Perché è fondamentale approcciare il femminismo come “una lettura che mette in discussione ciò che esiste” e non un “fenomeno alla moda”? Lo spiega la filosofa e intellettuale brasiliana Màrcia Tiburi nel pamphlet “Il contrario della solitudine – Manifesto per un femminismo in comune” – L’approfondimento

Perché è fondamentale approcciare il femminismo come “una lettura che mette in discussione ciò che esiste”, e non come un “fenomeno alla moda”?

Lo spiega magistralmente Màrcia Tiburi nel libello Il contrario della solitudine. Manifesto per un femminismo in comune, pubblicato in Italia da effequ nella traduzione di Eloisa del Giudice.

Ma chi è l’autrice e perché il suo pamphlet è una lettura fondamentale per chi vuole comprendere – e fare sua – la necessità di un femminismo intersezionale?

Màrcia Tiburi è una filosofa brasiliana nata nel 1970. Alle elezioni 2018 – quelle segnate dall’omicidio di Marielle Franco e dall’ascesa di Bolsonaro – si è candidata come governatrice di Rio de Janeiro con il Partito dei Lavoratori, ricevendo poco più del 5% dei voti. In seguito a ripetute minacce di morte da parte di gruppi conservatori, si è trasferita in esilio volontario a Parigi.

Marcia Tiburi - Il contrario della solitudine

Già nel 2015, ancora prima del golpe contro la presidente Dilma Rousseff, Tiburi aveva scritto un altro volume, Come conversare con un fascista – Riflessioni sul quotidiano autoritario brasiliano.

In un’intervista a Il Manifesto rilasciata nel 2019, la filosofa racconta di aver mostrato nel libro (“partendo da fatti, esperienze ed pratiche sociali”) “la crescita del fascismo e dell’autoritarismo. Non di un fascismo di Stato, ma del fascismo che si è introdotto nei cuori e nelle menti dei brasiliani”.

In questo nuovo pamphlet, riflette sul femminismo anche prendendo spunto dalla sua storia e da quella della sua famiglia, scandagliando le relazioni tra uomini e donne ma, soprattutto, tra chi detiene il potere e chi è uno strumento dedicato al suo piacere e al suo benessere.

La stessa dualità di genere viene scardinata, e l’identità di “donna” viene affrontata come un’essenza che accomuna – e non divide, come invece vorrebbero alcuni movimenti all’interno dello stesso femminismo.

Allo stesso modo Tiburi riflette sulla lingua e su come, essendo stata definita – così come la storia – dai detentori del potere, risulti poco inclusiva.

Il femminismo raccontato negli scritti di Tiburi è davvero intersezionale: “Riunisce in sé i marcatori di oppressione della razza, del genere, della sessualità e della classe sociale” ed “è chiaramente una lotta contro le sofferenze accumulate”.

E proprio dalle sofferenze accumulate dalle minoranze nasce “il desiderio di femminismo che vediamo manifestarsi nell’insieme della vita quotidiana e nella vita virtuale, per mettere in discussione famiglie, scuole, chiese, giustizia, mercato, governo e Stato”.

Il punto di vista di Tiburi è estremamente contemporaneo e necessario per aprire ulteriori riflessioni per un femminismo che sia davvero intersezionale e universale. 

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