Prima o poi tutti i figli se ne vengono fuori con quella scomoda domanda: “Ma a cosa mi servirà mai studiare queste cose?”. Su ilLibraio.it la riflessione di Michele Luzzatto, editor di Bollati Boringhieri

Prima o poi tutti i figli se ne vengono fuori con quella scomoda domanda: “Ma a cosa mi servirà mai studiare queste cose?”. Magari stanno parlando dell’ultima versione di latino o di quel maledetto studio di funzione che proprio non hanno capito, e la risposta più sbrigativa in genere suona così: “Studia e basta, che se non avrai il diploma non troverai mai un lavoro!”. Una risposta più raffinata, un po’ meno smaccatamente utilitaristica, può fare riferimento al potere della conoscenza, più o meno in questo modo: “Se conoscerai molte cose sarà più difficile per gli altri prenderti in giro e sfruttarti, avrai più armi per difenderti e vivrai meglio”.

Entrambe le risposte sono a loro modo valide, anche se il ragazzo, il più delle volte, tenderà a rispondere (o quanto meno a pensare dentro di sé): “Sarà, ma Tito Livio nella vita non mi servirà mai a niente, e io sto solo perdendo tempo”. E “Tito Livio” qui può essere sostituito a piacere con le funzioni di terzo grado, la termodinamica, Carlo V, i linfociti T, l’analitica trascendentale, il Metastasio, lo stile dorico o il past tense.

Raramente si risponde alla domanda semplicemente dicendo che studiare tutte queste cose non serve proprio a niente, però è bello. Figlio mio, certo, se diventerai avvocato dimenticherai in fretta l’elettromagnetismo e se diventerai medico non saprai che fartene dei dadaisti, hai ragione. Se aprirai un negozio di abbigliamento a che potrà mai servirti il Sacro Romano Impero? E se tornerai alla campagna e aprirai un agriturismo, che uso ne farai mai del legame covalente?

Nessuno. Nessun uso. Però per te, per te stesso, per il tuo benessere, il tuo buonumore, la tua serenità, il tuo vivere-nel-mondo – che poi è tutto ciò che hai – sapere tante cose e metterle in relazione le une con le altre sarà semplicemente bellissimo e ti arricchirà l’esistenza.

Un giorno, camminando per la strada, magari di ritorno dal lavoro, quale che sia il lavoro che farai, ti sorprenderà un temporale estivo, e correndo in cerca di un porticato verrai sorpreso da un crack! improvviso e da un lampo accecante di luce, che ti porterà il cuore a battere a mille; dopo un secondo verrai investito da un boom! assordante e brontolone, prolungato e minaccioso, che permeerà l’atmosfera intorno a te, portando con sé il pungente odore dell’ozono. Un fulmine e un tuono, tutto qui, potresti dire, proseguendo il tuo cammino. E certo avresti ragione, tutto qui, solo questo. Ma pensa a quel che è successo in quell’istante! L’aria calda dell’estate ha accumulato al suolo una grande quantità di energia dal Sole, si è espansa seguendo le leggi dei gas, è diventata meno densa ed è salita in quota; lassù ha incontrato l’aria fredda, e l’acqua, che prima era vaporosa, si è condensata, cadendo in gocce pesanti a terra; le cariche elettriche che prima erano distribuite uniformemente, nel turbinio del cumulonembo che hai sulla testa si sono separate, le negative da un lato, le positive dall’altro, finché la differenza non è stata troppo grande per poter rimanere stabile e un percorso di minima energia ha fatto scoccare la scintilla; una scintilla potente, che si è scaricata sul tetto di una casa, 300 metri più in là, spezzando le molecole che incontrava nel cammino; 50.000 gradi di temperatura!, un’espansione subitanea dell’aria che è diventata una violenta onda sonora e ha portato con sé un turbinio invisibile di atomi di ossigeno ricombinati a tre a tre, con quel loro odore caratteristico. Il rumore, raccolto dagli ossicini del tuo orecchio medio, è giunto al cervello, inaspettato, e ha innescato per via biochimica, in un decimo di secondo, la produzione di adrenalina dalle tue cellule surrenali, che con un fiotto sanguigno ha raggiunto il cuore e l’ha fatto correre all’impazzata.

Sotto al porticato, ormai al sicuro e all’asciutto, potrà quel giorno esserci un te stesso che pensa solamente: “È stato un fulmine, tutto qui”. Quel te stesso, annoiato, aspetterà impaziente l’arrivo del tram, e basta. Oppure potrebbe esserci un te stesso più colto, che in un momento ha richiamato alla memoria tutta la fisica e la biologia che quel fulmine ha reso tangibili, consapevole di quel che è successo, incuriosito da ciò che ancora non sa. Quale dei due te-stesso vorresti essere, quando alla fine arriverà il tram?

La storia è mia. Le informazioni sui fulmini sono tratte da La tempesta in un bicchiere. Fisica della vita quotidiana, di Helen Czerski, Bollati Boringhieri, 2017.

 

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