Con la sua cifra riconoscibile e potente, fatta di malinconia e di ironia, Valeria Parrella scrive un romanzo on the road sul tema delle donne, privo di prepotenza e pieno di verità: andando a fondo, guardando indietro, alle madri e ai padri che ci hanno reso quello che siamo, l’autrice racconta l’orgoglio di essere “quel tipo di donna” che sa proteggere senza sfidare, capisce quando ci si può fermare e ammettere di non farcela, conosce l’amicizia reale e suona la fisarmonica in faccia a moralisti e censori – L’approfondimento

Quattro amiche partono per un breve viaggio in Turchia, durante il Ramadan: sono libere e arruffate, le protagoniste di Quel tipo di donna (HarperCollins) di Valeria Parrella. Si muovono leggere, senza bisogno di mostrarsi, un po’ sgarrupate come le loro vite. Come le vite di tutte.

Sono diverse tra loro, due gemelli e due capricorni: Dolores e Carola sono allegre e solari, impavide e sconsiderate, Camilla e la voce narrante maniacali e precise, organizzatrici e prudenti.

Sono le diversità e gli equilibri sempre nuovi a rendere il loro viaggio speciale, e poi tra amiche si fa così: ci si salva dai casini e ci salva dalla noia, tutto insieme.

“Insomma noi due, io e Camilla, andavamo a fondo al solo pensare che lì sotto c’era un fondo, e invece loro galleggiavano, nuotavano, facevano le capriole sopra la Fossa delle Marianne con un uragano all’orizzonte”.

quel tipo di donna valeria parrella

Erinni spavalde libere da giudizi, dalla bilancia, dagli sguardi che misurano, libere dalla paura della solitudine, e dall’ansia di inseguire qualcuno, queste donne condividono promesse e passati, hanno un bagaglio di dolori e di errori, si guardano nelle loro somiglianze, si amano nelle loro stranezze. Chi ha un lutto da affrontare, uno strazio di madre che non si può nemmeno immaginare, chi la fatica di attraversare la vita accudendo una bimba mai cresciuta, chi porta addosso la cicatrice indelebile dell’inadeguatezza, che fa sentire sempre sbagliata, sempre la numero due, amante e rimpiazzo per sempre.

Atterrano a Istanbul così, imparando il turco con le cuffie in aereo, recitando l’Infinito di Leopardi, quattro amiche che in quel viaggio hanno con sé moltissime altre donne, le madri, le nonne, le libertà conquistate con l’istinto, la lotta, la coscienza della propria identità, le solitudini fatte di porte aperte e letti sfatti.

Le accoglie una città come loro, costruita sui contrasti e sull’accoglienza.

“Una città aperta ed enorme, dove ognuno faceva quello che voleva, attraversata da talmente tante persone diverse che nessuno aveva il tempo di badare agli altri. Come accade pure nel centro del centro di Napoli o a Union Square, solo che qui è più evidente per l’intrecciarsi, nello stesso sguardo, di minigonne e chador. Così ci apparve la città come la vita, quel giorno: varia”.

Prendono confidenza con la polvere e le strade, si fanno un po’ esotiche, si vestono come capita, chiedono indicazioni, incontrano persone, rispettano il Ramadan con la gioia della sera e del cibo che arriverà, vedono donne tutte coperte di nero, che leggono Margaret Atwood di fronte al Bosforo, e le riconoscono sorelle, entrano in Moschea mezze nude avvolte nei teli come mummie, e il loro stupore si fa preghiera.

“Le religioni non esistono più e tornano al loro principio compositivo, che è celebrare ciò che di divino v’è nell’uomo, cioè il femminino”.

Non ci sono gli outfit di Carrie, qui, non ci sono le ribellioni di Thelma e Louise: nel racconto delle quattro amiche in viaggio, Valeria Parrella celebra una femminilità coraggiosa e un po’ fricchettona, dove alberga la coscienza di un valore primitivo che trascende culture e religioni, stati borghesi o popolari e si fa identità, materna, sessuale, feconda, essenza di un femminismo che si rafforza imparando, che è debitore di tante battaglie, silenziose e quotidiane, vitale e aperto agli altri.

In macchina in Cappadocia, su una Mercedes bianca da camorrista degli anni 80, le capricorno con la cartina, le gemelle con le informazioni da chiedere a chiunque, nella migliore delle ipotesi sono gli astri a guidare, verso i Camini delle fate sulla strada per Antalya.

In un mondo dove non c’è nessuno da rincorrere e da aspettare, non resta che immergersi nel profondo, sotto la crosta della Terra, nei cunicoli sotterranei che sono un ventre che custodisce tutto il rimosso del cuore: procedono a carponi, celebrando il ricordo di donne molto più forti di loro, che un lavoro alla Upim o la sfacciataggine di un amore senza vincoli ha reso indipendenti. E uscendone meno sole, un derviscio di madreperla al collo per continuare a respirare.

Con la sua cifra riconoscibile e potente, fatta di malinconia e di ironia, Parrella scrive un romanzo on the road sul tema delle donne, privo di prepotenza e pieno di verità: andando a fondo, guardando indietro, alle madri e ai padri che ci hanno reso quello che siamo, Parrella racconta l’orgoglio di essere quel tipo di donna che sa proteggere senza sfidare, capisce quando ci si può fermare e ammettere di non farcela, conosce l’amicizia reale e suona la fisarmonica in faccia a moralisti e censori.

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