Il romanzo “Padri e fuggitivi” è un susseguirsi di storie bizzarre, che si svolgono dal Sudafrica al Giappone, passando per Belgrado. Accomunati da un senso permanente di malinconia e mistero per la vita stessa, i personaggi si muovono senza meta, afflitti da conflitti irrisolvibili. Esplorando il tema della solitudine e dell’alienazione, del sentirsi fuori luogo, incompresi, non accettati, l’autore sudafricano S.J. Naudé aggiunge il significato dell’esperienza queer

La letteratura sudafricana è da qualche anno sotto i riflettori della critica internazionale: dopo il Booker Prize 2021 vinto da Damon Galgut con La Promessa nuove voci si affacciano sulla scena letteraria. Questo è il caso di S.J. (Stephen Jacobus) Naudé, scrittore e avvocato cinquantenne di Città del Capo, già autore di short stories come la raccolta The Alphabet of Birds e del romanzo d’esordio The Third Reel.

Edizioni e/o ha appena pubblicato il suo ultimo romanzo, Padri e Fuggitivi (2023), con la traduzione dall’inglese di Silvia Montis.

Nella prospettiva personale di Naudé il Sudafrica non è raccontato dal punto di vista storico-politico, ma funge da centro nevralgico per il ritratto di una condizione umana universale, quella del sentirsi stranieri in ogni luogo. Composto di cinque capitoli, il libro è un susseguirsi di storie bizzarre che si svolgono in tutto il mondo. Accomunati da un senso permanente di malinconia e mistero per la vita stessa, i personaggi descritti si muovono senza meta, afflitti da conflitti irrisolvibili. 

SJ Naude padri e fuggitivi

Il protagonista, Daniel, alter-ego dell’autore, è uno scrittore e giornalista gay sudafricano in fuga da sé stesso. Nel primo episodio, ambientato a Londra, stringe uno strano rapporto di amicizia con due uomini serbi, e con uno di loro si concede ad attività sessuali. Entrambi finiscono per vivere da ospiti in casa sua, finché un giorno spariscono. Si ritroveranno tutti e tre in un viaggio che si rivelerà un’esperienza inquietante a Belgrado, la città “dove si accoppiano i lupi”, un luogo dove i maschi vengono cresciuti nella violenza, educati a mostrarsi sempre più forti. 

Nei due capitoli successivi, Daniel torna in Sudafrica dal padre anziano in punto di morte e deve fare i conti con la sua eredità. Questo lo costringerà a riesaminare le proprie radici identitarie, dai legami familiari a quelli affettivi.

Non mancano i colpi di scena e, di conseguenza, il cambio di scenario. Daniel si mette in viaggio verso il Giappone con il cugino Theon per curare un bambino malato di tumore al sangue di nome Motlale. Di fronte allo spaesamento, ancora una volta la fuga è una soluzione, come se sedersi su una panchina dall’altra parte del mondo possa risanare il vuoto interiore e le ferite di una vita passata. Eppure, il dolore per Daniel sembra non avere fine.

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Lo schema si ripete, la costante sempre la stessa: rapporti padri-figli incrinati, il collasso tra le aspettative imposte e il sogno della libertà, la ricerca della fuga, il senso di disorientamento e l’inevitabile attaccamento alle radici identitarie. 

Daniel instaura un rapporto affettivo con Theon, spingendo ai limiti il concetto di famiglia.

Cosa succede quando due solitudini si incontrano? Sicuramente si moltiplica il dolore, ma un legame tra due persone costituisce un senso in più all’esistenza. Non solo l’unione tra due adulti, ma anche il rapporto tipicamente genitoriale tra un adulto e un bambino è una delle esperienze umane che dà un senso all’esistenza.

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Quanto vale allora il prendersi cura di un bambino che non è tuo figlio? Prendersi cura dell’altro è forse una forma di amore per la vita stessa? A queste domande il protagonista non riesce a trovare una risposta. Prevale quindi l’insensatezza della vita e non resta che accogliere con benevolenza i capricci del destino.

In fuga da sé stessi, i personaggi disegnati da Naudé sfidano continuamente le convenzioni sociali e affermano con tenacia, nonostante la sofferenza, nuove possibilità dell’essere. Esplorando il tema della solitudine (in afrikaans eenzamheid) e dell’alienazione, – per cui riecheggia la struggente malinconia presente nelle opere di Kafka – del sentirsi fuori luogo, incompresi, non accettati, Naudé aggiunge il significato dell’esperienza queer, facendo di questo romanzo un’originale parabola contemporanea sul destino di tutte le persone che, per un motivo o per un altro, non riescono a integrarsi nella quotidianità delle vicende umane. 

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Padri e fuggitivi si inserisce allo stesso tempo nel filone di una letteratura internazionale e queer. Come Le transizioni di Pajtim Statovci, scrittore finlandese originario del Kosovo, il romanzo di Naudé unisce alle tematiche LGBTQ+ (l’accettazione, le relazioni, l’adozione) gli ingredienti di unglobal novel: i personaggi si muovono in uno scenario globale, trascendendo le radici del paese di origine.

La chiave di lettura è quella esistenziale. I personaggi danno voce ai loro malesseri interiori per trovarne una spiegazione, ma non ci riescono. Continuano a errare, vagabondi e fuggitivi, instaurando configurazioni irregolari di famiglia e di possibilità dell’esistenza, risultando ancora più vittime di sé stessi e dei propri conflitti interiori. 

Il Sudafrica descritto da Naudé evoca atmosfere cupe, a tratti mistiche, e si racchiude nell’immagine di una fattoria, attorno a cui si sviluppano i drammi dei personaggi, legati tra di loro dall’istinto primordiale dell’uomo come animale sociale. Eppure è la solitudine a prevalere, “la malinconia non controllata che rende ciechi”, il rimorso e l’autocommiserazione per una vita sprecata.

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Fotografia header: SJ Naudé, autore di Padri e fuggitivi, foto di Brenda Veldtman

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