Cambiano gli approcci, e cambiano anche le identità. Le stesse dating app ormai riconoscono non solo tutti gli orientamenti sessuali, ma alcune provano anche con le identità fluide e non-binarie. Il mondo della letteratura (e del fumetto in particolare) non resta indifferente, come pure quello del cinema e delle serie tv (basti pensare a Fraser e Caitlin, giovani protagonisti di “We Are Who We Are”, la nuova serie di Luca Guadagnino). Su ilLibraio.it un approfondimento (anche grazie ai contributi di Jonathan Bazzi e Nicoz Balboa) dedicato ai nomi della cultura contemporanea che indagano i nuovi modi di abitare il corpo e di vivere il desiderio. A prescindere dal binarismo di genere

In un’epoca di distanziamenti, bisogna arrendersi a un nuovo tipo di socialità: se già prima della pandemia il ruolo di internet era cruciale per mantenere le relazioni, ora lo è ancora di più per instaurarne di nuove.

Le dating app vivono dunque un momento di grande notorietà: usate da un numero sempre maggiore di persone, in particolare dopo il lockdown, non sono però una novità. Sono diventate popolari già intorno al 2014, soprattutto grazie al successo di Tinder, l’app attualmente più scaricata e usata al mondo.

Ma la verità è che l’utilizzo delle app di incontri è stato sperimentato in primo luogo dalle comunità gay grazie a Grindr, lanciata nel lontano 2009: partendo dal modello di siti di incontri come GayRomeo o Gaydar, è stata la prima app a utilizzare la geolocalizzazione degli iPhone per facilitare gli incontri tra uomini omosessuali disponibili nelle immediate vicinanze.

Diretta evoluzione del cruising, l’attività di abbordaggio nei luoghi pubblici cittadini, ben raccontata da Olivia Laing nel libro Città Sola (Il Saggiatore) nel saggio su David Wojnarowicz, Grindr ha replicato lo stesso spirito di fugacità e anonimato di questa pratica in via tecnologica, con il chiaro fine di ottenere sesso.

L’intuizione dei creatori di Tinder è stata rendere disponibile uno strumento simile agli eterosessuali, considerate le differenti intenzioni sessuali e dinamiche sociali tra i due generi. Quando si parla di stereotipi non c’è niente di più “genderizzato” del dating, che sia in rapporti omosessuali o etero: è proprio vero che le donne cercano l’amore e gli uomini solo sesso, possibilmente da una notte e via? Si pensi alla app Bumble, dove il solo fatto di essere donna dà in automatico il potere di decidere a chi rivolgere la parola.

Ma ha ancora senso utilizzare questi approcci codificati quando la società porta gli individui a mettere in discussione il proprio genere di appartenenza e la possibilità di riconoscersi in uno spettro del genere fluido e non binario? 

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Tinder ha cambiato il proprio algoritmo svariate volte per adeguarlo ai bisogni e alle evoluzioni della società, e le ultime modifiche sono particolarmente rilevanti in merito: nel profilo ora si può esplicitare non solo da chi si è attratti, defininendo il proprio orientamento sessuale, ma anche 29 tipologie di identità in cui ci si riconosce: da gender fluid a pangender, da demisessuale a incerto: “Con il lancio della funzionalità More Gender & Sexual Orientation, Tinder vuole così rompere l’idea di convenzioni binarie e comunicare un forte messaggio di accettazione e apertura alla comunità non binaria“, ha spiegato ​Gabriele Piazzoni, segretario nazionale di Arcigay​ a Vanity Fair.

Un messaggio forte e chiaro: Tinder prende posto nel dibattito in corso, riconoscendo l’esistenza di identità transgender e non binarie, guardando alle nuove generazioni per cui il genere rappresenta un tema identitario centrale, e spesso fonte di pregiudizi e incomprensione. Anche a causa dei mezzi di informazione tradizionali che, però, si stanno adeguando soprattutto sulla scia dei social media, dove attivisti e artisti emergenti riescono ad affermare le proprie voci e a smuovere la percezione pubblica intorno a questi temi. 

Personalità come Alok V. Menon e Kae Tempest, due artist* e performer queer, la cui fluidità di genere riveste un ruolo centrale della rispettiva arte, sui social impiegano un linguaggio efficace per promuoversi ed esprimersi, con l’obiettivo anche di sensibilizzare il proprio pubblico. A partire dall’uso dei pronomi personali impiegati per descriversi, l’intraducibile terza persona plurale inglese they/them, impiegata da tutti coloro che non si identificano nel binarismo di genere femminile o maschile. 

We Are Who We Are, la nuova serie di Luca Guadagnino, prodotta da HBO e Sky e lanciata lo scorso ottobre, ha indubbiamente dato voce alla generazione degli adolescenti di oggi, insistendo soprattutto sul punto di vista del genere. Fraser e Caitlin sono due teenager americani trapiantati in una base militare in Italia: alieni non solo alla società che li accoglie, ma anche alla comunità di adulti e ragazzi che li circonda, solo quando si incontrano riescono a mettere in discussione le rispettive identità, a partire dal proprio genere e orientamento sessuale, e quindi a crescere. Caitlin, da sempre propensa a indossare abiti maschili, nel momento in cui arrivano le prime mestruazioni decide deliberatamente di vestire i panni di un personaggio maschile anche in pubblico, mentre l’amico Fraser la accompagna in questa scoperta di sé e a sua volta sperimenta con il proprio desiderio sessuale verso amiche e amici. 

In Italia l’attenzione verso questi temi  sta crescendo. Persino Elena Ferrante, interpellata da Daria Bignardi su Vanity Fair, evidenzia: “Usiamo le stesse parole, uomini e donne, ma i significati maschili hanno radici profonde, ci imprigionano […]. D’altra parte non bisogna peccare di schematismo, la storia dei generi è anche storia di urti e commistioni, di obbedienze e ribellioni. […] Il mondo si muove”. E incalzata sulla fluidità di genere, se secondo lei potrebbe essere una via per crescere meravigliosamente liberi, la risposta di Ferrante è che “il bello delle vicende umane, specie quando si lavora a raccontarle, è che il cambiamento risolve vecchi problemi e intanto ne genera di nuovi”. 

E sono sempre di più gli autori che prendono parola o ne scrivono, mettendo al centro la propria esperienza. Jonathan Bazzi, sin da prima del suo esordio letterario Febbre (Fandango), finalista allo Strega 2020, ha sempre usato il proprio vissuto per raccontare l’esistenza di persone socialmente ignorate dalle masse, tenute volutamente marginali. E proprio durante il tour di presentazioni, Bazzi ci ha tenuto a specificare pubblicamente di non riconoscersi nel binarismo di genere. A tal proposito ha dichiarato a ilLibraio.it: “È stato importante perché in quella fase, appena passati dalla dozzina alla sestina del premio Strega, si faceva notare che i finalisti erano cinque uomini e una donna. La questione della parità di genere e della sottorappresentanza femminile è al centro dei miei pensieri, ma non mi sta bene la conta binaria maschi-femmine che mi assegna in automatico a un gruppo sulla base dei miei genitali”.

 Febbre di Jonathan Bazzi

Bazzi prosegue: “Non è stata una provocazione: io non mi sento ‘uomo’, ‘maschio’. Sono parole che nella mia mente stridono. “Il signor Bazzi” è un’espressione che mi fa trasalire, mi provoca un senso di alienazione. Non sono io, non parla di me. Tutta la mia storia è modulata – e a tratti marchiata – da altro. Mi sento nel mezzo, ondeggiante tra maschile e femminile“. L’autore di Febbre conclude sottolineando come la risposta pubblica, invece, sia stata molto positiva, soprattutto da parte dei più giovani sui social: “Sono temi su cui il dibattito mainstream è ben poco ricettivo: le identità non binarie sono ancora scarsissimamente raccontate nei canali generalisti”.

In Febbre come in tante altre opere di autori queer, il desiderio è ciò che definisce prima l’orientamento (affettivo e sessuale) e poi l’identità tutta: chi desideriamo, chi amiamo, definisce costantemente anche chi siamo. Il desiderio è stato un grande elemento di traino, e per certi aspetti di salvezza”, spiega. Il desiderio, ogni desiderio, è un vettore: parte da un punto – da una mente, un corpo – e mira ad un altro punto – luogo, professione, altro corpo. Credo che la mia storia, quella narrata in Febbre ma non solo, sia tutta interpretabile alla luce di questa tensione, e della fedeltà a quel vettore”.

Nel fumetto italiano gli esempi sono ancora di più. Impossibile non pensare a Fumettibrutti – Josephine Yole Signorelli, che facendo un coming out inaspettato ha spostato l’attenzione dalla storia di un amore tragico del suo primo Romanzo Esplicito alla sua transizione verso l’identità femminile di P. La mia adolescenza trans e l’ultimo Anestesia (tutti Feltrinelli Comics).

Fumettibrutti Anestesia Feltrinelli

Di recente è uscito anche Play with Fire (Oblomov edizioni) di Nicoz Balboa, a modo suo anch’esso un coming out a fumetti, ma anche molto di più. Balboa, infatti, definisce la sua personalissima storia di amori e di continua ridefinizione della propria identità, anche di genere: dal matrimonio e la nascita della figlia fino alla scoperta della propria bisessualità, e infine, l’affermazione, davanti allo specchio, del proprio genere di appartenenza.

Nicoz si identifica come uomo transgender (e dunque adotta per sé i pronomi maschili), e così risponde alle domande dei ilLibraio.it: “Ho bisogno di raccontarmi per vedermi. Nei diari grafici come in Born To Lose (Coconino Press, ndr) uso questo mezzo come un modo per vedere la mia vita da un altro punto di vista, per poterla analizzare e integrare. In Play With Fire, invece, la storia è un po’ diversa, ho usato l’autofiction per raccontare una storia, la mia e non solo, e per far capire certi concetti che mi stanno a cuore (come il gender, l’orientamento sessuale o, più semplice, la ricerca del sé)”. E continua, quando lo interroghiamo in merito al desiderio che l’ha mosso: “Negli anni ho imparato che ciò che vogliamo ci vuole a sua volta. Non sto parlando di desiderio verso altri esseri umani, ma di desiderio verso ciò che vogliamo essere e dove vogliamo andare. Un desiderio profondo è spesso indice della giustezza del cammino che dobbiamo intraprendere, se ci fidiamo della nostra intuizione – e del fatto che abbiamo diritto di essere felici senza doverne pagare il prezzo –  la nostra vita prende una piega inaspettata”.

nicoz balboa

Guardando indietro nella nostra letteratura, Pier Vittorio Tondelli è stato tra i primi a parlare dell’omosessualità come di un fattore identitario negli anni ‘80, in un’Italia che a mala pena riusciva a validare l’esistenza delle persone gay. Il vero tema di Altri libertini e di altre opere di Tondelli, afferma Olga Campofreda in Dalla generazione all’individuo, il suo recente saggio uscito per Mimesis, è l’identità queer, appunto: “Il modo in cui Tondelli ha costruito le identità dei suoi protagonisti assorbe il linguaggio di una rivoluzione culturale che proprio in quegli anni stava facendo vacillare i valori della società borghese fondata sulla famiglia di stampo patriarcale. La giovinezza è per questi emarginati una fase di ricerca in assoluta libertà: è abitare, in alcuni casi, identità fluide, in altri casi abbracciare morali lontane dagli schemi borghesi (storicamente determinati)”.

Problemi su liste nostre proposte + due domande

Si pensi poi alla riscoperta dell’opera di Mario Mieli, forse uno dei primi teorici queer italiani, al cinema con il biopic Gli anni amari di Andrea Adriatico e in libreria con L’uccello del paradiso: un ritratto di Mario Mieli (a firma di Luca Scarlini per Fandango).

Il filosofo Paul B. Preciado lo afferma con forza nei propri scritti, da Testo Tossico a Manifesto Controsessuale, fino all’ultima raccolta Un appartamento su Urano (tutti per Fandango): la chiama “la violenza prodotta dall’epistemologia binaria dell’Occidente”, e non si riferisce solo all’identità sessuale, ma a tutte le divisioni che questo sistema ci impone e sulla cui negazione dell’opposto, del contrario dobbiamo definire la nostra identità. La soluzione Preciado la trova nel cambiamento, nell’evoluzione e nel rifiuto di quelle etichette: un obiettivo auspicabile per tutta l’umanità.

Paul B. Preciado Un appartamento su Urano

Come ha scritto su ilLibraio.it lo stesso Bazzi, parlando di Paul B. Preciado, “il suo è il pensiero della clandestinità e della dissidenza, un’utopia infiaccabile e a tratti feroce, che ha il compito di ampliare sempre di più le pareti del mondo”.

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