“Questa passione e questo ambiente assorbono talmente tanto, che chi viene a lavorare all’ESA diventa un po’ come un monaco devoto a un credo”, spiega Tommaso Ghidini, ingegnere meccanico a capo della divisione di tecnologia dei materiali e portavoce dell’Agenzia Spaziale Europea, che racconta la relazione tra uomo ed esplorazione spaziale nel saggio “Homo Caelestis”. E che a ilLibraio.it anticipa: “Per la prima volta nella storia dell’astronautica stiamo selezionando il primo o la prima astronauta disabile. Lo spazio è di tutti”. Quanto ai progetti futuri, racconta: “Abbiamo in programma delle missioni che guardano davvero ai misteri più profondi dell’universo, come per esempio quelle tramite le quali studieremo i buchi neri, una questione che cela una profondità scientifica al limite con il misticismo e l’assoluto. Senza dimenticare quelle che riporteranno l’uomo sulla Luna…”. E non mancano i rischi: “Spingiamo tantissimo la tecnologia, e ci troviamo di fronte a innovazioni che toccano anche aspetti etici, oltre che di sicurezza, su cui non transigiamo”

Quello che la specie umana coltiva con lo spazio è un rapporto complesso: desideriamo esplorarlo e conoscerne tutti i suoi segreti, eppure questo ci respinge con un’estrema inospitalità per i nostri corpi terrestri. Quella tra uomo e universo è anche una relazione giovane: il primo volo spaziale di Gagarin risale al 1961. Da quel momento ci separano solo 60 anni, eppure abbiamo già da tempo astronauti che abitano la Stazione Spaziale Internazionale dandosi periodicamente il cambio, e fervono i preparativi per la costruzione di una stazione orbitante lunare e per rendere possibili le prime spedizioni su Marte con astronauti a bordo.

Tommaso Ghidini, ingegnere a capo della Divisione di Strutture Meccanismi e Materiali dell’Agenzia Spaziale Europea, di cui è anche uno dei portavoce, racconta questo rapporto nel saggio Homo Caelestis (Longanesi) in cui, come un cantastorie, narra i momenti più importanti che hanno segnato il rapporto dell’uomo con l’esplorazione spaziale e ne delinea il promettente futuro prossimo, bilanciando precisione e competenza con il grande entusiasmo che lo lega a questo settore. Nello spazio infatti, si celano segreti sulla nascita dell’universo e della vita, questioni la cui portata va molto al di là del solo progresso tecnologico; come scrive Ghidini non va dimenticato che “lo spazio è prima di tutto ispirazione”.

Fondamentale però è soppesare lo sguardo ambizioso e speranzoso verso le possibilità offerte dall’esplorazione spaziale con un atteggiamento analitico e pragmatico, soprattutto nei confronti dei fallimenti, che non solo sono inevitabili, ma, come sottolinea l’autore, esperienze sulle quali si plasmano i futuri successi, se si riesce ad affrontarli con lo spirito giusto. Ed è così che, se tutto andrà come previsto, il rapporto tra uomo e spazio proseguirà, subendo una svolta fondamentale al nascere delle nuove generazioni nei futuri insediamenti presenti su Marte, dove con il tempo l’adattamento dell’Homo sapiens al nuovo ambiente condurrà al delinearsi di una nuova specie: l’Homo Caelestis.

copertina del libro homo caelestis di tommaso ghidini

In Homo Caelestis lei consiglia la visione del video Beauty is suffering, in cui il matematico Andrew Wiles racconta le emozioni provate quando ha finalmente trovato la soluzione all’ultimo teorema di Fermat. A lei è capitato di provare emozioni simili in passato?
“Sì – anche se con risultati diversi naturalmente, non voglio certo paragonarmi a Wiles. Durante il mio PhD stavo lavorando a un’equazione che avrebbe dovuto anticipare uno dei meccanismi di rottura delle ali degli aeroplani. Avevo deciso di percorrere una strada che nella scienza è una sfida, cioè sviluppare l’equazione mentre gli esperimenti procedevano, senza confrontarmi preventivamente con i risultati. Quando mi hanno comunicato che gli esperimenti risultavano in linea con l’equazione che avevo ottenuto, ho provato la stessa sensazione di incredulità e di bellezza assoluta. Da questo punto di vista non importa se i risultati abbiano una portata microscopica o macroscopica come quelli di Wiles, in fondo si tratta di qualcosa che nessuno aveva ancora scoperto prima. È la stessa meraviglia che si prova nello scoprire un luogo inesplorato”.

A quali, tra le future missioni spaziali, guarda con più speranza?
“È difficile sceglierne una: abbiamo in programma delle missioni che guardano davvero ai misteri più profondi dell’universo, come per esempio quelle tramite le quali studieremo i buchi neri, una questione che cela una profondità scientifica al limite con il misticismo e l’assoluto. E poi, per una mia personale vicinanza al progetto, direi quelle che riporteranno l’uomo sulla Luna. Proprio l’altro giorno ho visto uno dei moduli che voleranno sulla Luna con persone a bordo: c’era una bellezza pura ed eterna nell’immagine di quell’astronave che ho ancora impressa nella retina: stavo guardando qualcosa che passerà alla storia”.

È difficile, quando si lavora a obiettivi su scala così grande, tornare a occuparsi delle cose di tutti i giorni?
“Mi sento completamente dedicato a questa missione: quando faccio altro, per esempio la spesa, una commissione, una corsa nel parco, penso sempre a questo. È qualcosa che mi accompagna continuamente, senza disturbare. Anzi, rende tutto più leggero, sopportabile: mi accorgo che quando accadono cose che irriterebbero chiunque, me compreso, che so, come rimanere bloccati nel traffico, ho questa sorta di consolazione, un pensiero sempre presente, che mi riporta a una dimensione differente. È una presenza che mi ha accompagnato per tutta la vita, in ogni momento”.

Una bella prospettiva, per chi vorrebbe entrare in questo campo.
“Questa passione e questo ambiente assorbono talmente tanto, che chi viene a lavorare all’ESA diventa un po’ come un monaco devoto a un credo. Non vorrei apparire estremista, ci mancherebbe: anzi penso di poter affermare con certezza che siamo anche persone simpatiche. Ma stando qui ci si rende conto che si lavora a qualcosa che può dare una possibilità in più all’umanità tutta; non solo ai nostri figli e ai nostri nipoti, ma all’intera nostra specie. E quel pensiero, mi creda, resta lì. È un senso di responsabilità, che però risulta lieve, non pesa. È una ‘fatica senza fatica’”.

La tecnologia spesso si muove a ritmi troppo veloci affinché i sistemi legislativi possano starle dietro: con la nascita e la veloce diffusione di internet abbiamo assistito alla portata dei pericoli di questi “vuoti legislativi”. Non esiste lo stesso rischio per l’esplorazione spaziale?
“Il pericolo esiste, perché spingiamo tantissimo la tecnologia, e ci troviamo di fronte a innovazioni che toccano anche molti aspetti etici, oltre che di sicurezza. Sulla sicurezza non transigiamo: abbiamo esseri umani a bordo, e se necessario sacrifichiamo il progresso rimandando le missioni, per non far correre rischi ai nostri astronauti. Questo, per esempio, non è accaduto con lo sbarco sulla Luna, per il quale ci si è assunti dei rischi che oggi noi non potremmo più giustificare. Le ferree regole di sicurezza che abbiamo oggi, però, sono state sviluppate anche in seguito a catastrofi terribili e memorabili: quella dello Space Shuttle Challenger, per esempio, ha cambiato completamente il modo di gestire la sicurezza delle missioni spaziali e ha avuto ricadute anche in molti altri settori industriali ad alto impatto sociale”.

E quanto agli aspetti etici?
“Ce ne sono moltissimi: uno, per esempio, è l’utilizzo dell’energia nucleare. Se potessimo usare un motore nucleare per andare su Marte ci impiegheremmo un quarto del tempo, e sarebbe importante esplorare questa possibilità da un punto di vista puramente tecnico e scientifico. Però noi ne apprezziamo anche la dimensione etica e ci atteniamo alle direttive politiche dei governi dei nostri stati membri. L’ESA propone la propria opinione tecnica con i relativi rischi associati, ma ci sono altre autorità che hanno la parola conclusiva. Pensiamo alla legislazione dello spazio: quando un giorno arriveremo su Marte – ed è uno scenario in cui credo fortemente – dovremo tracciare dei confini. Si stima che una città completamente autosufficiente su un altro pianeta dovrebbe avere circa un milione di abitanti. Se arrivassimo a questo è inevitabile pensare che si possano verificare anche crimini. A stabilire le regole a quel punto sarà la politica dei governi attraverso trattati internazionali, o in questo caso “interplanetari”. Il diritto spaziale è una disciplina in rapido sviluppo. Oppure ancora, pensiamo a tecnologie come la stampa 3D di organi umani: un giorno forse potremmo anche riuscire a stampare un cervello umano; vorrà dire che potremo “stampare” anche un’anima? Si tratta di aspetti che richiedono una regolamentazione molto precisa, ma non può essere l’ESA a definirla o imporla. Da scienziato la mia posizione è che non sarebbe etico non svilupparle, e non perseguirle solo per paura di entrare in un discorso che impone domande a cui è difficile rispondere. Quel discorso va affrontato sui tavoli preposti a farlo”. 

Nel libro descrive l’importanza dei fallimenti nella strada verso i successi, così come l’importanza di reagire nel modo giusto quando questi fallimenti ci riguardano. Quanto abbiamo ancora da imparare in merito?
“L’errore più grande che si fa davanti a un fallimento è quello di voler necessariamente dare la colpa agli altri. Chi vive bene la sconfitta vive bene anche il successo, forse perché le due cose hanno molto in comune. Chi vive bene la propria carriera e i propri risultati lo fa con un senso di gratitudine; quindi, quando qualcosa non gli viene dato, non lo pretende. La prima cosa che fa è chiedersi ‘come posso fare meglio’: mettere in discussione se stessi è quello che innesca il vero cambiamento, la soluzione dell’errore e quindi la crescita. Bisogna fare un esame di coscienza onesto, ma nemmeno colpevolizzante, con una certa brutalità benevola nei propri confronti. Tutti, in fondo, affrontiamo quotidianamente piccoli o grandi fallimenti: eppure è difficilissimo darsene la colpa. E invece, di fronte a un fallimento, la differenza fra la sconfitta e il successo la fa l’atteggiamento che decidiamo di assumere”.

Lei racconta che i futuri esploratori di Marte, probabilmente, ora hanno solo qualche anno. Cosa direbbe a un bambino di oggi che sogna di diventare astronauta ed esploratore spaziale?
“Ho un solo messaggio: se vuoi fare l’astronauta, ci devi credere. Abbiamo appena lanciato la selezione per il prossimo equipaggio di astronauti europei; l’ultimo lo avevamo fatto nel 2009, e avevamo ricevuto 8mila domande per sei posizioni. È stata la volta in cui abbiamo selezionato Samantha Cristoforetti e Luca Parmitano. Questa volta, invece, abbiamo ricevuto 23mila domande: questo è un indice di quanto l’esplorazione spaziale sia diventata sempre più parte della nostra vita, una prospettiva nella quale sempre più giovani vedono il loro futuro. Ma selezioneremo solo 4 astronauti, al massimo 6. Chi vuole svolgere questa attività dovrà attraversare una serie di prove fisiche, psicoattitudinali, di studio, di attitudine al volo spaziale, e c’è un solo modo per poterle superare, ed è volerlo. Ma c’è altro…”.

Cosa?
“Per la prima volta nella nostra storia, stiamo selezionando il primo o la prima astronauta disabile. E con questo vogliamo anche comunicare un messaggio che trovo di straordinaria forza oltre che di speranza: lo spazio è di tutti”.

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