In “Domani avremo altri nomi”, nuovo romanzo di Patricio Pron, scrittore argentino tra i più apprezzati della sua generazione, l’autore sperimenta la duttilità di un rapporto che si frantuma lasciando entrare il reale… – L’approfondimento

Una delle massime di vita forse più condivisibili è che, in amore, ciascuna parte della coppia deve avere una sua libreria. Il bagno, il letto, il frigorifero: si possono fare delle concessioni. Ma le librerie devono rimanere separate, o può succedere quello che succede quando Lei lascia Lui, e Lui strappa due pagine da ogni libro che Lei non si è ripresa.

Questa è la scena che apre Domani avremo altri nomi, nuovo romanzo di Patricio Pron (in copertina, nella foto di (c) Jeosm, ndr), scrittore argentino tra i più apprezzati della sua generazione, uscito per SUR nella traduzione di Francesca Lazzarato.

Pron, già conosciuto in Italia per Lo spirito dei miei padri si innalza nella pioggia (Guanda) e Non spargere lacrime per chiunque viva in queste strade (gran vía), affronta in queste pagine la fine di un amore, e il ritorno a una vita individuale all’interno di una società che esalta sempre di più questo individualismo, offrendo contemporaneamente l’illusione di una scelta di vita comune attraverso gli algoritmi e la vastissima disponibilità del mercato delle dating app, che in quest’ottica mostrano potenziali partner come veri e propri prodotti, di cui chi consuma può disporre a piacimento.

Patricio Pron, Domani avremo altri nomi

Nell’apparente semplicità del suo linguaggio, che non ha bisogno nemmeno di dare dei nomi ai suoi due protagonisti, Patricio Pron si incarna ora in uno ora nell’altra, e dai loro punti di vista disseziona l’attualità con la perizia di un naturalista. Sono due punti di vista particolarmente privilegiati: Lui è un saggista, Lei è un’architetta privata della possibilità di imprimere un suo segno nel paesaggio, perché lavora in uno studio di archistar, celebri per i loro edifici dalle linee impressionanti che si deteriorano molto prima del tempo (forse un accenno ironico a Santiago Calatrava?), i quali su ogni suo progetto appongono quindi la loro firma, l’elemento architettonico che li rende riconoscibili anche quando stona con il resto.

La separazione arriva a ciel sereno: c’è un altro, non c’è un altro, ci sono delle bugie che mascherano verità irrisolvibili. I due, non più un’unità di intenti, devono ricominciare da capo: trovare un nuovo alloggio, affrontare il discorso della rottura con la loro cerchia sociale, che li vedeva ormai imprescindibili. Il loro lavorìo interno trova una risposta all’esterno, e quelle che per loro sono piccole difficoltà, pesanti più che altro per l’aspetto emotivo, si riverberano in grande su quello che accade fuori dalla loro bolla. Il quartiere dove Lui abita, felice di poter vivere con poco, è un quartiere di famiglie di lavoratori che sta conoscendo una gentrificazione selvaggia, e che dai lavoratori è stato lasciato; Lei si trasferisce in periferia, un’altra zona in rapida espansione perché sempre più persone stanno abbandonando il centro, troppo costoso, troppo soffocante, ma quest’apparente conquista di spazi più sereni è solo un altro sfiato della città ultracapitalista, che si allarga come vernice sul terreno.

Una delle abitudini che ha Lei è vagare con la macchina in aree sempre più remote, ragionando sull’abitare e sulla sua funzione politica: costruire case, far sì che dialoghino con l’ambiente ma siano anche raccoglitori per delle persone, per delle famiglie, per potenziali nuove realtà. Quelle peregrinazioni le servono anche per coltivare la gioia del tornare al suo focolare; da persona che, come la maggior parte delle sue conoscenze, vive in una città in cui non è nata, si porta dietro una nostalgia quasi calcificata.

A casa, dopo la rottura, la aspettano le amiche, un turbinìo di voci e dispacci da un mondo caotico come quello delle dating app, tra foto di genitali non richieste, rapporti irripetibili, relazioni che si sovrappongono, e statistiche.

Lui per contro ha bisogno di un riflesso per poter elaborare il dolore: lo trova nella sua editor, M., con cui può ritrovare il gusto di parlare, ma che continua a ridefinire il loro rapporto secondo regole per Lui incomprensibili, e lo trova nel mondo naturale. Antropocentrico fino al midollo, inizia a raccogliere notizie di insetti per cui la vita di coppia è mortale. Insetti che depositano larve che divoreranno l’ospite dall’interno, altri ancora che sono in grado di controllare il sistema nervoso dei grilli per portarli a uccidersi. Se i rapporti umani non sono facilmente decodificabili, quelli interspecie aprono un mondo di infinite possibilità, avulse dalla morale.

Nelle difese che i due mettono in campo per ricostruirsi un’identità singola, Patricio Pron rilegge i meccanismi di una generazione iscritta però in una determinata classe sociale. Le relazioni intorno ai due protagonisti sperimentano nuove forme, o si arrugginiscono intorno a modelli che evidenziano disparità, anche dove queste disparità sono ribaltate. In mezzo ci sono loro due, aderenti ai loro contemporanei eppure, per qualche motivo, estranei alle loro dinamiche, come se il legame che li univa li avessi isolati fino a quel momento e sfracellandosi li avesse infine esposti all’esistenza nella sua totalità.

Le conversazioni sono il vero motore di questo romanzo; non è l’amore, o la crescita personale, ma il confronto costante, la dialettica che spalanca prospettive, il linguaggio che crea nomi dove quelli di prima hanno perso l’energia per seguire la contemporaneità. La narrazione lascia l’intreccio per affacciarsi alla finestra e ragionare sul mercato culturale, sul sesso, sulle famiglie d’origine che rimangono lontanissime, sullo sfondo, come a dire che il loro, ormai, l’hanno fatto. Ogni discorso rimane aperto, e così le forme delle relazioni possono aspettare a ricevere una definizione, e ridisegnarsi abbracciando le diverse esigenze. Patricio Pron sperimenta la duttilità di un rapporto che si frantuma lasciando entrare il reale; non è chiara l’età dei protagonisti, probabilmente sono primi Millennial, o poco più grandi, ma qualche persona più giovane fa capolino, ed è qui che sta il domani: sono loro che si stanno sobbarcando il compito di dare nuovi nomi a quello che noi stiamo mettendo a fuoco.

Fotografia header: (c) Jeosm

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