“L’antimondo” di Nathan Devers è un romanzo sulla realtà virtuale e il suo rapporto con un mondo altrettanto immateriale, in cui si agitano esistenze insoddisfatte e solitarie, che cercano di sfuggire alla separazione rifugiandosi nel metaverso. Ritrovandosi ancora una volta immerse nel vuoto…

Un lavoro frustrante e malpagato, ambizioni deluse, relazioni che si spengono lentamente. La vita di Julien Liberat scorre abulica in un quartiere di periferia residenziale che è specchio di una lontananza strutturale dal mondo.

Julien è un pianista di ventotto anni che si affaccia all’età adulta con pochissime certezze e molti rancori. Nulla di ciò che ha intorno lo soddisfa, nemmeno sé stesso. La sua fidanzata, May, lo ha appena lasciato, e lui comincia anche a sospettare di non avere nessun talento nascosto, forse niente da dire, nessuna musica nell’anima. È in questa cornice di apatia che per pura noia si lascia sedurre da un videogioco molto particolare, la simulazione di un’esistenza virtuale che riproduce in tutto e per tutto ogni aspetto della realtà: un vero e proprio antimondo…

L’antimondo di Nathan Devers

L’antimondo di Nathan Devers, edito da e/o con la traduzione di Giuseppe Giovanni Allegri, è un romanzo che vuole raccontare una delle ossessioni dei nostri tempi: il rapporto con la virtualità, soprattutto quando questa si va a sovrapporre alle miserie di vite che si fanno sempre più difficili e logore.

Julien è propriamente un malinconico, nel senso dell’acedia, la pigrizia dell’anima che svuota di senso gli oggetti e le persone intorno a noi. In questo contesto desertico la seduzione dell’antimondo diventa irresistibile, sotto tutti i punti di vista: offre il successo economico, la conquista di brividi di cui la quotidianità sembra essere ormai priva, e prima fra tutti la realizzazione personale, in una società che la postula come obiettivo al tempo stesso negandola.

Ma l’inganno dell’antimondo è proprio quello di presentarsi come alternativo a una realtà di cui invece costituisce soltanto il raddoppiamento, riproducendone la stessa dinamica: mantiene i suoi avatar insieme ma separati, come recita il titolo dell’album che Julien sogna di comporre. Vicini, in interazione, senza arrivare mai a sfiorarsi, senza poter scartare dalle regole, costretti a trovare dietro il gioco di specchi della replica del mondo la medesima assenza a sé stessi, un’identica distanza.

Proprio come il suo originale la realtà virtuale ha bisogno di una continua innovazione, non può permettersi di stagnare: ecco che quindi anche gli scatti d’ira o la rabbia possono essere riutilizzati. Lo sfogo contro il sistema può diventare, se opportunamente sussunto, un ottimo carburante per il sistema stesso. E così Julien si troverà a realizzare il suo sogno reale nell’antimondo: diventare un musicista e poeta, graffiante e iconoclasta come il suo idolo, Serge Gainsbourg. E verrà incoraggiato, seguito e in qualche modo plasmato dal demiurgo del videogioco, Adrien Sterner. Un miliardario creativo e folle, che si crede Dio e come tale agisce. Sterner vuole spingere la sua creazione all’estremo, inglobare ogni aspetto della vita umana. Così “avrebbe finalmente portato a termine la propria missione: farla finita con l’impero della realtà”.

Gli avatar che popolano il videogioco sono innumerevoli: adepti di Donald Trump, critici letterari strutturalisti, guardie del corpo, avventurieri del sesso. Ognuno replica una vita che gli sfugge e cerca invano di afferrare qualcosa di saldo, avviluppandosi sempre di più in un universo delirante, dove tutto è possibile ma sempre sotto lo sguardo di un padrone onnipotente. L’unica condizione che Sterner ha posto è il più completo anonimato. Nessuno deve sapere a chi corrisponda davvero un’identità virtuale. Il simbolo di una mancanza fondamentale di personalità, di un vuoto che scava da dentro la struttura iperbolica dell’antimondo.

Nel romanzo c’è pochissimo spazio per sentimenti e moti dell’animo, che affiorano come tracce di un’esistenza passata della quale, a volte, forse i protagonisti sentono nostalgia. Tutti sono soli, non ci sono amici, gli affetti sono rari e fragilissimi.

La storia si svolge poco in spazi aperti, tra l’altro spesso volutamente squallidi e privi di caratteristiche degne di nota. Gli eroi dell’antimondo, Julien Liberat e Adrian Sterner, vivono rinchiusi, l’uno nel suo appartamento e l’altro nella sede aziendale, in cui costringe a passare giornate interminabili i suoi dipendenti, trattandoli con la furia di un despota. Le loro relazioni esistono ma sono immateriali, così come esiste senza esserci il coro di commenti, giornali, opinioni che rimbalzano intorno al metaverso e ai suoi riverberi nel mondo reale, con il quale ormai rischia di confondersi o meglio, di sovrapporsi.

E mentre la vicenda deflagra ci si accorge che in questa storia di finzioni e di giochi di specchi permane un dolore taciuto che minaccia di esplodere. Nelle matriosche del metaverso c’è ancora un resto di vita che permane sotto la pelle degli avatar. Ma non ha via di scampo, non può uscire se non in maniera violenta, bagnando con del sangue vero gli schermi della realtà virtuale, lasciando dietro di sé un lutto elaborato in post e commenti.

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