“The Queen is Dead”, cantavano gli Smiths nel 1986, e infine è successo. Il regno della regina Elisabetta II, morta a 96 anni, è stato e resterà una fonte inesauribile di storie e narrazioni. Tra libri, film, serie e canzoni…

The Queen is Dead, cantavano gli Smiths nel 1986, nell’album omonimo, tra i migliori mai registrati dalla band inglese, e infine è successo.

London Bridge is down, per usare il nome del protocollo dei servizi segreti britannici per la morte della seconda sovrana più longeva di sempre – il primo fu Luigi XIV, il monarca assoluto che dopo settantadue anni di regno morì agli inizi del Settecento, secolo che si sarebbe concluso proprio con la Rivoluzione francese.

Elisabetta II nasce nel 1926, figlia del fratello cadetto del re; la scelta dello zio di abdicare per proseguire la sua relazione con l’americana Wallis Simpson cambia il corso della sua vita e della Storia.

Elisabetta non sognava di diventare regina, vuole la narrazione comune: è puramente il senso del dovere a farle accettare la corona. Ha finito per regnare per settant’anni, attraverso ogni avvenimento di sorta, correlativo perfetto di una monarchia in perenne agonia, già anacronistica e tuttavia inamovibile.

Il chiasso della sua famiglia, che non ha mai lasciato i tabloid a mani vuote, invece di affossarla ha contribuito ad accrescere la sua reputazione di regina virtuosa, di matriarca che tiene tutti in riga perché i suoi figli e nipoti siano reali degni dei loro sudditi – anche quando si tratta di faccende ben più gravi – ed è questa sua manifestazione ad aver solleticato l’immaginario per tutti questi anni.

A novembre è attesa la quinta stagione di The Crown, con il cambio dell’attrice protagonista: il testimone è passato a Imelda Staunton, dopo le ottime prove di Claire Foy e Olivia Colman. Dalla sua uscita, The Crown si è distinta per l’ottima scrittura, la messinscena curata e interpretazioni pregnanti, tra cui indimenticabile rimane la principessa Margaret di Vanessa Kirby.

Non è soltanto una ricostruzione storica abbastanza accurata, ma una riflessione profonda che va al di là del solito motto sulla solitudine della testa che porta la corona: dove finisce una persona e dove inizia un simbolo? Cosa c’è dietro questo simbolo, e fino a dove ci si può spingere per mantenerlo intatto? E, come si dice, non è tutto oro quel che luccica. La quinta stagione, parecchio attesa, è sempre più vicina alla nostra epoca attuale, e ruoterà intorno alla fine del matrimonio tra Carlo e Diana, i governi di Majer e Blair e la morte della stessa Diana.

L’incidente che ha coinvolto Lady Diana e il suo impatto sulla famiglia reale è stato esplorato al cinema in quasi ogni salsa. Notevole su tutti il film del 2006 The Queen, diretto da Stephen Frears, con Helen Mirren nel ruolo di Elisabetta – non a caso, lo sceneggiatore è proprio Peter Morgan, creatore della serie The Crown.

I giorni che seguono quel 31 agosto 1997 mostrano la regina alle prese con la gestione della notizia, l’iniziale intenzione di trattarla come un fatto privato e la realizzazione che qualcosa si sta muovendo fuori dal palazzo, l’ennesima nuova generazione è in arrivo – qui rappresentata da Tony Blair (rimane comunque un film di sedici anni fa). Deve imparare qual è la forma migliore da assumere senza venire meno a quello che pubblicamente è – di nuovo, un simbolo. Non è un film che prende posizioni definite, ma osserva i meccanismi di palazzo e la stessa regina con un occhio quasi da documentario, pur trattandosi di un film di finzione.

Solo di sfuggita il personaggio della regina compare in Spencer, di Pablo Larraín, presentato a Venezia lo scorso anno: qui l’attenzione è centrata sulla Diana di Kristen Stewart, ma la presenza di lei è comunque forte.

È nella tradizione di pesare i membri della famiglia prima delle festività di Natale per assicurarsi che prendano dei chili, segno di un buon accudimento da parte della padrona di casa; è nelle pesanti tavolate dove si pranza e cena secondo l’etichetta, nei giochi di società. Rituali su rituali che rendono Sandringham soffocante per una Diana che già sa che il suo matrimonio è agli sgoccioli, e in fondo è questa l’essenza della regina, e del resto della famiglia per associazione: rimanere un rituale, una formula inattaccabile.

Ci sono stati anche tentativi più comici di rappresentazione di Elisabetta. Alan Bennett scrive infatti La sovrana lettrice (Adelphi, traduzione di Monica Pavani), e immagina cosa succederebbe se la regina, celebre per essere un amante degli spazi all’aria aperta, degli animali, e molto meno delle materie umanistiche, iniziasse a rifornirsi di libri da un furgoncino biblioteca appostato davanti a Buckingham Palace. È un testo divertente e paradossale, dove la regina mano a mano è sempre più ossessionata dalle sue letture e trascura i suoi doveri.

Se nella realtà Elisabetta amasse coricarsi con un libro insieme al suo gin tonic della buonanotte, o se avesse visto uno qualsiasi tra i film e la serie, come avevano accennato le nipoti Beatrice e Eugenia, lasciando intendere che avesse seguito con interesse la prima stagione di The Crown, è una cosa che non potremo mai più sapere. Nella realtà ci sarà sempre qualcuno che ricorderà anche ciò che si vuole far dimenticare. Nella fantasia letteraria e cinematografica, può succedere qualsiasi cosa.

Con la morte della Regina, niente apparentemente cambierà, Carlo è già il successore; sembra improbabile, per ora, che avremo però così tanti prodotti culturali che lo mettano al centro.

Il regno di Elisabetta rimarrà la stagione più lunga, quella con gli episodi più intriganti, e anche i bui più fondi, una fonte inesauribile di storie perché nel suo ruolo di monarca si è coltivata prima di tutto come storia.

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