“Gli adolescenti sono stati coloro ai quali abbiamo prestato meno attenzione negli ultimi anni, stanno attraversando un momento di grande, terribile  fragilità, ed è tutta colpa nostra. Quando è esplosa la pandemia i bisogni dei ragazzi sono stati ignorati per molto tempo. E, alla fine, la soluzione è stata quella di isolarli, nonostante si trovassero in un periodo della vita in cui il rapporto con gli altri, anche fisico, la possibilità di incontrarsi fuori di casa, è determinante per la propria formazione emotiva”. Dopo il successo di “Viola e il Blu” e “Il rosmarino non capisce l’inverno”, Matteo Bussola, autore amatissimo da lettori di tutte le età, torna in libreria con “Mezzamela”, un romanzo sulla parità di genere dedicato ai giovani lettori che stanno per affacciarsi sull’adolescenza. Bussola, intervistato da ilLibraio.it, parla dell’esigenza di ribaltare le narrazioni tossiche sui ruoli di genere e sul rapporto tra genitori e figli. E sottolinea: “Viviamo in una società che si ostina a mettere costantemente il lavoro in contrapposizione alla vita, come se si dovesse scegliere tra essere un buon padre oppure un buon lavoratore, o una buona madre oppure una donna in carriera. Nella mia esperienza, invece, le due cose si alimentano a vicenda”

Fumettista, autore prolifico, Matteo Bussola torna in libreria con Mezzamela – La bellezza di amarsi alla pari (Salani), libro per ragazzi in cui riprende le tematiche che più gli stanno a cuore, dalla parità di genere alla lotta contro gli stereotipi. Sempre pacato, riflessivo così come sono i suoi testi, Bussola si occupa di argomenti fondamentali, emersi sin dal suo esordio nella narrativa con Notti in bianco, baci a colazione (Einaudi, 2016), testimonianza toccante e veritiera della paternità, e riproposti fino ad arrivare a una delle uscite del 2022 più amate dai lettori: Il rosmarino non capisce l’inverno (Einaudi Stile Libero).

Tra le pagine di Mezzamela ritroviamo i protagonisti di Viola e il Blu (Salani, 2021), che, arrivati alle scuole medie, scoprono di provare dei sentimenti fino ad allora sconosciuti. Per Viola e per il suo migliore amico Marco non ci sarà però solo la scoperta di un’emozione nuova, ma anche l’amaro confronto con le narrazioni tossiche e le assurde regole di comportamento tra generi a cui il mondo circostante vorrebbe si uniformassero.

Abbiamo incontrato Matteo Bussola in occasione dell’uscita di Mezzamela.

Matteo Bussola Mezzamela

Dopo Viola e il Blu, in Mezzamela torna a un tema che le è caro, gli stereotipi di genere, in questo caso declinati in un’altra età: la preadolescenza, quando i ragazzi scoprono di doversi confrontare con una narrazione sessista e anacronistica delle relazioni amorose.
“Anche in un’epoca come la nostra, in cui i modelli di genere dominanti vengono messi in crisi, gli stereotipi sono ancora profondamente radicati, e innervano il mondo degli adolescenti, vita sentimentale compresa. Basti guardare i maggiori successi letterari Young Adult degli ultimi anni”.

Cosa si osserva?
“Spesso è ancora presente un’idea di mascolinità tossica e i ruoli dei personaggi sembrano tagliati con l’accetta, con protagoniste femminili graziose, fragili e sensibili e protagonisti maschili coriacei, incompresi, introversi. Quando osservo le mie tre figlie, che hanno età diverse, e vedo cosa accade nelle loro scuole, il rapporto che hanno con il maschile e che il maschile ha con loro, questa percezione viene confermata. Certe dinamiche purtroppo sono ancora presenti e gli stereotipi sentimentali ne sono parte. Ma sono gabbie in cui in realtà stiamo tutti scomodi, perché per definizione lo stereotipo preclude l’accesso al rapporto con l’altro, alle emozioni, ai sentimenti, a una comunicazione autentica, e quindi sarebbe nel reciproco interesse rendersi più permeabili”.

Viola e Marco sentono già dentro di loro un’esigenza di parità. Sembra essere proprio la società che li circonda a impedirgli di esporsi, trasmettendo irrealistiche regole di comportamento.
“Dettami su come debba essere un maschio e come una femmina, su cosa sia lecito aspettarsi da un maschio e cosa da una femmina. E invece, davanti all’amore, abbiamo tutti le stesse fragilità e le stesse paure. Mi fa impressione constatare analoghi comportamenti anche tra gli adulti”.

Ci racconti.
“Non capisco questo timore che abbiamo gli uni degli altri e che ci spinge a chiuderci in una posizione protettiva più che ad aprirci di fronte a un sentimento come l’amore. Mi sconcerta una narrazione che spinge le due parti a fronteggiarsi come avversari invece che riscoprirsi alleati con gli stessi bisogni, gli stessi desideri e gli stessi timori”. 

Questo aspetto viene raccontato bene dal personaggio di Tommy, il bullo.
“In Mezzamela la società è rappresentata dalla scuola, perché è lì che i nostri figli fanno le prime esperienze relazionali e passano la maggior parte del tempo. La scuola alla fine è una riproposizione in piccolo di ciò che un domani troveranno fuori, nel mondo. Ecco, Tommy è il ritratto di quel lato della società: il bullo che schernisce Viola e Marco, che decide cosa va bene e cosa no perché, essendo anche il capitano della squadra di basket, gode di un certo credito tra i compagni e influenza gli altri costringendoli ad adattarsi alla sua visione manichea dei rapporti. Una visione che, però, lui stesso ha subito. Ed è proprio questo il punto: Tommy è figlio di una narrazione distorta che, quindi, ripropone inconsapevolmente per cercare di dominare le sue paure”. 

La parabola personale di questo personaggio, però, si conclude con un’apertura, una speranza di miglioramento.
“Non sono così ingenuo da pensare che basti un libro per cambiare il mondo, però credo comunque che leggere delle storie, soprattutto quando si è molto giovani, sia fra le cose che che ci servono di più. Quando leggiamo una storia, per quel breve o lungo tempo che vi dedichiamo, entriamo letteralmente nella pelle del personaggio, osserviamo la realtà con i suoi occhi. In quel momento, anche se non ce ne rendiamo conto, stiamo contribuendo a cambiare il mondo e lo stiamo facendo nella maniera più potente che esista: cambiando noi stessi, indossando uno sguardo che per noi, magari, è inedito e a volte non corrisponde a quello che siamo o pensiamo abitualmente e che, proprio per questo, è ancora più importante, perché ci permette di accogliere punti di vista che normalmente non considereremmo”.

Aveva già in mente questa storia quando ha scritto Viola e il Blu?
“No, non avevo in mente questa storia. In realtà Viola e il blu sarebbe dovuto essere un libro a sé stante, ma alla sua uscita ha trovato un così grande riscontro che un seguito è stato auspicato quasi subito. Soprattutto, mi è sembrato che Viola e Marco avessero ancora delle cose da raccontare. È piuttosto il tema a precedere, in un certo senso, il libro stesso: era un po’ di tempo che avevo intenzione di affrontare le tematiche sentimentali di quell’età a cavallo tra l’infanzia e l’adolescenza. La ritengo una questione di profonda importanza”.

Perché?
“Credo che gran parte del nostro ‘assetto sentimentale’, del modo in cui ci relazioniamo agli altri, di cosa ci aspettiamo da loro e di cosa ci fa paura, nasca proprio in quel periodo, all’incirca durante la seconda media. È un discorso che parte a quell’età per poi diventare trasversale a tutte le altre”. 

Proseguire la storia di Viola e Marco, quindi, è stata una sorpresa anche per lei.
“È il bello di scrivere. Quando ho capito che i protagonisti sarebbero potuti essere di nuovo Viola e Marco, è stata una specie di illuminazione. Anche perché mi piaceva l’idea di accompagnare le giovani lettrici e i giovani lettori durante la loro crescita. Viola nel primo romanzo ha quasi nove anni, il libro è uscito all’inizio del 2021 e in Mezzamela, che è uscito a inizio 2023, ne ha undici. In questo modo le stesse bambine e bambini che hanno letto Viola e il Blu ritrovano la protagonista in un’età che corrisponde alla loro e con una storia che rispecchia il periodo che stanno vivendo”.

Quale posto le sembra occupino gli adolescenti nella nostra società?
“Gli adolescenti sono stati coloro ai quali abbiamo prestato meno attenzione negli ultimi anni, stanno attraversando un momento di grande, terribile  fragilità, ed è tutta colpa nostra. Quando è esplosa la pandemia i bisogni dei ragazzi sono stati ignorati per molto tempo. E, alla fine, la soluzione è stata quella di isolarli, nonostante si trovassero in un periodo della vita in cui il rapporto con gli altri, anche fisico, la possibilità di incontrarsi fuori di casa, è determinante per la propria formazione emotiva. Credo che sarà possibile rendersi conto dell’impatto della pandemia su questa generazione solo nei prossimi anni. In questo momento i dati ci raccontano di reparti di neuropsichiatria infantile pieni di adolescenti ricoverati per fenomeni di autolesionismo, disturbi alimentari, tentativi di suicidio. Si trovano in un’età fisiologicamente complicata, in cui si cerca di capire il proprio posto nel mondo. Ma per farlo è necessario avere relazioni sociali, incontrarsi, toccarsi, scoprirsi. E l’alternativa, in questi anni, è stata esclusivamente virtuale, piena dei troppi modelli nefasti a cui la rete espone gli adolescenti e che provocano in loro frustrazione e senso di inadeguatezza. La mia unica speranza è che, tra una decina di anni, il periodo della pandemia possa venire ricordato da quella generazione come un’esperienza condivisa, un trauma che li ha visti accomunati dalla stessa situazione. Che possa trasformarsi in una specie di senso di appartenenza”.

Viola nel romanzo ha paura di parlare di Marco con i suoi famigliari, teme infatti che loro, abituati a vivere lamore degli adulti”, non riescano a capire quello della sua età. Parlando con il Matteo Bussola padre: come si affrontano da genitori le prime cotte dei figli/e?
“Fino a una certa età i genitori sono il primo riferimento per i figli, poi quando il corpo comincia a cambiare ed emergono le prime pulsioni, il dialogo inizia a interrompersi. Credo che questo dipenda dal fatto che gli adolescenti intuiscono che a noi per primi disturba parlare di sessualità con i nostri figli. Forse ci fa più comodo continuare a vederli come eterni bambini o eterne bambine, per illuderci così di avere ancora controllo sulle loro vite. Invece l’adolescenza rappresenta un distacco e, quindi, il dialogo diventa più difficile e come genitore sei costretto a metterti continuamente in discussione. Io, con le mie figlie, cerco di continuare a parlare, di assistere ai loro cambiamenti, senza interferire con lo sviluppo della loro legittima autonomia, ma comunque essendo presente per quanto possibile nelle loro vite”.

Il dialogo diventa uno strumento per i genitori e per i figli.
Penso che, se questo dialogo riuscissimo a portarlo avanti anche nell’adolescenza, entrambe le parti avrebbero da guadagnarne. Ogni volta che parlo con le mie figlie, di qualsiasi tema, mi arricchisco, perché i bambini e, soprattutto, gli adolescenti hanno la capacità di osservare il mondo riducendolo ai termini essenziali, tornando al senso originario delle cose. Parlare di emotività, di sentimenti, riuscire a trasmettere a tuo figlio l’idea che va bene esattamente com’è, è fondamentale, perché ciascuno di noi è unico. Ed è questa la risorsa più preziosa che custodiamo. E questo noi adulti dobbiamo ricordarlo, perché spesso l’inadeguatezza nasce in famiglia. È difficile per un genitore accettare che un figlio cresca in un modo diverso da quello che sperava. Ma la realtà è che i figli non vengono al mondo per assomigliarci, o per piacerci, ma per tradire le nostre aspettative. Più un figlio tradisce queste aspettative, più sta tracciando una distanza in cui creare la propria personalità. E tu, da genitore, devi amare un figlio soprattutto quando ti accorgi che ti sta dicendo che è diverso da te e da come lo immaginavi. L’amore è la sfida più potente che la vita ci propone”.

Pochi giorni fa, in un post su Facebook, ha annunciato di voler modificare la sua routine lavorativa, in particolare per quanto riguarda le presentazioni e gli eventi dal vivo. Ci parla di questa esigenza?
“Viviamo in una società che si ostina a mettere costantemente il lavoro in contrapposizione alla vita, come se si dovesse scegliere tra essere un buon padre oppure un buon lavoratore, o una buona madre oppure una donna in carriera. Nella mia esperienza, invece, le due cose si alimentano a vicenda”.

Ci faccia un esempio.
“Essere un buon genitore, accogliere il pensiero e le necessità dei figli, imparare a essere multitasking, avere la capacità di riconoscere a cosa vale la pena dare priorità, serve anche sul lavoro. È qualcosa che rende più produttivi e, nel mio caso, mi rende uno scrittore più attento perché mi predispone a un ascolto più profondo. Fermo restando che il mio lavoro corrisponde anche alla mia passione e che non voglio dimenticarmi perché scrivo e perché disegno, non voglio neppure dimenticarmi per chi scrivo e disegno, e finire col togliere spazio a quella parte di me per vendere qualche copia in più o fare qualche presentazione in più. Non ha senso contribuire al mantenimento e alla crescita della mia famiglia se poi non riesco a vivermela e a essere presente. Trovare un equilibrio tra vita personale e lavoro è difficile e ognuno di noi fa le proprie scelte, compatibilmente con le proprie possibilità. Io ho fatto le mie”.

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Fotografia header: Matteo Bussola credit: Francesco Spighi

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