Grazie alle sue idee immaginifiche e ironiche, dai significati stratificati e dal ritmo incalzante, Ray Bradbury (22 agosto 1920 – 5 giugno 2012) è stato ammirato e preso a modello da intere generazioni di lettori e romanzieri, che hanno visto in lui un innovatore delle distopie e uno scrittore capace di oltrepassare i confini di ogni genere letterario – Un approfondimento che ripercorre le tappe cardine della sua vita e ne contestualizza la produzione, con un occhio di riguardo ai suoi due capolavori: “Cronache marziane” e “Fahrenheit 451”

Acclamato per l’universo fantastico che ha inventato e poi esplorato da cima a fondo nel corso di settant’anni di carriera, Ray Bradbury (1920-2012) è uno fra gli scrittori del Novecento più prolifici (a lui si devono oltre 400 racconti e 50 libri) e più amati da lettori e lettrici di fantascienza (e non solo), per via del suo stile ironico e immaginifico, delle sue trame ad alta tensione e dei significati profondi e stratificati della sua narrazione.

Non per niente, con le sue idee brillanti e ricche di fascino, Bradbury è stato preso a modello da intere generazioni di romanzieri, a cominciare da Neil Gaiman (“Posso immaginare tutti i mondi possibili, ma non posso immaginare un mondo senza Ray Bradbury“, affermò una volta l’autore di American Gods) fino ad arrivare al maestro del terrore del Novecento, a cui si devono bestseller come It, Shining o Misery non deve morire, e che pare abbia dichiarato in prima persona: “Senza Ray Bradbury non ci sarebbe stato Stephen King“.

Di seguito, un approfondimento che ripercorre le tappe cardine della sua vita e ne contestualizza la produzione, con un occhio di riguardo alle opere che lo hanno reso celebre ai quattro angoli del mondo, ovvero Cronache marziane e Fahrenheit 451.

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Un’infanzia da vivere per sempre

Nato a Waukegan (Illinois) il 22 agosto del 1920, Ray Bradbury proveniva da una famiglia di umili condizioni. Sua madre era un’immigrata svedese e suo padre un operaio elettrico, che nel periodo della Grande Depressione si ritrovò ben presto senza lavoro. Per questo motivo la famiglia Bradbury si spostò prima in Arizona e poi in California, dove il padre nel 1934 riuscì a firmare un buon contratto.

Nel frattempo il piccolo Ray amava collezionare giochi di ogni tipo, leggere fumetti e festeggiare il giorno di Halloween: tre passioni che non lo avrebbero più abbandonato fino alla morte. Si racconta infatti che alla moglie chiedesse ogni Natale un giocattolo nuovo (fra gli altri cimeli aveva un barattolo di vetro con dentro una testa galleggiante, dono del regista Alfred Hitchcock), che non abbia mai smesso di seguire le avventure di carta di tanti supereroi e che amasse fare “Dolcetto o scherzetto” con al collo la sua cravatta arancione preferita ogni 31 ottobre.

Tutto ciò, quando era bambino, gli permise di sviluppare una fervida fantasia, che intorno ai dodici anni decise di mettere a frutto scrivendo le sue prime storie. Dopodiché, si persuase a fare delle parole il suo mestiere nel momento in cui un mago di nome Mr. Electrico, a Carnevale, toccandolo con la sua spada gli rivolse un’esortazione ben precisa: “Live forever!”. E Bradbury accettò la sfida, cercando l’immortalità nella pratica quotidiana della scrittura.

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Primi passi nel Futuria

Provenendo da una famiglia poco abbiente, in realtà, dopo il liceo non poté iscriversi al college e passò diversi anni diviso fra la vendita di giornali, grazie a cui racimolava qualche spicciolo, e le ore trascorse in biblioteca a istruirsi, a leggere, a scoprire nuovi autori. I suoi preferiti erano L. Frank Baum (1856-1919), Edgar Rice Burroughs (1875-1950), Jules Verne (1828-1905) e specialmente Edgar Allan Poe (1809-1849), al quale si ispirò per scrivere le sue prime storie horror.

Nel 1938 venne pubblicato su una rivista e stabilì di spingersi ancora più in là pur di mettere in circolo il suo nome, fondando un magazine intitolato Futuria Fantasia nel quale i contributi vennero scritti per alcuni anni quasi solo da Bradbury stesso, che però si firmava sempre con uno pseudonimo diverso.

Copertina di un numero della rivista Futura Fantasia di Ray Bradbury

Dopodiché, nel 1947, due episodi concorsero a cambiare per sempre il corso della sua vita: sposò Marguerite McClure, conosciuta nella libreria dove lei lavorava come impiegata, perché la donna aveva adocchiato Bradbury nella convinzione che le avesse rubato qualcosa, e diede alle stampe la sua prima raccolta di racconti, chiamata Dark Carnival.

Con quella che lui chiamava affettuosamente Maggie ebbe la prima figlia nel 1949 (Susan, a cui seguirono Ramona nel 1951, Bettina nel 1955 e Alexandra 1958), mentre il successo letterario bussò alla sua porta a partire dal 1950, quando incoraggiato dalle critiche positive al libro precedente Bradbury raccolse, in un unico volume, ben ventotto racconti che avevano in comune la colonizzazione di Marte. Erano nate le Cronache marziane.

Da Cronache marziane a Fahrenheit 451

Dai sopralluoghi iniziali all’invasione ufficiale, per poi giungere al declino di un’ambizione titanica, Cronache marziane (edito in Italia da Mondadori, nella traduzione di Veronica Raimo) descrive la sfaccettata conquista del Pianeta Rosso da parte degli esseri umani, in un intervallo di tempo che va dall’anno 2030 al 2057.

Per gli Stati Uniti si trattava di un’epoca cruciale per la corsa allo spazio, soprannominata non a caso Space Age a partire dal 1957, che proiettava nell’immaginario collettivo sogni e desideri di conoscenza, di esplorazione, di scoperta. Il punto di partenza per Ray Bradbury fu dunque l’interesse americano per la vita extraterrestre, ma si sviluppò per vie traverse e sorprendenti, lasciandosi alle spalle qualunque parvenza di realismo.

Copertina del libro Cronache marziane di Ray Bradbury

Dai mari di sabbia ai velieri dei marziani, infatti, le storie che compongono Cronache marziane abbondano di descrizioni visionarie e poetiche, di personaggi tutt’altro che antropomorfi, e di situazioni complesse che richiedono un grande uso dell’ingegno per essere risolte. Esperienze lontane dalla concretezza quotidiana, in grado di spalancare per un attimo nuovi orizzonti e ambientazioni mai viste prima, a cui l’autore giunse ripescando molte delle sue letture d’infanzia.

Le Cronache marziane “sono Tutankhamon che esce dalla tomba quando avevo tre anni”, furono le sue parole in merito, “le saghe norrene quando avevo sei anni, e gli dèi greco-romani che mi affascinavano tantissimo quando avevo dieci anni: insomma mito puro” – un mito arricchito da simboli antichissimi e convinzioni moderne, da scoperte scientifiche e da speranze fin troppo ottimistiche, che rappresentando i pro e i contro di certe illusioni novecentesche faceva intanto sognare a occhi aperti perfino chi di Marte non aveva mai sentito parlare.

Un anno dopo la pubblicazione di Cronache marziane, la rivista Galaxy Science Fiction ospitò poi un racconto di Bradbury chiamato The Fireman. Protagonista della breve vicenda, come si intuisce dal titolo, era un pompiere di nome Montag – uno diverso dal solito, però, che appiccava il fuoco all’abitazione di chiunque nascondesse un libro in casa. L’intreccio venne ritenuto originale e promettente, cosicché si propose allo scrittore di trasformarlo in un romanzo.

Dopo svariati tentativi e alcuni riferimenti presi in prestito da sue storie brevi preesistenti, Bradbury consegnò allora la versione definitiva di una nuova opera letteraria, che nel 1953 uscì in quattro puntate per un magazine di recente fondazione, Playboy. Il suo nome era Fahrenheit 451, un testo destinato a trasformarsi nell’arco di pochi anni in uno dei romanzi distopici più apprezzati di sempre.

Copertina del libro Fahrenheit 451 di Ray Bradbury

Portato nel nostro Paese dalla rivista Urania in due puntate, tra novembre e dicembre 1953, per poi essere edito da Mondadori nella traduzione di Giuseppe Lippi, Fahrenheit 451 era inizialmente noto in Italia come Gli anni del rogo (o Gli anni della fenice), anche se in un secondo momento venne ripristinato il titolo originale riferito alla temperatura di combustione della carta (prendendo in considerazione la scala di misurazione anglosassone). La cifra naturalmente è approssimativa, e per di più variabile, ma servì all’autore da “scintilla” per lasciare intendere in maniera indiretta ed efficace il tema del romanzo.

Riprendendo il filo conduttore di The Fireman, infatti, Fahrenheit 451 descrive un mondo in cui il governo fa ricorso ai lanciafiamme dei pompieri per eliminare ogni forma di dissidenza, individuata nello specifico nella “minaccia culturale” che potrebbero rappresentare i libri. Lo status quo imposto dalla “milizia del fuoco” viene tuttavia messo in discussione quando uno di loro, Montag, comincia a domandarsi cosa contengano i libri e prende a leggerli di nascosto.

Appena viene scoperto da sua moglie Mildred, che ha sempre davanti a sé uno schermo o una radio accesa e che è anaffettiva nei suoi confronti, la denuncia ai pompieri contro di lui giunge immediata e inesorabile. Il protagonista obbedisce pertanto agli ordini del suo capo e dà fuoco a casa propria, ma si tratterà del suo ultimo atto di sottomissione prima di un’insubordinazione che lo renderà in un pericoloso ricercato.

Lì per lì il testo venne interpretato nell’ottica di una condanna alla censura e alla dittatura, sulla scia de Il mondo nuovo di Aldous Huxley (1894-1963) o di 1984 di George Orwell (1903-1950) – specie in una fase della storia statunitense segnata da un esasperato maccartismo, che metteva gli uni contro gli altri interi gruppi di persone ritenute ingiustamente sovversive.

E invece, nel 2007, Ray Bradbury ci ha tenuto a specificare in un’intervista al Los Angeles Times che l’obiettivo di Fahrenheit 451 era stato piuttosto quello di criticare la televisione e la sua influenza nefasta sull’esperienza della lettura.

Se ci pensiamo, d’altronde, è allontanandosi dagli schermi (e dalla società che ne incoraggia l’utilizzo) che Montag riscopre dei sentimenti nuovi e prende delle abitudini “rivoluzionarie”: non è più in balia di certe trasmissioni propinate senza spirito critico h24, e passo dopo passo riesce ad appropriarsi di un patrimonio a lui prima sconosciuto, del quale solo chi conosce i libri può conservare la memoria.

Ad ogni modo, va detto che la chiave di lettura più focalizzata sulla denuncia sociale è servita a rendere fin da subito Fahrenheit 451 un bestseller intramontabile, portando nel 1966 a una trasposizione cinematografica diretta da François Truffaut. Si trattò per il regista francese della sua prima opera a colori, con la quale riuscì a presentare nelle sale un adattamento dai toni hitchcockiani e a ricevere tre importanti nomination.

La produzione matura di Ray Bradbury

Dal 1953, grazie alla risonanza internazionale dei due titoli appena citati, e agli elementi lirici e di denuncia in essi presenti, la carriera di Ray Bradbury fu tutta in discesa. La sua popolarità crebbe esponenzialmente e lo portò a produrre idee su idee, da Le auree mele del sole del 1953 a Paese d’ottobre del 1955, fino ad arrivare a L’estate incantata e a La fine del principio, a cui diede forma fra il 1957 e il 1959. In soli dieci anni, insomma, le sue opere si moltiplicarono e si differenziarono, mescolando sempre di più le atmosfere horror alla mitologia, alle storie d’avventura e alle ultime scoperte tecnologiche.

Proprio per via del suo eclettismo e dell’incapacità di essere ridotto a un unico genere letterario, fu Bradbury in persona a negare con forza l’etichetta di “scrittore di fantascienza” che la stampa continuava ad attribuirgli, sostenendo che nel suo lavoro fossero fondamentali piuttosto il mondo del fantastico e del surreale.

Resta indubbio, comunque, che l’entusiasmo suscitato dai suoi libri abbia conquistato in particolare gli amanti della sci-fi, i quali accolsero di buon grado le numerose novità proposte dall’autore nei decenni successivi: Il popolo dell’autunno, Le macchine della felicità e Il corpo elettrico negli anni Sessanta, Il meraviglioso vestito color panna e altre commedie, L’albero di Halloween e Molto dopo mezzanotte negli anni Settanta, e infine Dinosauri, 34 Racconti, Morte a Venice, Omicidi di annata, Viaggiatore nel tempo, La follia è una bara di cristallo, Verdi ombre, balena bianca e I fiori di Marte negli anni Ottanta.

Copertina del libro I fiori di Marte di Ray Bradbury

Nel frattempo, sempre dal 1956 tenne svariate conferenze alla Caltech (California Institute of Technology) e alla NASA, e iniziò a occuparsi di sceneggiatura curando l’adattamento cinematografico di Moby Dick diretto da John Huston, per poi ottenere addirittura la vittoria di un Emmy Award per la miglior regia nel 1979 con uno speciale prodotto dalla ABC, dal titolo Infinite Horizons: Space Beyond Apollo.

Il canto del cigno

Nella prefazione a un compendio di suoi saggi sulla scrittura, che uscì nel 1990 sotto il nome de Lo zen nell’arte di scrivere (ripubblicato nel 2018 da Piano B, nella traduzione di Antonio Tozzi), Ray Bradbury chiosò: “E che cosa c’insegna, mi chiederete voi, il fatto di scrivere? Soprattutto ci ricorda che siamo vivi, e che vivere è un dono e un privilegio – non un diritto. Una volta che ci è stata concessa ce la dobbiamo guadagnare, la vita; la vita esige delle ricompense per averci concesso l’animazione“.

Copertina del libro Lo zen nell'arte di scrivere di Ray Bradbury

Ecco perché la sua immaginazione non smise di produrre frutti neanche dopo il 1999, anno in cui un ictus lo costrinse a muoversi in sedia a rotelle e a limitare gradualmente le sue apparizioni in pubblico. Fece comunque in tempo nel 2007 a ritirare di persona la Menzione Speciale alla Carriera del Premio Pulitzer, e non smise né di rilasciare interviste né di occuparsi di raccolte fondi per le biblioteche della sua zona, nel tentativo di aiutare le persone intorno a sé non solo con le parole, ma anche con i fatti.

Bradbury scrisse inoltre svariate altre commedie, poesie e racconti, acconsentendo per di più nel 2011 a pubblicare in ebook Fahrenheit 451, romanzo fino a quel momento disponibile solo in edizione cartacea per via della sua avversità ai libri in formato digitale. Infine, si spense nella sua villa di Los Angeles il 5 giugno del 2012, dopo che un cratere lunare era stato battezzato Dandelion in suo onore dall’equipaggio dell’Apollo 15, le rocce su Marte erano state definite The Martian Chronicles da alcuni ricercatori della NASA e a un asteroide era stata assegnata la dicitura 9766 Bradbury.

A nemmeno due mesi dalla sua scomparsa, il 6 agosto 2012, i responsabili del Mars Science Laboratory decisero poi di chiamare Bradbury Landing l’area di Marte in cui era appena atterrato il rover Curiosity, chiudendo idealmente un cerchio che riconfermò la capacità di questo autore di diventare immortale impugnando una penna.

Fotografia header: GettyEditorial 16-05-2022

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