Questa quarantena si è tramutata nella fortezza Bastiani, raccontata da Dino Buzzati ne “Il Deserto dei Tartari”? Nonostante l’estate che si avvicina, gli amici, l’amore, si avrà il coraggio di lasciarla?

La letteratura, quella onesta e all’altezza del suo compito, setaccia con il passino delle proprie trame il reale e fa lievitare storie che – una volta assaggiate – hanno il retrogusto della realtà. E dunque, masticando pagina per pagina Il Deserto dei Tartari, scritto nel 1940 da Dino Buzzati, alcuni paragrafi hanno un sapore che ricorda questi giorni di quarantena.

Ma vediamo se gli ingredienti coincidono veramente, oppure se si tratta di due ricette diverse. Partendo da Buzzati, la trama è presto detta: l’ufficiale Drogo, un giovane ambizioso militare, deve prestare servizio nella fortezza Bastiani, a prima vista monumentale e solenne incastonata in un deserto di pietre e terra secca e costruita come presidio di difesa contro un possibile attacco – mai avvenuto e che mai avverrà – dei Tartari, una popolazione nomade di stirpe turca o mongolica dell’Asia Centrale.

È tra quelle mura – prima odiate, poi apprezzate, e di nuovo odiate e di nuovo amate – che Drogo consuma inesorabilmente la sua vita. Alienazione, consapevolezza della fuga del tempo, attesa che sembra gravida di imminenti piaceri, ma che si rivela sterile sono i laterizi con cui sono state costruite le mura della fortezza. Drogo, appena arrivato, osserva spaventato il sottoufficiale Tronk chiedendosi se lui abbia ancora memoria – dopo ventidue anni di servizio alla Fortezza – di cosa sia andare a teatro, all’osteria, “delle dolci voci delle ragazze” o di come sia fatto un giardino. In risposta a quella malinconia e vacuità, che ha plasmato “un insano capolavoro di formalismo militare”, si accende in Drogo un desiderio di vita: “Perché Drogo sentiva il desiderio di fischiettare un poco, di bere vino, di uscire all’aperto. Forse per dimostrare a sé stesso di essere veramente libero e tranquillo?”. Ma questa fiamma non resiste a lungo, perché in lui comincia a circolare il veleno dell’abitudine e quelle odiose mura diventano familiari.

“Abitudine erano per Drogo la camera, le placide letture notturne, la fessura del soffitto, sopra il letto che assomigliava alla testa di un turco, i tonfi della cisterna col tempo diventati amici, la fossa scavata dal suo corpo nel materasso, le coperte nei primi giorni così inospitali e ora docilmente pronte, il movimento, oramai eseguito istintivamente nella lunghezza esatta per spegnere la lampada a petrolio o mettere il libro sul tavolo”.

La geografia familiare di Drogo si è ristretta, e se la prima sensazione è quella di soffocare, grazie al torpore dell’abitudine, anche sapere quale sia l’angolo giusto in cui la luce illumina lo specchio la mattina per tagliare la barba diventa interessante. Inoltre, anche la sua concezione del tempo cambia, gli orologi sembrano sciogliersi come nei quadri surrealisti di Dalì: “Ieri e l’altro ieri erano eguali, egli non avrebbe più saputo distinguerli; un fatto di tre giorni prima o di venti finiva per sembrargli ugualmente lontano”; resta solida invece in Drogo la certezza che la vita sia inesauribile.

Passano due anni: le mura della fortezza si screpolano un po’, le giornate trascorrono identiche, e l’esistenza di Drogo sembra essersi arrestata ma, con l’arrivo della primavera, qualcosa in lui – che l’abitudine aveva schiacciato – sembra scalpitare di nuovo, come il desiderio che una bella ragazza passeggiando per una stradetta saluti il tenente con un dolce sorriso. E le mura non sono più un riparo, non custodiscono più alcun affascinante segreto – conoscendole ormai pietra per pietra – bensì assumono le fattezze di una prigione.

Così Drogo, a cavallo in una bella giornata in cui l’aria è tiepida e leggera, lascia la fortezza Bastiani. È convinto di tornare alla vita piena della città, ma in realtà ben presto si accorge amaramente che “tutto il mondo viveva dunque senza alcun bisogno di Giovanni Drogo”. E capisce di essere straniero alla sua stessa città, alla cerchia dei suoi amici; persino sua madre non si sveglia più se sente i suoi passi durante la notte. Drogo comprende che non è più allenato agli scherzi, alle nuove facce, a nuovi modi di dire, a diverse abitudini. Rientrare in tutto ciò lo avrebbe messo a disagio e dunque appura – pur con rimpianto – di essere ormai al di fuori di tutti quegli ingranaggi, e per questo ritorna alla fortezza, quasi con “pavida compiacenza di aver evitato bruschi cambiamenti di vita”.

Non si svela il finale; perciò lasciando Drogo nella sua fortezza e tornando a oggi, il quattro maggio – la data che suggella la cosiddetta “fase 2”: un allentamento delle misure restrittive e una parziale ripresa di alcune attività commerciali e produttive – si avvicina. Stando alle statistiche, circa il 70% degli italiani hanno fatto in casa pane, pizza o pasta, c’è stato un 20% di incremento di visualizzazioni dei tutorial estetici e sportivi ed è prevista (secondo le analisi di Strategy Analytics, divisione TV&Media) una crescita del 5% degli abbonamenti alle piattaforme di streaming.

Le inquadrature di Zoom, Skype e Houseparty sono state e sono (e saranno?) da cornice ai volti delle persone con cui ci si relaziona al di fuori dell’ambiente domestico. E sui social spuntano timidi post di chi in realtà non aspetta trepidante il 4 maggio: “Questa quarantena non va così poi male”, “pensavo che l’avrei presa peggio”, “sta iniziando anche a piacermi”.

C’è chi scrive che l’importante è che quando se ne uscirà nessuno abbia paura di uscire di casa. Con l’ombra di una recessione economica, e di un futuro sempre più diffidente, le mura di casa – per chi vive in una condizione degna di essere chiamata tale – sono rassicuranti.

E allora questa quarantena si è tramutata nella fortezza Bastiani? Nonostante la primavera, l’estate, gli amici, l’amore, si avrà il coraggio di lasciarla?

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