dalla ricerca di approvazione da parte dei famigliari all’affacciarsi dell’ossessione di primeggiare a scuola come nello sport. Tano ripercorre questi episodi col senso di colpa inevitabile di un genitore che non ha saputo cogliere i primi segnali di disagio nel figlio, ma è devastante giudicare il passato col famigerato “senno di poi” e autoinfliggersi ricordi di momenti spensierati, così lontani dal presente.
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Quella che ci racconta Matteo Bussola non è una prova di resistenza al tempo che passa; è invece un racconto corale su cosa significhi essere genitori ed essere figli davanti alla prova suprema: trovare un modo per crescere insieme in periodi di difficoltà. Tra le pagine partecipiamo a un amore incondizionato che supera le barriere, anche quelle del senso di colpa o del rifiuto da parte dei figli, annienta il rischio del disfattismo e combatte la minaccia della disperazione, nella consapevolezza che basta un piccolo minuscolo segno di apertura per tornare a comunicare. Anche in modo più autentico e costruttivo di prima.
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Fotografia header: Matteo Bussola credit: Francesco Spighi