Nel labirintico “La più recondita memoria degli uomini”, Mohamed Mbougar Sarr, vincitore del premio Goncourt nel 2021, racconta la ricerca di uno scrittore fantasma, sfuggente e inafferrabile, che è insieme un atto d’amore verso la letteratura, i suoi pericoli e il suo eterno, insopprimibile mistero. Nel romanzo aleggia forte il fantasma di Roberto Bolaño…

Scrivere. Dedicare la propria vita alla ricerca di storie e di parole per raccontarle. Parlare di sé stessi, parlare di tutti gli altri, inventare e ricordare. Sgravarsi dell’opera che portiamo dentro, tenendo al nostro fianco gli autori prima di noi, e rincorrere la chimera del Libro, dell’unico libro, che esaurirà tutte le storie o che, al contrario, sarà il punto di partenza da cui ne nascono altre, infinite, come ombre che accompagnano la vita di tutti gli uomini. Ma perché? Perché scrivere, che cos’è scrivere?

La più recondita memoria degli uomini di Mohamed Mbougar Sarr, vincitore del premio Goncourt nel 2021 e edito in Italia da e/o nella traduzione di Alberto Bracci Testasecca, è un romanzo sulla letteratura. Sulla letteratura e i suoi pericoli, le sue zone d’ombra, i punti ciechi e, soprattutto, le domande continue che porta con sé. Una in particolare: qual è, quale deve essere il suo rapporto con la vita.

la più recondita memoria degli uomini sarr

Diégane Latyr Faye è un giovane scrittore senegalese che vive in Francia. Ha scritto un libro, del quale non è pienamente soddisfatto, e frequenta altri autori come lui, intellettuali africani inquieti e animosi, lontani dai loro paesi d’origine e sospesi in una condizione quasi d’esilio. Una sera, per caso, fa l’incontro di Maréme Sia D., scrittrice più anziana, che lo porta a scoprire un mistero che diventerà per lui un’ossessione: T.C. Elimane, misterioso scrittore senegalese autore di un solo libro negli anni ’30, Il labirinto del disumano, poi scomparso nel nulla.

Di lui resta pochissimo, e ciò che è sopravvissuto al tempo sono solo poche informazioni contraddittorie: forse non era africano, forse lo era ma non ha fatto altro che riscrivere un mito tradizionale del suo popolo, forse la sua opera non è altro che un intero plagio di altri autori. Il Rimbaud negro è un fantasma indecifrabile e Diégane ne è irresistibilmente attratto, come se il suo enigma fosse l’enigma stesso della letteratura, e allora si lancia alla sua ricerca, per ricostruire la sua storia.

Tutto il libro è un labirinto, che intreccia piani, temi e luoghi diversi riportandoli sempre però allo stesso punto, alla necessità ineludibile della scrittura, alle sue menzogne e alle sofferenze che può causare. T.C. Elimane attraversa le epoche come un ombra: vive il dramma della colonizzazione e dello sradicamento dal paese natale, attraversa con i suoi editori l’orrore della seconda guerra mondiale e le persecuzioni agli ebrei. La sua vita è anche la vita di chi lo ha generato e cresciuto, di chi lo ha incontrato, di quelli che lo hanno accompagnato nella sua avventura. Diégane Faye lo insegue e scopre sempre nuove voci, una verità dietro l’altra, e più cose apprende su Elimane più lui sembra sfuggente, inafferrabile.

In questo romanzo aleggia forte il fantasma di Roberto Bolaño, anche per il caleidoscopio di personaggi che si passano il testimone nella narrazione, ai quali si aggiungono estratti di saggi letterari, diari, memorie. Ognuno è un punto da cui si irraggiano continue diramazioni, racconti che si impastano con i rimpianti e le ambizioni personali. Tutti sono loro stessi, e al contempo circondati e quasi posseduti da fantasmi, che li attraversano e sembrano parlare per loro bocca. «Si erano resi conto, all’epoca, di agitarsi per il futuro? O meglio, erano stati sfiorati dall’idea che un giorno, molto tempo essere morti, la loro vita avrebbe dato luogo all’ossessione di altre vite?».

T.C. Elimane e il suo libro sono un fuoco attorno al quale ballano tutti i protagonisti, consumando le loro esistenze nelle vesti di investigatori e testimoni, di giudici e accusati. Presi da una passione intensa, sempre venata da un erotismo a volte tenero e spesso quasi bruciante. Mentre corrono e si affanno fanno l’amore tra loro, si avvicinano, scappano lontano, si ritrovano spinti da impulsi che non riescono a controllare. E parlano, si scontrano, litigano e si riappacificano. Osservano i grandi rivolgimenti politici e cercano di capire che rapporto vi sia tra questi e la loro scelta di essere scrittori. Nel romanzo spira una forza che attraversa tutte le epoche, dall’Europa degli anni ’30 fino al Senegal contemporaneo. Mohamed Sarr affronta anche, ovviamente, l’enorme questione coloniale, che mette il protagonista Diégane di fronte al conflitto tra l’identità bianca e quella nera, per cercare di andarvi oltre.

E su tutto e tutti domina, come ultima potenza, la letteratura. Un mostro a più teste da cavalcare e da cui farsi divorare. Un amore perpetuamente rinnovato proprio mentre se ne vedono i grandi conflitti, quelli privati e quelli con la storia. La risposta a “perché scrivere” è ancora scrivere, e continuare a interrogarsi, e non smettere mai la ricerca che non è più solo di uno scrittore ma della scrittura stessa. «È la nostra vita: cercare di fare letteratura, sì, ma anche parlarne, perché parlare significa anche mantenerla in vita, e finché sarà viva lei la nostra vita, per quanto inutile, per quanto tragicamente comica e insignificante, non sarà andata del tutto perduta».

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Fotografia header: Mohamed Mbougar Sarr - GettyEditorial 01-07-2022

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