La vita, i libri, i temi e le battaglie della pluripremiata scrittrice canadese Margaret Atwood, l’autrice del romanzo distopico di culto “Il racconto dell’ancella”, che ha ispirato l’omonima serie tv – L’approfondimento

Ben prima di diventare una scrittrice di fama mondiale, Margaret Atwood è stata una bambina che ha trascorso lunghi periodi nelle foreste del Québec, senza poter frequentare la scuola a tempo pieno, perché suo padre era un entomologo e durante le sue ricerche portava la famiglia con sé.

Per sopravvivere nella natura bisogna conoscere i propri predatori e non sembrare delle prede. Questa è una lezione di vita che tutte le giovani donne dovrebbero apprendere il prima possibile, per essere preparate a reagire ai predatori, siano essi animali o umani”, aveva raccontato al riguardo in un’intervista a ilLibraio.it.

Da disorientata qual era forse all’inizio, quindi, Atwood deve avere imparato presto a non perdersi fra i boschi quando il sole cala troppo in fretta, o a evitare di assaggiare bacche e semi dall’aspetto poco raccomandabile. Dopotutto, sua madre era una dietologa e nutrizionista – e non dev’essere un caso che proprio il rapporto con la natura e con il cibo risultino cruciali nella tormentata e visionaria poetica della scrittrice canadese classe 1939, come testimonia già il titolo del suo primo romanzo, La donna da mangiare (Ponte alle Grazie, traduzione di Guido Calza), risalente al 1969.

Dei primi anni della sua vita si sa che iniziò a scrivere già a sei anni e che amava le fiabe dei fratelli Grimm. Dopodiché, quando era ancora una ragazza, inaugurò la sua carriera come autrice di poesie, per le quali ricevette diversi riconoscimenti.

Una donna spiritosa ed eclettica

Per conoscerla ancora meglio dal punto di vista umano, viene invece in nostro soccorso il resoconto che ne ha fatto su ilLibraio.it Matteo Columbo, suo addetto stampa italiano, che la conosce bene avendola seguita in diversi tour: spiritosa, eclettica, umile, esperta praticamente di ogni argomento al mondo, con “la levità e l’apertura al mondo di una ragazzina”. In altre parole, “una presenza trascinante, che si lascia trascinare dal ballo della vita”. Così descrive Margaret Atwood, nata sotto il segno dello Scorpione (il 18 novembre) e ai suoi occhi simile a un’ancella magnetica, fino a oggi mai invecchiata per davvero.

Anche le sue scelte di vita, fin da quelle di giovane adulta, sono esemplari al riguardo: si sposò infatti una prima volta nell’anno più rivoluzionario del secolo scorso, il 1968, salvo poi divorziare da Jim Polk pochi anni dopo senza lasciare mai troppe dichiarazioni in merito. La ritroviamo poi vivere con il nuovo marito, il romanziere Graeme Gibson (venuto a mancare il 18 settembre 2019), e a prendere parte insieme a lui al Partito Verde del Canada e a sessioni di birdwatching, oltre che a contribuire alla fondazione del primo sindacato degli scrittori canadesi, mentre la figlia nata dalla loro unione veniva chiamata Eleanor Atwood Jess Gibson, con doppio nome e doppio cognome.

Foto Atwood di Jean-Malek

Margaret Atwood (foto di Jean-Malek)

Qui, più che negli oltre cinquanta premi che ha ricevuto per le sue opere e più che nell’invenzione della LongPen con cui ha facilitato la scrittura robotica remota, si rintraccia probabilmente lo spessore di Margaret Atwood, con una luce negli occhi che neanche la recente pandemia è riuscita a spegnere, e che condivide spesso e volentieri sui suoi profili social di Twitter e di Instagram.

D’altronde, la prolifica autrice di Ottawa (suoi sono, fra gli altri, e tutti portati in Italia da Ponte alle Grazie, L’assassino cieco, Occhio di gatto, Il canto di Penelope, Per ultimo il cuore, Brevi scene di lupi, Tornare a galla e Oryx e Crake – quest’ultimo ha inaugurato la trilogia di MaddAddam, in cui la critica è rivolta al lavoro minorile e che arriverà presto sugli schermi grazie a una serie tv trasmessa da Hulu) da sempre si dedica con passione ai fumetti, ha pubblicato alcuni racconti su Playboy ed è stata la prima a collaborare al progetto della Biblioteca del futuro, che nel 2014 ha portato la città di Oslo a realizzare una biblioteca a cui ogni anno verrà donata l’opera inedita di un intellettuale del nostro secolo: i manoscritti saranno resi noti e stampati solo nel 2114, usando come materia prima gli abeti rossi piantati per l’occasione.

Copertina del libro Tric Trac Trio

Oltre a ciò, la scrittrice è da poco tornata nelle librerie italiane con il suo primo libro per ragazzi intitolato Tric Trac Trio (Salani, traduzione di Ilva Tron e Dida Paggi), in cui protagoniste delle tre storie, raccolte e illustrate da Dušan Petričić, sono le lettere dell’alfabeto, e le avventure a cui dànno vita non appena si combinano in modo insolito, a dimostrazione del fatto che Margaret Atwood non ha mai perso né la verve immaginifica né tanto meno la sua joie de vivre.

Copertina del libro Moltissimo di Margaret Atwood

Una riprova di quanto detto è costituita anche da una sua nuova raccolta di poesie, Moltissimo (Ponte alle Grazie, a cura di Renata Morresi), con la quale dopo oltre un decennio l’autrice si misura con i versi portando il suo occhio attento e intransigente sul paesaggio di una vita vissuta d’istinto ma con saggezza: parla infatti di assenze e di rinnovamento, di invecchiamento e di sguardi retrospettivi, esplorando corpi e menti in transizione, nonché oggetti e i rituali che ci tengono attaccati al presente, fra lupi mannari, sirene e sogni.

Copertina del libro Lesioni personali

A novembre, poi, arriverà in Italia anche Lesioni personali (Ponte alle Grazie), romanzo scritto nel 1981 che vede al centro uno scontro con l’esercizio del potere maschile nelle sue due forme fondamentali: sopraffazione di popoli e di genere, in un contesto in cui saranno cruciali il ruolo della donna nella società e nella coppia, il retaggio di un’educazione moralista, il rapporto con il proprio corpo, la libertà individuale e la democrazia.

Il racconto dell’ancella: dai libri alla serie tv

“Gli uomini mi chiedono spesso: ‘Perché i suoi personaggi femminili hanno così tante paranoie?’. Non è paranoia. È il riconoscimento della loro situazione” (così Atwood in un’intervista a The Paris Review).

Tutti i temi appena citati sono stati il fulcro di un’altra opera, la sua più nota, giunta per la prima volta in libreria nel 1985 e diventata un vero e proprio caso editoriale in tutto il mondo. Parliamo de Il racconto dell’ancella (Ponte alle Grazie, traduzione di Camillo Pennati), una storia a cui l’autrice ha poi aspettato ben 34 anni per regalare un seguito (intitolato non per niente I testamenti, in modo quasi oracolare).

Atwood - Il racconto dell'Ancella new cover

Si tratta di un romanzo nel quale mito, metafora e storia si fondono per sferrare un’energica satira contro i regimi totalitari. Ma non solo: c’è anche la volontà di colpire, con tagliente ironia, il cuore di una società meschinamente puritana che, dietro il paravento di tabù istituzionali, fonda la sua legge brutale sull’intreccio (ancora una volta, come anticipato) tra sessualità e politica.

In un mondo devastato dalle radiazioni atomiche, infatti, nella finzione narrativa gli Stati Uniti sono divenuti uno Stato totalitario, basato sul controllo del corpo femminile. Difred, la donna che appartiene a Fred, ha solo un compito nella neonata Repubblica di Galaad: garantire una discendenza alla élite dominante, il cui regime monoteocratico è fondato sullo sfruttamento delle cosiddette ancelle, le uniche donne che dopo la catastrofe sono ancora in grado di procreare.

Ci troviamo così di fronte a un ammonimento e a una denuncia, o se vogliamo a un trattato filosofico (disciplina in cui Atwood si è laureata, così come in francese e in lingua inglese) in forma di romanzo, distillato con uno stile sagace e alla portata di chiunque. Distopia e speculazione geopolitica vanno così a braccetto, prendendo alla lettera ed esasperando (per stessa affermazione dell’autrice) le dichiarazioni di alcuni leader deliranti e certe pagine angosciose della storia recente, senza partire quindi da elementi di invenzione e descrivendo minuzionsamente la condizione di estraneità in cui tuttora versano molte donne.

Dopotutto, sempre a Paris Review, Atwood aveva spiegato che a suo avviso “l’estraneità è tutt’intorno a noi. Solo nel cuore del cuore del Paese, cioè nel cuore degli Stati Uniti, si può evitare una cosa del genere. È nel centro di un impero che puoi pensare alla tua esperienza come universale. Al di fuori dell’impero, o ai suoi margini, non puoi”.

Atwood - I testamenti cover

Nemmeno lo Stato più repressivo, però, ci dimostra Margaret Atwood, riesce a schiacciare i desideri – e da questo dipenderà la possibilità e, forse, il successo di una ribellione: il libro lascia socchiusa una porta che è stata riaperta proprio con il secondo volume, I testamenti (Ponte alle Grazie, traduzione di Guido Calza), che riprende la storia quindici anni dopo i fatti già raccontati, con gli esplosivi testamenti di tre narratrici di Gilead.

Vincitrice del Booker Prize 2019, l’opera è raccontata stavolta dal punto di vista di un’altra donna, la zia Lydia già presente nel primo libro. È attraverso i suoi occhi che ne sappiamo di più su Gilead – naturalmente da una prospettiva nuova, insolita, che permette comunque di scoprire non solo nuovi lati del suo carattere, ma anche ulteriori sfumature degli orrori e delle crudeltà perpetrate ogni giorno ai danni della popolazione, ricalcando ancora una volta quanto succede ogni giorno nella realtà.

Non per niente, ci ha tenuto a precisare la scrittrice, tuttora “le donne trovano difficoltà a venire pubblicate in molti Paesi, come per esempio in Medio Oriente. O come accade alle donne nere in Sud Africa. Di fatto, trovano difficoltà a scrivere. O ad accedere all’istruzione. Le barriere alla scrittura sono spesso erette contro le donne quando sono ancora molto piccole, e in modi molto elementari”.

Nel frattempo, The Handmaid’s Tale (questo il titolo in lingua originale) è diventato una serie tv di grande successo creata nel 2017 da Bruce Miller e prodotta da Mgm e da Hulu, che è stata lanciata poco dopo la vittoria alle presidenziali americane di Donald Trump. Uno vero e proprio show di culto, entrato prepotentemente nell’immaginario degli ultimi anni al punto da farsi simbolo di protesta e libertà nel corso di numerose manifestazioni di tutto il mondo, durante le quali le donne presenti hanno indossato un abito rosso e una cuffia bianca, proprio come le ancelle di Gilead.

Ciò ha contribuito a riportare in auge un po’ ovunque, inclusa l’Italia (dove a trasmettere gli episodi è stata TIMVision), argomenti che a tratti sembravano dimenticati, o forse solo sopiti, e ha permesso alla narrazione seriale di gestire bene i punti di forza del libro, come ha fatto notare su ilLibraio.it Mauro Tosca: “La Difred sul piccolo schermo è più vicina a noi, più consapevole, quasi pronta a una ribellione, inimmaginabile nel romanzo“, ha scritto. Un’eroina in qualche modo “più vicina alla Katniss di Hunger Games, pronta a combattere. E questa forza interiore, questo potenziale di riscatto, regala allo spettatore alcune delle scene migliori della serie”.

La serie ha visto coinvolto un cast stellare e pluripremiato (da Elisabeth Moss a Joseph Fiennes, da Yvonne Strahovski a Alexis Bledel, passando per Ann Dowd e Bradley Whitford), e ha dato adito a diverse analisi sull’universo ideato da Margaret Atwood (un approfondimento in merito è stato curato, su ilLibraio.it, da Giusi Marchetta).

Al di là del dibattito, o forse proprio grazie a quest’ultimo, la serie si è mantenuta in vita per quattro anni e altrettante stagioni (e attualmente è ancora in corso), ed è stata seguita a ruoto dall’adattamento dell’opera L’altra Grace (Ponte alle Grazie, traduzione di Margherita Giacobino), diretto da Mary Harron e interpretato da Sarah Gadone (e ora disponibile su Netlflix), a cui dovrebbe aggiungersi prossimamente anche la trasposizione dell’esordio narrativo di Margaret Atwood, La donna da mangiare, in questo caso con la produzione di Francine Zuckerman di Z Films e di Karen Shaw di Quarterlife Crisis Productions.

A tenerci compagnia restano i conturbanti romanzi vecchi e nuovi di Margaret Atwood, le sue crude poesie, i suoi racconti – l’ultima raccolta è proprio del 2023, Vecchi bambini perduti nel bosco (Ponte alle Grazie, traduzione di Guido Calza), dove ha raccontato la vita adulta e il passaggio tra la gioventù e quel qualcos’altro che c’è dopo di essa e che non sempre è facile accettare.

Tutti i suoi scritti sono pronti a spalancare davanti ai nostri occhi mondi sempre nuovi: tutti hanno ancora qualcosa su cui interpellarci o da cui metterci in guardia, e tutti conservano un potere suggestivo unico nel loro genere, in grado di travalicare ogni etichetta e definizione editoriale per andare ad abitare con eleganza quella terra ariosa e vastissima che è la letteratura.

Fotografia header: Jean-Malek