Filippo Ronca, classe ’87, è all’esordio nel romanzo con “Sembra che presto annegherò”, in cui racconta la storia di Manfredi, innamorato perso di Antonia e che, come ogni giovane uomo innamorato, la rivede in ogni cosa. Su ilLibraio.it l’autore parla della sua passione per la magia e del protagonista del libro

C’è che poi, a me, mi piacciono i maghi. Sì, anche i mangiafuoco e i ballerini. Però i maghi di più, mi piacciono di più. Mi piacciono i maghi perché, anche quando non parlano, quando non usano la voce, raccontano una storia e i loro movimenti sembrano sempre sospesi con un filo in nylon sopra al fallimento, ad una piccola tragedia.

All’inizio di ogni numero, il mago racconta lo stato di quiete, la stasi delle cose, compie una danza minima intorno alla noia. Poi, dopo, con un gesto stravolge tutto: una sparizione, una divisione, il taglio, appunto, l’assenza di quiete.

Arrivati alla fine del secondo atto della magia, uno potrebbe dirmi Scommetto che a te piace la terza fase, quella della riapparizione delle cose, “il prestigio” finale del ritorno alla quiete.

Rispondo subito Scommetti bene, sì, mi piace proprio la terza fase di ogni numero di magia, con quella sorta di calma rincuorante alla fine di un brutto sogno.

Però, prima di parlare della terza fase, bisogna puntualizzare una cosa: i maghi che falliscono, quelli che scivolano dentro la tragedia, quelli che hanno il cilindro vuoto e il coniglio chissà dov’è, quelli che non trovano più l’asso di cuori ma solo picche, quei maghi lì, anche con un numero incompleto, sono comunque maghi. Sono comunque maghi perché hanno abbracciato il rischio del narrare una storia, pensando di poterla domare o tenere nella mano senza schiacciarla o soffocarla e, forse, il numero di magia è già questo: la presunzione di poter fronteggiare l’assenza, essere sicuri di riuscire a sostenere il peso di un vuoto che può piovere senza sosta.

“Scrivere è, in genere, nascondere”, ha scritto Valerio Magrelli. Così, con questa matita color amore-per-i-maghi, mi son detto, proviamo a disegnare Manfredi, proviamo a far muovere Manfredi per le strade di Brescia, proviamo, dopo la presentazione della breve noia iniziale, a far comparire un’assenza che inglobi ogni cosa e mescoli anche le strade della città, come fossero carte di un mazzo da gioco.

E Manfredi, non l’ho ancora detto, lo dico adesso, Manfredi è il nome del protagonista del romanzo, ecco Manfredi si muove all’interno del romanzo spinto da quella sensazione di “dover ritornare da qualche parte” che è l’invisibile filo da pesca che sostiene l’intera magia della narrazione. Manfredi è il mago che cerca il trucco per poter ritornare allo stato di quiete iniziale, ma, al tempo stesso, è trascinato, spinto, tagliato in due e ribaltato da questa assenza che continua a crescere. Oltre ad essere il mago, quindi, Manfredi è anche il coniglio che vaga in cerca di un cilindro qualunque per non scomparire per sempre. L’odissea di Manfredi si muove sulla circolarità della composizione ad anello, ma se, come si dice, tutti i ritorni solitamente disegnano la lettera O, senza alcun dubbio la storia di Manfredi disegna la lettera Q.

C’è ancora un altro fatto: nello sguardo di Manfredi, ad ogni ritorno, nel terzo atto della magia, tutto scivola di un millimetro. Ad ogni tentativo di chiusura del cerchio, i lembi non combaciano mai veramente. Così, dall’anello si passa alla spirale. La composizione a spirale diventa la forma del muoversi di Manfredi, verso l’esterno, verso l’interno, il ritornare sulle cose per non perderle e, ogni volta, rivederle da un punto di vista nuovo. Uno sciabordio di abbandoni e assenze che tornano a sbattere contro la sua testa. E attraverso la bacchetta magica della metafora Manfredi compie la vera illusione: mescolare il tempo.

Lo dilata, lo rallenta, riesce finanche a ritornare indietro, al centro della spirale dei sentimenti, nei giorni più belli, quelli dell’amore sussurrato, dove tutto è in bilico, dove tutto è un accenno e si resta comunque fermi, immobili, in apnea, in attesa che un piccolo vento faccia cadere la prima tessera del domino di una storia.

Attraverso la metafora Manfredi può raccontare (a se stesso) ogni volta una nuova prospettiva di meraviglia, ricercando lo stupore di innumerevoli primi sguardi anche su qualcosa che non c’è più.

Restando fedeli al silenzio generato dall’assenza, le parole cercano un ritmo, diventano un mugolìo, quasi un canto, “perché il canto della durata è una poesia d’amore. / Parla di un amore al primo sguardo / seguito da numerosi altri primi sguardi.” (Peter Handke)

Sembra che presto annegherò di Filippo Ronca

L’AUTORE E IL LIBROFilippo Ronca è nato nel 1987 a Brescia, città dove vive. Si è laureato in Lettere e Filosofia con una tesi su Jack Kerouac e il Festival di Sanremo. Lavora in un’agenzia di comunicazione come copywriter, e ha frequentato la Karenin, scuola di scrittura fondata da Paolo Nori.

Sembra che presto annegherò è il suo esordio narrativo per Mondadori: il testo racconta la storia di Manfredi, innamorato perso di Antonia e, come ogni giovane uomo innamorato, la rivede in ogni cosa, la esplora, la sente, gli sembra addirittura che quando entra in una stanza lei sia sempre più grande, e non c’è nulla che non sia segnato dalla sostanza o dallo spirito o dalla smagliante banalità del suo semplice essere Antonia. Lo è nei gesti quotidiani, nello svegliarsi insieme, nell’andare a cena fuori, nello stare con gli amici, nell’uscire per le strade.

Filippo Ronca, credit (c) Matteo Biatta.

Filippo Ronca, autore di Sembra che presto annegherò. Credit (c) Matteo Biatta.

“E anche il nome di Antonia, a me sembra una stagione, la stagione preferita, che attendi tutto l’anno che arrivi”. Manfredi ci racconta il suo amore ma soprattutto cerca di spiegare che cos’è, l’amore: proprio perciò il linguaggio è trasparente, proprio perciò a ogni svolta dell’accadere c’è una similitudine, una dichiarazione, una promessa; proprio perciò, quando Antonia gli chiede se è davvero il caso di continuare, si resta senza fiato.

E proprio allora scatta il romanzo, i tempi accelerano, si sovrappongono, si incrociano continuamente. Le vicende via via si accumulano, ci prendono di sorpresa, e fanno sì che spesso ci si chieda: ma è successo davvero? E quanta Antonia resta nel gioco del caso, nella tempesta dei sentimenti, nello sgomento di stare al mondo?

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