“È preoccupante che in un’epoca in cui si parla in continuazione di genitorialità condivisa, di paternità più consapevole e attiva, di famiglia come luogo dell’incontro e del reciproco rispetto, questa suddivisione manichea riesca ancora a farsi strada. Superare le vecchie categorie è il compito che ci spetta, per le nostre figlie e i nostri figli: non esistono attitudini, colori o tonalità dell’animo solo maschili, o solo femminili” – In occasione dell’uscita del suo nuovo libro, “Viola e il Blu”, su ilLibraio.it la riflessione di Matteo Bussola sui modi per superare il binarismo di genere a partire dai ruoli genitoriali

LA DIFFERENZA CHE CONTA

Sto scrivendo questo pezzo dopo avere cucinato per le mie figlie, avere lavato i piatti e rigovernato la cucina. Mentre le dita corrono sulla tastiera, la mia compagna avvita due fischer nel muro col trapano, per appendervi una mensola.

A casa nostra cucino quasi sempre io, perché amo farlo. Mi occupo anche dell’organizzazione della dispensa, e le nostre bambine trovano del tutto naturale chiedere a me cosa ci sia per pranzo o per cena. Allo stesso modo, non si fanno problemi a rivolgersi alla mamma per farle sistemare la catena della bicicletta, o chiederle di montare una nuova lampada sulla loro testiera del letto, perché la mamma ha abilità manuali più affidabili delle mie e una spiccata attitudine per il costruire le cose.

Quando mi viene chiesto come si possa fare per iniziare ad abbattere gli stereotipi di genere, mi capita spesso di dire che uno dei modi più divertenti che conosco è quello di disinnescare i ruoli precostituiti, di giocare con i cliché, di seguire le proprie inclinazioni ignorando le aspettative degli altri. E può essere utile farlo cominciando proprio dalla vita in famiglia.

Poi, certo, la famiglia non è la società, ma tutto quello che sperimentiamo o sperimenteremo là fuori, nel mondo, parte in definitiva da qui: dai modelli parentali o genitoriali che ci vengono proposti fin da piccoli. Se cresciamo i nostri figli e figlie con l’idea, esplicita o implicita, che ci siano cose “da maschi” e cose “da femmine”, cose solo “da mamma” e cose solo “da papà”, territori esclusivi e impermeabili, ecco che il cosiddetto binarismo – con le sue discriminazioni – è servito, e che sia di genere o di ruolo poco cambia. Perché si tratta di un seme maligno che, una volta che è riuscito ad attecchire, è molto difficile da estirpare.

L’APPUNTAMENTO CON “LIBIVE” – Il 6 aprile alle 18, sulla pagina Facebook de ilLibraio.it, Matteo Bussola parlerà del suo nuovo libro, Viola e il Blu, con Francesco Mandelli e Luisa Bertoldo

È un male insidioso che cresce piano, seguendo percorsi quasi obbligati, quando per esempio educhiamo le nostre figlie a essere ubbidienti e docili, a “fare le brave”, mentre ai maschi viene concesso con più facilità di essere indisciplinati e liberi. Cresce quando, durante l’adolescenza, le femmine che sperimentano la propria sessualità vengono considerate ragazze facili, invece per i maschi sembra appartenere all’ordine delle cose. Si alimenta quando, diventando adulti e a parità di bravura, per una promozione viene scelto un uomo invece che una donna.

Germoglia tutte le volte che, durante un colloquio di lavoro, a una donna viene chiesto se ha intenzione di avere figli, mentre agli uomini questa cosa non viene chiesta mai, come se i maschi fossero esentati dalla paternità, che tanto ci sono le femmine ad alleggerirli dalla zavorra familiare, oppure ogni volta che, di una madre che torna troppo tardi dall’ufficio, si pensa sia una mamma disattenta, mentre un padre che fa la stessa cosa è solo un poveretto che si sta ammazzando di lavoro in nome della famiglia.

Il male fiorisce quando si insinua che una donna senza un uomo a fianco valga meno, che il mondo mica lo puoi affrontare da sola. Infatti, nella maggioranza delle favole, le principesse devono sempre essere salvate da un principe. Oppure se, per descrivere una stessa condizione, si usa “scapolo” per gli uomini e “zitella” per le donne, dove la prima parola viene associata a una vita traboccante di potenzialità sentimentali, e la seconda indica un’inesorabile data di scadenza. O ancora ogni volta che, di una donna efficiente in ambito professionale, si dice che è “una donna con le palle”, come se essere determinate nel proprio lavoro significasse trasformarsi in uomini.

Quel seme diventa infestante tutte le volte che il rosa viene definito in automatico il colore “delle femmine” e il blu il colore “dei maschi”. Mentre per esempio le nostre tre bambine, ma immagino moltissime altre, come colori preferitissimi hanno: il viola, il giallo e il rosso. Perché, come mi ha spiegato una volta Ginevra a cinque anni: “Papà, i colori sono solo colori, sai?”

Ma lo diventa, allo stesso modo, ogni volta che insegniamo a un bambino a non piangere perché dev’essere “un ometto”, quando trasmettiamo l’idea che, per essere veri uomini, i maschi debbano reprimere la propria sofferenza ed esibire invece sicurezza. Tutte le volte che di un padre molto presente diciamo che è “un mammo”, come se l’affettività, l’amorevolezza e la cura non potessero essere virtù maschili, ogni volta che sposiamo l’idea che il tempo con i figli non riguardi davvero i padri, e che la loro funzione principale debba restare, secondo il luogo comune, quella di sostegno economico o del mettere paletti.

Peccato che una famiglia non si fondi sul sostenere, ma sul sostenersi, non sul marcare ambiti, ma sul condividerli, non sullo stabilire confini o sul chiudere porte, ma sul tenerle il più possibile aperte. Ed è preoccupante che in un’epoca in cui si parla in continuazione di genitorialità condivisa, di paternità più consapevole e attiva, di famiglia come luogo dell’incontro e del reciproco rispetto, questa suddivisione manichea riesca ancora a farsi strada.

Superare le vecchie categorie è il compito che ci spetta, per le nostre figlie e i nostri figli, ed è un percorso da fare uniti, cominciando finalmente a insegnare che non esistono attitudini, colori o tonalità dell’animo solo maschili, o solo femminili. O che, se vogliamo dire che esistono, allora dobbiamo anche specificare che il maschile e il femminile abitano in tutti noi, in proporzioni variabili per ciascuno e indipendentemente dal genere di appartenenza. E dunque tutti abbiamo diritto a poter esprimere la nostra forza o la nostra tenerezza, la nostra determinazione o la nostra fragilità, i nostri bisogni e i nostri desideri, senza che qualcuno possa decidere, al posto nostro, cosa ci dovrebbe spettare per statuto.

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La questione è tutta qui: abbandonare gli stereotipi del vero uomo o della vera donna, e ambire a essere uomini veri e donne vere.

I veri uomini e le vere donne vivono rinchiusi in caselle in cui sono stati infilati a forza, e nelle quali troppo spesso soffocano per mancanza di ossigeno, i risultati sono sotto i nostri occhi.

Gli uomini veri e le donne vere, al contrario, vivono e amano nel mondo, sanno scegliere chi vogliono essere senza paura di deludere, accolgono le loro unicità e quelle degli altri come una risorsa, sapendo che sono proprio quelle a renderli liberi.

È questo a fare tutta la differenza che conta.

Viola e il Blu, Matteo Bussola

L’AUTORE E IL LIBRO – Matteo Bussola è nato a Verona nel 1971. Laureato in architettura a Venezia, ha preferito dedicarsi alla carriera di fumettista. Lavora con diverse case editrici di fumetti, italiane e straniere. Collabora con Robinson di Repubblica, e conduce con Federico Taddia un programma settimanale su Radio 24, I padrieterni, sul ruolo dei nuovi padri. Vive a Verona con la compagna, tre figlie e tre cani. Ha scritto molti libri, pubblicati da Einaudi Stile Libero e tutti bestseller: Notti in bianco, baci a colazione (2016), Sono Puri i loro sogni. Lettera a noi genitori sulla scuola (2017), La vita fino a te (2018) e L’invenzione di noi due (2020).

Il suo ultimo libro, Viola e il Blu, è una storia per ragazzi pubblicata da Salani e ha per protagonista Viola, una bambina che gioca a calcio, sfreccia in monopattino e ama vestirsi di Blu. Viola i colori li scrive tutti con la maiuscola, perché per lei sono proprio come le persone: ciascuno è unico. Ma non tutti sono d’accordo con lei, specialmente gli adulti. Tanti pensano che esistano cose ‘da maschi’ e cose ‘da femmine’, ma Viola questo fatto non l’ha mai capito bene.

Così un giorno decide di chiedere al suo papà, che di lavoro fa il pittore e di colori se ne intende. È maggio, un venerdì pomeriggio, il cielo è azzurrissimo e macchiato di nuvole bianche, il papà è in giardino che cura le genziane. Le genziane hanno un nome da femmine, eppure fanno i fiori Blu. Però ai fiori, per fortuna, nessuno dice niente. Non è come con le persone, pensa Viola. Un fiore va bene a tutti così com’è

In questa storia, ispirata dalle conversazioni con le sue figlie, Matteo Bussola indaga gli stereotipi di genere attraverso gli occhi di Viola, una bambina che sa già molto bene chi è e cosa vuole diventare. Un racconto per tutti, che celebra la forza della diversità e l’importanza di crescere nella bellezza e nel rispetto delle sfaccettature che la vita ci propone. Una storia dedicata a tutti quelli che vogliono dipingere la propria vita con i colori che preferiscono.

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