“La fame del cigno” di Luca Mercadante narra una storia di occasioni mancate, in cui ambiente e personaggi si assomigliano e si specchiano a vicenda, invischiati nel loro presente, su uno sfondo limaccioso e oscuro di disinganno senza speranza: il protagonista, l’indimenticabile Domenico Cigno, si muove in una palude, dove tutto sembra impantanare, dove tutti, anche giornalisti e forze dell’ordine, operano in una linea di confine sottilissima tra legalità e illegalità…
Uno che non molla neanche se ha torto. Domenico Cigno non molla mai, e nella sua vita professionale ha assestato qualche buon colpo: giornalista d’inchiesta, ha fiuto, curiosità e coraggio, e, da ex pugile, sa incassare ma soprattutto sa lottare con la foga dello striker, attaccandosi a uno spunto, a un sospetto, riconoscendo la notizia.
Domenico Cigno però, come tutti, ha un passato, e nel suo passato c’è stato un errore di troppo: nell’ambiente, è bollato come “quello del Mostro di Milano”.
Il protagonista de La fame del cigno (Sellerio) di Luca Mercadante è uno di quelli che non ce l’ha fatta per pochissimo, per uno sbaglio, una scivolata che l’ha segnato e relegato in una redazione di provincia, a seguire il Napoli Calcio.
Cigno ha mancato la sua occasione, non è diventato campione di pugilato né firma di punta in un giornale nazionale: a quasi cinquant’anni è un uomo che arranca, sotto il peso dei centocinquanta chili, che sono faticosi, lo rallentano, come la solitudine che si tira dietro, e i rimpianti per avere buttato via una mano fortunata.
La sua è una fame di cibo continua, ossessiva e impotente: Cigno si ingozza da solo, lontano da tutti, e di qualsiasi cosa, anche di pietanze cucinate e buttate via, per poi star male, perché in quel rituale trova la sua calma, e la forza di affrontare le giornate, di mettere a tacere il dispiacere, il bisogno di approvazione che ha radici nella sua storia. Domenico Cigno mangia per riuscire a rialzarsi ogni volta, sopportare la vergogna, e ricominciare.
“Mi sembra non sia più tempo per le illusioni. Queste sono cose per quelli che hanno ancora una vita, io l’ho sprecata.”
Quando gli arriva la segnalazione di un amico, Domenico non se la fa scappare, lui sa riconoscere la notizia: è stato ritrovato un cadavere di ragazza, nelle fogne a cielo aperto dei Regi Lagni, e potrebbe essere quello di una giovane attivista e blogger torinese scomparsa.
Siamo sul litorale domitio, a Castel Volturno, una realtà complessa di degrado, nell’ambiente e nelle storie. Lì dove nell’entusiasmo edilizio degli anni ’60 doveva sorgere un paradiso di villeggiatura, una nuova Capri per la borghesia locale, è stato tutto travolto dall’abbandono e dalla desolazione. Tra le villette trascurate, si è insediata la malavita, prima dei casalesi, poi più di recente quella dei nigeriani. Anche Castel Volturno ha avuto la sua occasione e l’ha sprecata, e proprio lì una ragazza di Torino è andata a farsi le ossa, a far luce sulla condizione delle ragazze nigeriane delle connection house, a fare la sua parte, per poi sparire, risucchiata nelle oscurità del litorale campano.
“Abitiamo case che ci ricordano di continuo che non dovremmo essere qui, che faremmo bene a fuggire altrove”.
La fame del cigno è una storia di occasioni mancate, in cui ambiente e personaggi si assomigliano e si specchiano a vicenda, invischiati nel loro presente, su uno sfondo limaccioso e oscuro di disinganno senza speranza: Domenico Cigno si muove in una palude, dove tutto sembra impantanare, dove tutti, anche giornalisti e forze dell’ordine, operano in una linea di confine sottilissima tra legalità e illegalità.
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Luca Mercadante scrive sicuro e disinvolto di un contesto che conosce perché ci è cresciuto, al punto di riuscire a trasfigurarlo, e di rileggerlo con la lente dell’ironia e della consapevolezza amara: Castel Volturno è terra disillusa, che fa emergere tutte le ipocrisie di un mondo complicato, che fa sentire stranieri per sempre, anche chi ha la sua vita lì da decenni, e che rimane un immigrato. Questa è la violenza della prepotenza, e della sconfitta, che attraversa le giornate e non sembra concedere seconde chance a nessuno.
Quel corpo condannato a rifiuto, negli acquitrini, in mezzo agli addobbi di Natale invenduti, muove in Domenico Cigno l’orgoglio del giornalista, del dovere del racconto: si mette a cercare la verità, e a pestare i piedi in giro, non solo in redazione, ma anche con un boss decaduto della camorra, con il capo potente della malavita nigeriana, con i carabinieri forestali e gli avvocati, con borghesi torinesi, e giornalisti d’assalto televisivi. Non guarda in faccia nessuno, Domenico, che si ritrova a non riuscire più a mangiare, sopraffatto di sorpresa da una nausea che forse è senso di rivalsa sul passato.
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“Era eccitato. Ed è così che la mia categoria reagisce alle parole avversità, lutto, terribile evento. Le nostre orecchie sentono notizia oppure aggiornamento. Quando ne parliamo diciamo di vergognarci di noi stessi, ma è tutta una finta, perché quel noi stessi è la cosa che più ci piace del nostro lavoro.”
Il suo è un giornalismo vecchio stampo, che deve scendere a patti con il moderno, con una redazione che risponde alle regole dei social, e che Mercadante racconta con conoscenza lucida: è un mondo che sta cambiando, figlio della velocità e del sensazionalismo, e i giornalisti si trovano ad affrontare dinamiche diverse e non tutti stanno al passo.
Non c’è tempo per le illusioni: non c’è per i giornalisti che sentono sul collo il fiato dei social media manager, non c’è per un territorio che si aspettava una rinascita e si è trovato immerso nel fango e nei rifiuti, non c’è per le tante realtà di comunità, bianche e nere, che vivono assieme, in uno stato di perenne precarietà sociale, non c’è per tutte quelle filles perdues, prostitute, invisibili vittime di un mondo che non conosce confini etici. Per tutti c’è uno scotto da pagare per essere lì, c’è una disperazione profondamente vera e umana, ma anche la luce che apre alla speranza, di giornate che sembrano avere la serenità dell’estate e il profumo della sopravvivenza.
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Domenico Cigno si muove in questo mondo con la lentezza del suo peso enorme, con un pacchetto di M&M’s in tasca per farsi coraggio, con il fiato corto, i modi maldestri e con il colore del rancore sulla carta, ma soprattutto con un’umanità brillante e ironica, e un senso dell’umorismo che Mercadante gli regala e che lo rende irresistibile: è lui un nuovo perfetto eroe dell’imperfezione, un combattente capace di rialzarsi e di seguire la rotta di un riscatto possibile, e ci piacerebbe ritrovarlo in nuove storie.
“Della mia vita ho sprecato quasi tutto, mi è giusto rimasta la libertà di scrivere quello che voglio e non la baratto.”
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