Pubblicato nel 1987 negli Usa, “La scopa del sistema” è stato il romanzo d’esordio di David Foster Wallace (1962-2008): racconto di formazione, enigma postmoderno, viaggio filosofico, mostrava già l’esuberanza stilistica (ma anche le fragilità emotive) che si sarebbero abbattute sull’autore di “Infinite Jest”

Non tutti sanno che La scopa del sistema (Einaudi, traduzione di Sergio Claudio Perroni) in realtà nasce come seconda tesi di laurea in Lettere, dopo una prima tesi di argomento filosofico. In quel momento David Foster Wallace (1962-2008) aveva appena scoperto la narrativa come vocazione. Nei primi anni universitari Wallace si era invece dedicato completamente alla filosofia, in particolare a quel connubio tra filosofia del linguaggio, logica modale e logica matematica che confluiva in un solo nome: Ludwig Wittgenstein.

La filosofia di Wittgenstein non solo è alla base del romanzo, ma è anche una chiave di lettura fondamentale per comprendere il percorso autoriale di Wallace dagli esordi ai seguenti sviluppi. Il filosofo austriaco, celebre per sentenze filosofiche come “il mondo è tutto ciò che accade” o “su ciò di cui non si può parlare, si deve tacere” sosteneva con la teoria dei giochi linguistici l’inestricabile dipendenza della realtà dal linguaggio, arrivando così a legittimare l’alienazione individuale e il solipsismo come condizioni esistenziali necessarie.

 La scopa del sistema david foster wallace

Il punto di partenza del romanzo è chiaramente un pretesto: Lenore Beadsman, la bisnonna omonima della protagonista, ex allieva di Wittgenstein al college, è fuggita inspiegabilmente dalla casa di riposo con una copia delle Ricerche Filosofiche, l’ultima opera filosofica di Wittgenstein, in cui il filosofo ritornava sui suoi passi per contraddirsi: il mondo non è limitato all’io, ma la pluralità di linguaggi esistenti ha senso solo all’interno di una comunità, il linguaggio, e quindi il mondo non dipendono esclusivamente dall’io. Bisogna trascendere l’io, questa è una delle tante lezioni che troveremo poi racchiuse in Infinite Jest.

Al centro del romanzo ci sono la relazione tra Lenore e Rick Vigorous insieme alle trascrizioni delle sedute con il Dr. Jay, lo psichiatra incaricato di indagare lo stato mentale dei due innamorati. Figlia di un ricco imprenditore di una ditta di omogeneizzati, Lenore cerca aiuto per superare sensazioni di disorientamento, vaghezza di identità e carenza di controllo su sé stessa. La loro relazione consiste nel raccontarsi le storie che arrivano in casa editrice – racconti tristi inviati da studenti del college – le definisce Rick.

Le storie sono infatti autoreferenziali, hanno sempre come protagonisti due amanti che non riescono a innamorarsi e ricorrono alla terapia per curarsi. Il rapporto con il terapeuta è quasi sempre problematico, se non sono gli amanti a manipolare il terapeuta è il terapeuta a manipolare i suoi pazienti, per soldi, o per qualche altra assurda mania.

Sia Lenore sia Vigorous hanno inibizioni e guai di varia natura, per questo leggere La Scopa del Sistema è come assistere a una seduta psichiatrica. Al tempo stesso richiede anche un enorme sforzo di empatia soprattutto nei confronti di quei soggetti riconducibili agli “uomini schifosi” che ritroveremo in Brevi interviste con uomini schifosi.

Uno di questi uomini schifosi è proprio Rick Vigorus, geloso e possessivo, che non riesce a pensare a Lenore se non come un oggetto sessuale da possedere. In termini psicoanalitici Lenore è un Altro che vuole diventare Io, ma per diventare Io ha bisogno di un rapporto sincero e autentico con l’Altro.

Tutta la poetica di Wallace si potrebbe spiegare in questi termini: una via di fuga dal solipsismo e dalla tristezza, dall’alienazione individuale alla ricerca di una qualche forma di empatia, dal nichilismo al superamento del cinismo, a favore della più banale forma di ingenuità, per uscire dalla trappola postmoderna dell’autoreferenzialità e per un instaurare un dialogo costruttivo con gli altri attraverso le relazioni umane. In sintesi, la letteratura come antidoto contro la solitudine.

Infinite jest David Foster Wallace

La Scopa del Sistema risente dell’ultima scia del postmodernismo più puro, sono molteplici i riferimenti a Thomas Pynchon (la protagonista femminile sul modello Oedipa Maas nell’Incanto del Lotto 49 deve risolvere un mistero) e a Don DeLillo (l’intasamento dei segnali telefonici nel finale cos’è se non rumore bianco?).

Il rapporto con i suoi predecessori si configura come uno scontro generazionale, di padri contro figli e viceversa (vedi il racconto Verso Occidente L’Impero Dirige il Suo Corso, edito da minimum fax, una parodia-imitazione del racconto The Lost in Funhouse di John Barth). In più, in un saggio raccolto in Di Carne e di Nulla (Einaudi Stile Libero), Wallace arriva ad etichettare John Updike, Norman Mailer e Philip Roth come Grandi Narcisisti.

La scopa del sistema è per questo un romanzo sorprendentemente fuori dagli schemi, esuberante nel linguaggio tanto quanto nella struttura, sovrabbonda di giochi linguistici, contiene storie nelle storie, trascrizioni di sedute di psicoterapia, appunti di romanzi e alterna discorsi filosofici a scene grottesche accompagnate da dialoghi surreali.

Negli anni Duemila, il critico James Wood coniò il termine “realismo isterico” per descrivere l’attitudine nel romanzo contemporaneo a esagerare le caratteristiche dei personaggi, a drammatizzare i loro comportamenti come a sopperire una mancanza di autenticità nello scrivere. Si pensi a opere come a Le Correzioni di Jonathan Franzen, un esempio di scrittura esuberante che deve molto al Wallace esordiente.

L’invito è a leggere David Foster Wallace e lasciarsi trasportare dalle parole, senza la pretesa di comprendere tutto il sottotesto, almeno non al primo approccio, e La Scopa del Sistema può essere il primo grande libro da leggere prima di affrontare il grande monolite Infinite Jest.

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