Olga Campofreda, autrice di “Ragazze perbene”, su ilLibraio.it ripercorre l’educazione sentimentale delle bambine cresciute con “Sailor Moon” e “Lady Oscar”, e poi con Britney Spears, in una realtà che non sembrava lasciare spazio al desiderio, alla passione e alla vera libertà: “Qualcuno aveva deciso che le ragazze sarebbero dovute essere di nuovo mansuete e silenziose, timide e opache, nonostante tutto il glitter”. Da qui la consapevolezza del potere della scrittura, “lo spazio privilegiato in cui reinventare da capo i modelli di quando ero bambina, fatti di donne che obbediscono o che attendono”, per riscrivere la storia e ribellarsi per la prima volta

Le prime cose che ho imparato sull’amore da bambina sono arrivate dai cartoni animati che guardavo il pomeriggio tra Canale 5 e Italia 1. Nei giorni di pioggia sognavo a occhi aperti di svoltare un angolo a caso della Reggia di Caserta ritornando da scuola, per scontrarmi – come la protagonista di Kiss me Licia – in qualcuno che mi avrebbe condotto dalla mia anima gemella. Anch’io, come Bunny di Sailor Moon, mi addormentavo costruendo situazioni più o meno complesse da cui uno sconosciuto Milord sarebbe venuto a tirarmi fuori: dal compagno che mi rubava gli appunti d’inglese, per esempio, o dai teppisti che venivano fuori scuola per lanciare uova marce nei giorni di carnevale. A volte il mio Milord aveva la moto e gli occhiali a specchio, altre volte uno scooter e la maglietta dei Nirvana.

Anni dopo avrei scoperto che l’espediente del principe salvatore si chiama Deus ex machina, e non è neanche troppo consigliato quando si scrive una storia, perché risulta facile e affrettato. Al tempo, comunque, il dettaglio non mi infastidiva. Anzi, aveva fin troppo senso: Sailor Moon e Milord in un’altra vita erano stati la Principessa Serenity e il Principe Endymion, il loro amore era stato grande e dunque anche le reciproche reincarnazioni sarebbero state destinate ad amarsi per sempre. Meglio questa sorte, del resto, che quella capitata a Lady Oscar, costretta dal padre a vivere nei panni di un uomo. L’amore per l’amico Andrè era stata una deviazione che lei non avrebbe dovuto osare. Per questo motivo la fine del cartone animato l’ho sempre letta come una punizione: infrangendo le regole di un destino stabilito, Oscar segue il suo desiderio e nel farlo va incontro alla morte.

Per me e per tante altre mie coetanee – bambine di provincia, ragazze perbene – l’educazione sentimentale è cominciata così. Vivevamo chiuse in cattività nelle nostre camerette-caverna, osservando in televisione le ombre di un mondo ideale in cui alle giovani eroine disegnate a matita era concesso di innamorarsi per caso o per destino. Mai per scelta.

Britney è arrivata qualche tempo dopo. Nei pomeriggi della scuola media i suoi occhi malinconici tornavano continuamente nella programmazione di Mtv. Ricordo un video in particolare in cui vestita di bianco guarda da lontano attraverso un binocolo un ragazzo che gioca insieme al cane con un pallone da football. Il desiderio si consuma tutto nella distanza e nell’attesa. I due non si incontrano mai. Lei non gli si avvicina, ma preferisce restare sul molo a interpretare una coreografia con i ballerini che le si stringono intorno a forma di cuore. Sometimes I run/ Sometimes I hide dice il testo della canzone: la ragazza si allontana, scappa via, anche se tutto quello che vuole è stare con lui notte e giorno e stringerlo a sé.

Quello stesso anno – era il 1999 – ci si era messa poi anche Christina Aguilera, che in What a girl wants ringraziava il ragazzo per aver saputo aspettare, mentre lei fuggiva via nascondendo quello che voleva davvero. Alla combinazione tra caso e destino, a un certo punto si era aggiunta l’idea che il desiderio (il nostro) fosse sempre qualcosa da tenere nascosto o di cui avere paura (quando lo si percepiva nell’altro). Era come se improvvisamente il mondo avesse dimenticato di essere stato liberato e poi calpestato da Madonna solo pochi anni prima. Qualcuno aveva deciso che le ragazze sarebbero dovute essere di nuovo mansuete e silenziose, timide e opache, nonostante tutto il glitter.

Moltissimi anni più tardi, a Londra, avrei ricevuto un libro da un caro amico. Era un grande trattato sull’amore occidentale scritto negli anni Trenta da un giovane chiamato Denis De Rougemont. Nell’introduzione avevo sottolineato una frase che faceva notare quanto uomini e donne siano sempre disposti a sentir parlare d’amore, ma poi vengono assaliti da una grande paura se ci si accinge a definire la passione. Oggi come allora, rileggerla mi fa pensare al mondo delle ragazze perbene così come l’ho conosciuto. Costruito sull’equilibrio tra attesa e distanza, predestinazione e caso, il loro – il nostro – è stato un mondo in cui desiderio e passione non venivano quasi mai nominati.

Mi sono spesso domandata cosa sarebbe successo se le storie con le quali siamo cresciute fossero state diverse. Se invece di stare a guardare il ragazzo da lontano, Britney avesse deciso di andargli incontro. Se lo avesse abbracciato come avrebbe voluto, per poi tornare a ballare sul molo. Se Bunny-Sailor Moon se ne fosse fregata del suo destino di guerriera, delle vite precedenti e tutto il resto, per seguire invece una strada solamente sua, del tutto nuova, senza curarsi delle aspettative degli altri. Che cosa sarebbe accaduto se pure Oscar si fosse ribellata a quella divisa fin da subito.

A un certo punto, la scrittura è diventata per me lo spazio privilegiato in cui reinventare da capo i modelli di quando ero bambina, fatti di donne che obbediscono o che attendono. Ho immaginato strade nuove per tutti quei destini che sembravano già dati e che proprio non mi andavano a genio. Li ho fatti esplodere, ne ho raccolto i cocci tra le mani, li ho osservati per un po’ e poi li ho lasciati andare tenendo solo i pezzi che brillavano di più. Tra tutti quei frammenti di sogno, alla fine ho riconosciuto anche i miei e li ho afferrati con forza. Questo è stato il primo vero atto di ribellione che mi sono concessa e senza dubbio il più potente di tutti.

Riscrivere da capo la propria storia – nominarla – significa riconoscerle dignità di esistere. E questo vale anche per ogni forma di amore e desiderio.

ragazze perbene olga campofreda

L’AUTRICE – Olga Campofreda (1987) è nata a Caserta. Nel 2020 ha conseguito un dottorato in Italian Studies all’University College di Londra, dove adesso insegna Traduzione, lingua e cultura italiana. Ha pubblicato un reportage narrativo su Lawrence Ferlinghetti (Giulio Perrone) e un saggio su Pier Vittorio Tondelli (Mimesis).

Ha scritto di letteratura, cultura pop e sport su Minima&Moralia, il manifesto, la Balena Bianca e Zarina. Lavora come maestra di scherma per la nazionale inglese U20.

NN pubblica ora il romanzo Ragazze perbene: nelle città di provincia le ragazze si assomigliano tutte, nonne zie madri e figlie. Per sfuggire a un futuro già raccontato, Clara è andata a vivere a Londra, dove insegna italiano a ricchi expat, e intreccia amori e amicizie su Tinder. Ma il matrimonio della bellissima cugina Rossella, inseparabile compagna di giochi e poi modella di abiti da sposa, la richiama a Caserta dalla famiglia. Poco prima del matrimonio, però, Rossella sparisce, la famiglia si allarma, e Clara trova in un diario della cugina le tracce di un segreto, che comunque non potrà cambiare di una virgola i piani sul futuro.

L’autrice toglie il velo sulle seconde vite e i desideri nascosti delle ragazze perbene i cui destini sono fatti di una femminilità tramandata di madre in figlia, che parla di sacrifici e rinunce, di principi azzurri e Britney Spears, di infelicità che si specchiano l’una nell’altra e di preghiere soffocate nel colore opaco di una piccola provincia del Sud Italia.

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