Rushdie, Morrison, Baldwin e Atwood, ma non solo: la scrittrice e professoressa iraniana Azar Nafisi (autrice, tra gli altri, di “Leggere Lolita a Teheran”) torna a dedicare appassionate riflessioni alla letteratura contemporanea e a come la lettura rappresenti uno strumento indispensabile per resistere alla crisi della democrazia – L’intervista in occasione dell’uscita di “Leggere pericolosamente – Il potere sovversivo della letteratura in tempi difficili”: “In Iran le donne sono pericolose non solo per quello che dicono ma, addirittura, anche solo per come si vestono…”. E ancora: “Sono molto preoccupata per le democrazie dell’Occidente…”

Azar Nafisi è arrivata per la prima volta nelle librerie italiane nel 2004, quando il suo esordio letterario Leggere Lolita a Teheran viene tradotto (da Roberto Serrai) e pubblicato da Adelphi: sin da subito questo testo arriva nelle mani di tantissimi lettori, soprattutto giovani e studenti, e da allora non smette di essere ristampato, diventando a tutti gli effetti un classico contemporaneo.

Oggi Nafisi è di nuovo in libreria con Leggere pericolosamente. Il potere sovversivo della letteratura in tempi difficili (sempre per Adelphi, nella traduzione di Anna Rusconi), 5 lettere-saggi scritti a Washington a cavallo tra fine 2019 e 2020, anni cruciali per la politica mondiale e le vite di ciascuno.

Il libro rimane nel solco tracciato da Leggere Lolita a Teheran e da altre opere come La repubblica dell’immaginazione (2014) e Quell’altro mondo (2019), dedicate anch’esse a quello che Nafisi sa fare meglio: far parlare le grandi opere della letteratura americana e mondiale e metterle in relazione alla sua vita di intellettuale in esilio, vissuta a cavallo tra due mondi.

Il suo esordio ci riportava nell’Iran degli anni ’90: finalmente la professoressa Nafisi trova lo spazio (lontana dall’università) per discutere dei grandi romanzi occidentali con le sue studentesse, dando voce non sono solo ai testi, ma anche alle vite delle giovani donne coinvolte, fino alla sua definitiva partenza per gli Stati Uniti nel 1997. 

In quest’ultimo libro, invece, Nafisi indirizza le sue lettere al compianto padre, ex sindaco di Teheran, incarcerato subito dopo la salita al potere dell’ayatollah Khomeini nel 1979, l’inizio della Repubblica islamica e del periodo più oscuro della storia iraniana. Un periodo che, sebbene concluso, non ha trovato sbocco verso la democrazia come auspicato: proprio il 2 marzo scorso, in Iran si sono tenute le ultime elezioni per il parlamento che hanno visto la vittoria degli ultraconservatori, registrando livelli di astensionismo record, che la scrittrice, ora naturalizzata statunitense, ha commentato con rammarico

Leggere e scrivere mi hanno protetta nei momenti peggiori della vita, nella solitudine, nel terrore, nel dubbio e nell’angoscia. E mi hanno anche fornito occhi nuovi con cui guardare il mio paese di nascita e quello d’adozione”, così Nafisi apre il suo ultimo libro.

Salman Rushdie, Toni Morrison, James Baldwin, Margaret Atwood, ma anche David Grossman: sono i principali scrittori a cui Nafisi dedica accorate riflessioni, intime e al contempo corali, sottolineando come la lettura delle grandi autrici e dei grandi autori possa far emergere una consapevolezza umana prima ancora che una coscienza politica. Ma come, soprattutto, possa fornire gli strumenti interiori per resistere in tempi difficili, come recita lo stesso sottotitolo.

ilLibraio.it ha rivolto alcune domande alla scrittrice iraniana (la foto che la ritrae è stata gentilmente concessa dalla casa editrice), che proprio per questo libro il 21 settembre ritirerà a PordenoneLegge (festival alla 25esima edizione, dal 18 al 22 settembre) il premioLa storia in un romanzo, Credit Agricole 2024”.

Azar Nafisi leggere pericolosamente

I suoi saggi sono in realtà lettere rivolte al compianto padre, che è stato il più giovane sindaco di Teheran fino a quando non è salito Kohmeini al potere. Lei non ha mai cercato la carriera politica e non ha mai assunto un ruolo pubblico. Ritiene che la sua scrittura sia politica?
“Tutto il mio lavoro – ciò che scrivo, i miei libri, gli incontri, i dibattiti – lo considero alla stregua di una lotta esistenziale, più che politica. In quanto donna, professoressa, scrittrice e lettrice mi oppongo al regime islamico, che vuole confiscare la mia identità e quella di milioni di donne con me. Quando scrivo mi rifaccio a quella comunità umana di cui parlava Primo Levi. Scrivere ha a che fare con la verità. Il totalitarismo ha a che fare con il potere e con la manipolazione, che sono quanto di più lontano dalla verità”.  

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Il libro è stato scritto tra 2019 e 2020, anni che hanno segnato un cambiamento epocale. Lei parlava di Trump, Iran, Israele e Palestina. Dopo il 2020, sembra che i conflitti si siano accelerati e che siano diventati ancora più aspri e che le “dittature” vogliano espandersi oltre i confini e contaminare la democrazia. Che ne pensa?
“Sono molto preoccupata per le democrazie dell’Occidente. Lottare contro un Regime dà una direzione precisa. In una democrazia si rischia di dimenticare che qualcuno è morto per assicurare agli altri la libertà di cui gode. Bisogna tutelare con grande cautela la libertà di espressione, per esempio, che è la sola cosa a consentire ai poeti, agli scrittori, agli artisti di esprimersi. In Iran i primi a essere osteggiati, torturati, uccisi sono stati proprio i poeti, gli scrittori, gli artisti”.

Leggere Lolita a Teheran

In Iran le donne sono più rilevanti che mai (si pensi a Mahsa Amini e alla Nobel per la pace Narges Mohammadi). Perché sono così importanti per il cambiamento?
“Le donne sono importanti innanzitutto perché rappresentano la metà della popolazione. Non lasciare che le donne si esprimano vuol dire censurare metà della popolazione; in secondo luogo, le donne rappresentano sicuramente una prospettiva diversa sui problemi e sulle loro soluzioni. In Iran le donne sono pericolose non solo per quello che dicono ma, addirittura, anche solo per come si vestono. Cosa indossano e come le rende incredibilmente spaventose agli occhi di un Regime”.

Pensa mai di tornare all’insegnamento?
“Sì, mi manca moltissimo insegnare. Mi sono sempre stupita per la quantità di cose che imparavo insegnando ai miei studenti, comparate a quelle che conoscevo all’inizio di un corso”.

A proposito, che differenza c’è tra i suoi libri e le sue lezioni?
Insegnare vuol dire andare verso l’altro, è un atto pubblico. Scrivere è contemporaneamente, e magicamente, due cose: isolarsi per dare voce a qualcosa di profondamente intimo, ma farlo per poi andare verso il prossimo. Quindi la scrittura è, al contempo, qualcosa di profondamente intimo e qualcosa di veramente pubblico”.

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