La protagonista di “Queenie”, romanzo d’esordio di Candice-Carty Williams, è una ragazza nera di venticinque anni, inglese con origini giamaicane. Con uno stile diretto, onesto e ridotto all’osso, l’autrice traccia i contorni di un contesto nero quotidiano, senza assoggettarlo a una morale politica. Emerge il ritratto, a tratti comico a tratti amaro, di una millennial invischiata in dinamiche autentiche e familiari, per quanto spesso distruttive – L’approfondimento

La prima volta che incontriamo Queenie è nel bel mezzo di una visita ginecologica: la dottoressa sta frugando nella sua vagina e lei intanto invia messaggi a Tom, il fidanzato che le ha imposto una pausa di riflessione. Poche pagine dopo, Queenie scopre di aver avuto un aborto.

Pubblicato da Einaudi Stile Libero e tradotto da Maria Grazia Perugini, Queenie è il romanzo d’esordio di Candice-Carty Williams. La protagonista è una ragazza nera di venticinque anni, inglese con origini giamaicane, che di lavoro si occupa dell’inserto culturale di un giornale nazionale.

Queenie, Candice Carty-Williams

Porta la quarantotto, dorme con il foulard, odia che le vengano toccati i capelli. Come lei stessa riconosce, “non esistono uomini simpatici come me o come qualsiasi altra donna che abbia mai conosciuto”. Ed è vero, Queenie è simpatica, ironica, vitale, brutalmente onesta. Soprattutto, è nera, e questo condiziona ogni sua esperienza, passata e futura: “Non posso alzarmi una mattina e smettere di essere una donna nera. Non posso entrare in una stanza e non essere una donna nera”.

L’ex compagno di sua madre da piccola la chiamava Bounty, come la cioccolata, “bianca dentro, marrone fuori”. E se il percorso di Queenie può ricordare nella forma quello di tante eroine bianche (una tra tutte, Bridget Jones, a cui è stata espressamente accomunata), nella sostanza ci si allontana, tracciando un confine netto tra lei e le protagoniste convenzionali di racconti di genere.

Perché, per quanto anche Queenie sia una ragazza che cerca l’amore e che a un certo punto realizza che deve mettere al primo posto se stessa, la Williams va più a fondo. Con uno stile diretto, onesto e ridotto all’osso, traccia i contorni di un contesto nero quotidiano e mondano, senza assoggettarlo a una morale politica.

Gentrificazione, razzismo, schiavitù moderna e lotte sociali sono temi che compaiono a più riprese, ma non condizionano mai il ritmo della narrazione. Prima ancora di essere la storia di una giovane donna nera che vive a Londra, Queenie è la storia di una giovane donna nera che deve capire chi è. È una storia di amicizia (ce n’è tantissima, soprattutto femminile), di rapporti familiari complicati, di relazioni distruttive.

Mentre ancora spera che il suo ex ragazzo ci ripensi e torni da lei, Queenie s’iscrive a un’app di dating, dove trova chat inquietanti con sconosciuti che la chiamano “cioccolatino”. Inizia una spirale di incontri occasionali con uomini che la trattano alla stregua di un giocattolo, di tentativi di smettere per poi ricaderci, puntualmente, qualche sera dopo. C’è Adi, un “pachistano massiccio e piacente” che guida un’enorme BMW nera – “ogni volta che lo incontravo non perdeva occasione di dichiarare che le donne nere erano un frutto proibito per i musulmani e che andava pazzo per i grossi culi neri”. C’è Guy, un gallese che durante il rapporto sessuale le provoca lesioni interne così profonde da essere “altamente compatibili con una violenza sessuale”, come le dirà la ginecologa; ci sono tanti nomi senza volto che si avvicendano sull’app d’incontri OkCupid e che le rivolgono attenzioni scurrili, razziste, negative – “belle curve, adoro le ragazze grosse”.

Le sue mosse sono dettate da ansia, disperazione, paura di restare da sola. Non c’è giudizio nel racconto e non c’è giudizio nel lettore, che vede in Queenie il perfetto ritratto di una ragazza millennial intrecciata in dinamiche autentiche e familiari, per quanto spesso insane.

Tutto, nel suo mondo, è fragile: il lavoro, le relazioni con gli uomini, il rapporto con sua madre, con le amiche, con se stessa. Questo senso di precarietà si riverbera anche nello spazio, concretizzandosi in eventi solo all’apparenza piccoli: tornando a Brixton e ripercorrendo le strade che faceva da piccola con la nonna, Queenie scopre che la pasticceria caraibica non c’è più, sostituita da un’hamburgeria alla moda; frequentando la piscina del suo quartiere, si sente fuori posto – “non vedevo nessuna come me. Nessuna nera. Non si sarebbe mai detto che eravamo a due passi da Brixton”.

Discute con una delle sue migliori amiche, quando lei chiede “oh no, che stava facendo?” in risposta alla notizia della morte di un uomo nero per mano della polizia (“avrei voluto comunque che i bianchi benpensanti di sinistra riflettessero due volte prima di dire cose che ritenevano innocenti”). Discute con il fidanzato quando, ospite a casa della sua famiglia, ascolta i parenti pronunciare frasi offensive (“era il negro quello nella dispensa?”). Discute con un collega quando lui le fa notare che il movimento Black Lives Matter non ha senso, perché “tutte le vite sono importanti”. È una lotta continua: contro gli altri, per guadagnarsi il loro rispetto, la loro comprensione e il loro supporto. Contro se stessa, per cercare di tenere a bada la sua attitudine al “catastrofismo” e all’autosabotaggio.

Perde il lavoro, sperimenta la depressione, gli attacchi di panico, la paralisi del sonno. Smantella pezzo dopo pezzo lo stereotipo della black strong woman. Tutto per riuscire ad accettare una verità che la sua migliore amica Kyazike le ripete fin dalle scuole medie: “sei libera di essere la ragazza nera che vuoi”.

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