Su ilLibraio.it un racconto tratto dall’undicesimo numero dalla rivista di racconti “L’inquieto”, firmato da Davide Morganti e accompagnato dalle illustrazioni di Davide Catania

Esce l’undicesimo numero della rivista semestrale di racconti illustrati L’Inquieto. Fondata nel 2013 su iniziativa di Bernardo Anichini e Martin Hofer, ha coinvolto in questi anni oltre centocinquanta tra scrittori e illustratori, esordienti o già affermati.

rivista l'inquieto

Il nuovo numero, online a partire dal 6 novembre, si intitola Mammona. Un tesoro sotterrato (si può sfogliare e scaricare direttamente dal sito della rivista), e vede la partecipazione di Bernardo Anichini, Davide Catania, Martina Cavaglià, Andrea Donaera, Claudia Farini, Chiara Ficarelli, Simone Giorgi, Martin Hofer, Giulia Mangione, Alessandra Marianelli, Paola Moretti, Ferdinando Morgana, Davide Morganti, Stella Poli, Ugo Sandulli, Caterina Scaramellini, Margherita Travaglia, Daniel Valsesia, Andrea Zambrero. La cover è affidata a Elena Guidolin, mentre l’impaginazione e la cura grafica sono di Nicolò Ciccarone.

Per gentile concessione della rivista, su ilLibraio.it proponiamo il racconto di Davide Morganti* accompagnato dalle illustrazioni di Davide Catania**.

Atto di abbandono alla meccanica di Newton

Quando mi affaccio alla finestra spero sempre di vedere qualcuno che cada, solo che non succede mai e mi sento triste appena la chiudo, penso che il giorno dopo andrà meglio, perché aumenterà il prezzo della benzina, della pasta e del pane, aumenteranno gli attacchi dei terroristi, aumenterà la crisi delle famiglie e qualcuno prima o poi dovrà cedere. Sono arrivato in questo palazzo dopo aver girato a lungo per Napoli e provincia, ho impiegato mesi, l’ho scelto perché ci sono due depressi al quinto piano, una che da anni litiga col marito disoccupato al terzo, un malato mentale al sesto, una coppia di anziani che non paga da nove mesi la pigione e quindi, data la ancor buona condizione di forma, ci sono valide speranze che si buttino giù. All’inizio gli inquilini a stento mi salutavano, diffidenti e malati, pieni di rancore perché sono un supplente di sostegno. Io mi sono chiuso in casa e fumandomi una bella cannetta ho iniziato a guardare la mia vicina, Anna, una biologa, che dopo poco comincia a parlarmi dei termosifoni che ha scelto, del suo compagno che lavora in un supermercato poco distante, dei lampadari in arte povera, a farla breve già non ne posso più della sua casa, dei suoi mobili, dei suoi termosifoni; mi auguro che i due si lascino presto, mi auguro che lui la picchi o che lei lo tradisca e che lui scopra tutto, per cambiare discorso le chiedo del suo lavoro, lei, entusiasta, prova a spiegarmi perché moriamo parlandomi di cellule staminali, non l’ascolto più. Una sera mi presenta il marito, o quello che diavolo è, un uomo goffo, occhi a palla, pantaloni sotto le suole, si lamenta tutto il tempo che vorrebbe fare altro, che un supermercato genera clienti come succede ai corpi in putrefazione, che alle casse ci dovrebbero essere degli psicologi per capire cosa vogliono tutti. “Forse anche uno come te”, dice, alludendo al mio lavoro. Quel giorno gli è capitato uno che, davanti al banco macelleria, ha indicato la carne esposta: “Secondo lei Gesù è morto anche per loro?” gli ha chiesto.  Resto con la mia cannetta sospesa nell’aria, il fumo mi guarda per discolparsi: non ne sa niente di quella storia. Il mio vicino allora afferra un pollo, lo soppesa e si sente così in imbarazzo che alla fine al tizio risponde: “A morire, si può morire per chiunque, è a risorgere che non trovi qualcuno vivo”. A saperlo, invitavo il collega Maddaluno di religione, quello non distingue san Giuseppe dalla Madonna ma ti sa organizzare l’orario scolastico e parla in continuazione delle partite del Napoli che, secondo lui, hanno l’attenzione di Dio, soprattutto dal centrocampo in su. Anna è andata via qualche settimana dopo con un professore dalla faccia di canguro, il suo compagno si è disperato qualche ora, sono stata affacciato tutta la notte in attesa dell’insano gesto che però non è arrivato. Ha solo scritto una lettera al padrone di casa in cui raccontava del suo amore ed è sparito come dovrebbe succedere a una cartella esattoriale, senza lasciare tracce. Qui ha abitato anche un certo Vladimiro Cennamo, ora uno mi potrebbe chiedere: E chi è ‘stu Vladimiro Cennamo? Nel quartiere è una leggenda, ancora se lo ricordano che distribuiva al mercato la sua fotografia mentre, braccia spalancate, sorride al cielo. La gente, che lo conosceva, non solo prendeva l’immaginetta ma la infilava nel portafoglio, la metteva nelle culle dei figli, la sistemava sotto i sedili delle auto; Vladimiro infatti si vantava di aver guarito padre Pio dalle stimmate e la gente gli credeva! La gente gli voleva credere con la stessa convinzione con la quale entra in una sala Bingo. Tutte le sere raccontava ai condomini di come il santo, dopo la guarigione, avesse cercato di farlo uccidere senza riuscirci! A lui le stimmate servivano! Senza, nessuno gli avrebbe dato retta! La Chiesa non lo avrebbe fatto santo! Ma Vladimiro gli mollava ogni tanto un buffetto sulla guancia e lo mandava via, dicendogli di non preoccuparsi. Convinto che gli angeli lo avrebbero sorretto, Vladimiro si buttò dal settimo piano del palazzo del fratello, nella caduta pare si guardasse intorno senza però trovare nessuno. Adesso riposa nel cimitero di Poggioreale. Una volta sono pure andato sulla sua tomba, un marmo largo e sporco su cui a stento si legge il nome. Sulla fotografia ci sono richieste di grazie e chissà se si sono mai realizzate.

Davide Catania - Atto di abbandono 01

Maddaluno dice che Vladimiro Cennamo doveva avere dei voti bassi in religione per aver parlato in quel modo! Da poco ho conosciuto un ragazzo con problemi di droga, abita al piano ammezzato: speed, crack, coca, sta tappato in casa perché, dice, vuole ripulirsi. Si chiama Alberto, beve tantissimo, secondo lui l’unico modo per non cadere di nuovo nella droga è ubriacarsi. Metà della sua giovinezza non la ricorda, l’altra la sta lasciando andare. Vive con la fidanzata e con altri amici che non ho mai visto, vanno ai concerti, fanno casino fino a tardi, mi hanno invitato spesso ma non posso spendere e allora mi invento che devo andare ad accudire mia mamma, che in realtà è morta. Non è che Alberto e i compagni suoi mi interessino molto, è gente che passa le giornate a litigare con il divano chiedendogli di continuo perché ha quel colore o a insultare il frigo perché è vuoto. Sono più noiosi di Anna e del suo sfigato commesso. Hanno preso il posto di due gemelle, Emilia e Carmela Trincone, di quasi settant’anni, arrestate l’anno scorso dai carabinieri. Nel loro appartamento era un viavai di eritrei, somali, senegalesi, libici, tunisini che, non sapendo dove andare, venivano a riposare su sedie che le sorelle fittavano a tre euro ogni due ore, o sulle poltrone, che costavano un euro in più. Andare al cesso, bere acqua o vedere la televisione non erano inclusi nel prezzo. I primi anni, qui, li ho trascorsi fuori al balcone, pure d’inverno, salivo le coperte fin sopra agli occhi e mi addormentavo con il gelo che mi tagliava la faccia, in quel periodo ho visto barboni, dischi volanti, aerei, stelle, incidenti d’auto, anime in cerca di corpi, mi è apparsa persino la Madonna per sbaglio (credeva fossi il malato terminale del civico appresso). Le consigliai di presentarsi a Maddaluno ma mi fece una smorfia come per dire che lei uno come Maddaluno al massimo lo avrebbe fatto ammalare, non guarire! Mi sono piovuti addosso foglie, acqua, panni, carta di giornale, mollette; ho avuto la bronchite, la sinusite, l’influenza, la cefalea ma continuavo a guardare in alto pure se c’era il temporale. Intorno alle tre del mattino, una notte, mentre ero nervoso per non essere stato ancora convocato da nessuna scuola, venne giù un mobiletto per il forte vento, lo vidi schiantarsi al suolo con un rumore cattivo. Rimasi a fissarlo fino a quando non uscirono i bambini dal portone per andare a prendere il bus. Il mobiletto veniva dalla famiglia Magliocca, quella del matto, lo portò via il portiere con l’aiuto del signor Esposito, mentre il matto urlava la sua disperazione abbracciato dalla mamma e dal padre. Quel giorno stesso salii da loro per sincerarmi che Rosario stesse bene, i genitori furono contenti, solo io, nel palazzo, mi ero preoccupato del loro figlio ma io ero uno sensibile, altrimenti non avrei potuto fare l’insegnante di sostegno, che gli insegnanti di sostegno hanno il cuore d’oro, sono altruisti, sempre pronti ad aiutare il prossimo, possibilmente dalle otto alle undici però. Rosario ha quarantasei anni, una pensione di invalidità, vari tic che vanno dal ginocchio flesso al collo torto, mi parlò del mobiletto come fosse una persona, da bambino si nascondeva lì dentro per ore, se ne stava in silenzio per paura di perdere la voce, sì, era convinto che la voce fosse come quegli animali che al primo rumore scappano via, senza la voce, diceva, il suo corpo sarebbe svanito, una volta cresciuto nel mobiletto ci ha messo i suoi giocattoli, poi li ha tolti e lo ha lasciato vuoto. Io gli spiegai come era andato giù il mobiletto, la giravolta che aveva fatto, il mio racconto fu così commovente che mi convinsi che di lì a poco sarebbe corso verso il balcone per andare a raggiungerlo; insistei: il rumore forte dello schianto, le schegge, le ante che si spaccano, la rimozione per mano di estranei. Rosario mugolò, pianse, si diede pugni in testa. Io incalzai, sembravo un insegnante di religione mentre parla di un musulmano appena sbarcato. C’erano pezzi dappertutto, pure sulle auto. Rosario sbuffò, si alzò, andò verso il balcone, purtroppo inciampò nella maniglia staccatasi dal mobile, cadde a terra, svenne, lo lasciai lì, a pancia all’aria, salutai i genitori venuti a soccorrerlo e uscii. La sera accadde qualcosa di strano, vidi dalla finestra un uomo cadere ma non era del palazzo e non stava precipitando, pareva stesse scendendo nel vuoto, calmo, piano, era l’anarchico Pinelli, scivolava lungo la parete in silenzio, i capelli ben pettinati, la faccia dell’uomo stanco, fissava in basso perplesso, rassegnato a quella caduta; poco più sopra di lui stava andando giù dall’ottavo piano un corpo piccolino, una bambola bionda, era Fortuna Loffredo, la bambina violentata a Caivano, non so se si accorse di me, le mancava una scarpa al piede e i ricci le coprivano parte della faccia, era seria seria, incredula, convinta forse che non avrebbe raggiunto l’asfalto. Non mi è capitato solo quella sera di veder scendere persone come fossero fiocchi di neve, due giorni dopo venne giù un giovane coperto da una tuta da lavoro, si chiamava Francesco Iacomino, non aveva fretta, sorrideva infelice dal 2004, dopo esser precipitato da una impalcatura di un cantiere abusivo, gli altri operai, per non perdere il lavoro, lo avevano trasportato sul bordo della strada che portava a Ercolano, sistemato sulle buste dell’immondizia, poi erano scappati via. Chissà se Dio è riuscito a segnare i loro nomi. Invece quando ho visto cadere calcinacci, frammenti di gomma, pezzi di vetro sono rimasto in silenzio per paura che il palazzo stesse crollando, poi è apparsa la testa tonda e pelata di Claudio Tammaro, deceduto a Casalnuovo durante i lavori di ristrutturazione di un capannone. Il capoccione all’ingiù lo scuoteva sconfortato, ha messo la mano sugli occhi per non guardare.

Davide Catania - Atto di abbandono 02

Vado spesso a trovare i due anziani, i coniugi Caligione, mi informo su come si sentano, credono sia premura, dicono che sono una brava persona, che ci dovrebbero essere più insegnanti di sostegno al mondo per renderlo migliore, mi offrono da bere e da mangiare, io faccio un po’ di cerimonie, abbasso lo sguardo e mi fingo imbarazzato dai complimenti. Sono così premuroso che chiedo di continuo quanto pesino e loro, commossi, con voce tremante mi rispondono; una volta a casa provo a calcolare la resistenza dell’aria, dell’accelerazione, della velocità d’impatto oltre all’altezza del palazzo ma ci rinuncio sempre perché sbaglio di continuo. Non sono molto pesanti, i Caligione, potrebbero forse addirittura sopravvivere all’impatto. Non sopporterei uno spreco del genere. Mi sento un po’ stanco, ho pitturato tutta la notte le ringhiere del balcone, prima però le ho grattate, pulite, passato il gel antiruggine, adesso la puzza mi pizzica il naso. Quando sono arrivato in questo palazzo, il balcone aveva decine di piante, le ho buttate, mi danno fastidio l’odore dei fiori, i loro colori, gli insetti che attirano, meglio mattoni e inferriata nient’altro, non voglio impicci mentre sono seduto o in piedi. La signora Gelardi, al piano di sopra, fa cadere l’acqua nel mio balcone quando annaffia, giù vengono anche terriccio, rametti, io pulisco in silenzio come facessi penitenza e aspetto. La vedo delle volte parlare fuori al palazzo con la tizia che litiga col marito, si chiama Alessia, non è bella e ha la faccia gonfia di pianto e di botte, mi racconta ogni volta che è esasperata, che prima o poi farà una sciocchezza, io allora le chiedo di che sciocchezza parla e lei: “Me jette ‘a coppa abbascio!”. Nel caso, le domando, se dal balcone o dalla finestra, Alessia mi guarda e non sa che rispondere. Facendo finta di scherzare, le consiglio il balcone perché dà proprio sotto al mio e a quello della signora Gelardi: è più comodo, bambini di fronte non ce ne sono, il cortile è quasi a strapiombo rispetto all’altro lato e si muore sicuro.

Lei, invece di accettare il mio consiglio, sorride: “Meno male che ci sei tu, Carlo!” e le torna la voglia di vivere. Io mi devo togliere il vizio di fare battute! Quando uno ha deciso che vuole morire, fatti i cazzi tuoi. Come mi sarebbe piaciuto stare di fronte a una Torre Gemella e vedere tutta quella gente che cadeva giù, nel 2001 invece abitavo in un condominio di Barra dove la gente urlava sempre ma non si uccideva mai, quando le persone urlano non muoiono, o muoiono raramente, non so perché sia così ma è così. Certo, lo so, ci sono quelli timidi, riservati, i peggiori, perché si uccidono senza far rumore. Io allora controllo le persiane, gli infissi quando sto da loro, invento che mio padre era tappezziere e un po’ ne capisco e loro ci credono; più i cardini sono arrugginiti meglio è, posso sentire quando aprono e subito mi affaccio nella speranza della caduta. Le preoccupazioni vengono d’estate, quando fa caldo, ci sono quelli che hanno l’aria condizionata accesa tutta la giornata, quindi se aprono le finestre io li sento, ma ci sono quelli che le tengono aperte e mi fanno stare nervoso tutta la stagione. I due depressi del quinto piano si chiamano Andrea Giliberti e Maria Paola Romagnolo, hanno tentato più volte il suicidio ma sono sempre stati salvati. Mi fanno una pena, lui abita con due zii, fratelli del padre, vanno alla messa tutti i giorni e lo accudiscono di continuo perché Andrea c’ha proprio la fissa della morte, io allora per cercare di convincerlo che la fissazione è giusta, gli ho detto che Gesù non è morto in croce ma cadendo dalla croce! Andrea va tre volte alla settimana dallo psicologo, mi sono informato: ha lo studio al terzo piano di via Crispi e io temo tutte le volte che si uccida lì. Con Maria Paola non ho mai parlato, la mamma la segue ovunque, ha messo i cancelli ai balconi e la ragazza non può più uscire. Dovrebbero intervenire i servizi sociali, non si può mica segregare una figlia per una paura. Come mi scoccia quando me ne sto affacciato e la signora Gelardi, con qualche scusa, fa lo stesso: pensa sempre che voglia vedere quello che fanno gli altri o chiacchierare con lei su gente di cui non so nulla. Sono costretto a uscire di notte, per evitarla.

Davide Catania - Atto di abbandono 03

“Quante volte avrei voluto buttarmi dal quinto piano, dalla mia casa, in cui tutte le camere mi fanno male, ma l’angelo all’ultimo momento mi salva sempre, mi tira indietro, come dal quinto piano voleva buttarsi il mio dottor Franz Kafka, dalla Maison Oppelt”. Lo scrisse Bohumil Hrabal, la tv cèca annunciò che era andato giù dall’ospedale Bulovka di Praga mentre dava da mangiare ai piccioni, si era sporto o la testa gli era girata, notizia ancora da vecchio regime, forse, lui, lo scrittore, vecchio, malandato, ha avuto davvero un giramento di testa non per l’altezza ma per quanto poco gli rimaneva, a terra è diventato cianfrusaglia, roba da portare via subito. Stando in questo palazzo, affacciato per tanto tempo, dopo Pinelli e dopo Fortuna, ti pare scorra la storia d’Italia e del mondo: ho visto cadere Alfredino Rampi, l’aereo di Ustica, l’MH 17 colpito da un missile in Ucraina, ho visto precipitare Sandor Kocsis, bomber della grande Ungheria, finito a vendere elettrodomestici in Svizzera, dove passava le giornate a bere, venne portato in galera, giocò nel Barcellona, andò giù dalla finestra di un ospedale spagnolo, a quasi cinquant’anni nel 1979; quella sera guardava in alto, mi indicò qualcosa, non ho mai capito cosa, forse non voleva che lo vedessi morire; e Primo Levi, che quando è caduto nella tromba delle scale del palazzo di Corso re Umberto 75 a Torino, la signora Iolanda Gasperi, la portiera a cui regalava i suoi libri, lo ho subito riconosciuto per la sua vestaglia elegante; io l’ho visto scendere mentre si sistemava gli occhiali sul naso, aveva lo sguardo miope, malinconico, i vetri appannati dal freddo. Non come Gabriella Ferri che mi fece segno col dito di stare zitto, non era dispiaciuta di cadere, si stese piano su un fianco e sparì dietro i panni stesi del piano di sotto. Quanto dolore vedo dal balcone, quanto, che delle notti vorrei starmene chiuso in casa e non uscire mai più. La cosa più faticosa è stata smettere di fumare, avevo paura che, nel buio, vedendo il rossore della sigaretta accesa fuori al balcone, non si buttassero più giù. Ma è noioso stare tante ore senza far nulla, mangio e bevo poche cose, qualche biscotto e dell’acqua minerale, e guardo su. Se Gesù tornasse, lo costringerei a fare l’insegnante di religione, così capirebbe che nemmeno lui è senza peccato; mi sa che, dopo poco, comincerebbe a non fare lezione e a dire inesattezze sui Vangeli, preferendo parlar male dei colleghi. Allora il diavolo condusse Gesù con sé nella città santa, lo depose sul pinnacolo del tempio e gli disse: “Se sei Figlio di Dio, gettati giù, poiché sta scritto: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo, ed essi ti sorreggeranno con le loro mani, perché non abbia a urtare contro un sasso il tuo piede”. Ma Gesù non volle fare la fine di Vladimiro Cennamo! Non si fidava degli angeli, amici pure di Lucifero! Una notte pioveva forte, il temporale chiuse cielo e terra che non si distingueva più quale fosse il cielo e quale la terra; ma io rimanevo sul balcone, gli scrosci d’acqua erano violenti, faticavo a tenere gli occhi aperti, volava di tutto, il vento gonfio di pioggia ricopriva ogni cosa; si fecero delle pozzanghere sul pavimento, persi l’equilibrio, sulla ringhiera mi sentii sfiorare la mano con delicatezza. Mario Monicelli, il corpo spastico di morte, scivolò lungo le mie dita, diventò una macchia umida nel buio, poi si fecero altre macchie umide, come quelle che si trovano sulle pareti. Caddero, l’uno accanto all’altro, nella pioggia, Carlo Lizzani e Memè Perlini, tenendosi per mano, in girotondo, alleggeriti dalla vecchiaia e dalla malattia. Di tornare a scuola non ho proprio voglia, i ragazzi puzzano, le aule sono sporche, i cessi hanno le porte rotte, i colleghi dicono sempre le stesse cose. Se ricordo bene domani dovrò far lezione a Tavella, un ritardato mentale che disegna sul quaderno solo le tette della mamma che ce le ha proprio grosse. So a che piano abitano lui e tutti gli alunni della II G: Anzalone, quarto piano, Arciello, primo piano, Bonucci, nono piano, Contiello, terzo piano, Dell’Anna, piano terra. Quando sostituisco qualcuno che manca, a scuola, spiego sempre lo stesso episodio per istigare i più deboli a fare lo stesso. Nel 1618 a Praga alcuni protestanti gettarono dalla finestra del castello due delegati cattolici, che si salvarono cadendo nella merda messa lì dai contadini. I cattolici considerarono quella merda grazia di Dio, volontà del Signore che faceva il tifo per loro perché sperava Lo facessero prima o poi papa, visto che il titolo di Dio non gli bastava. La stessa merda non la trovò, cadendo misteriosamente, Masaryk, ministro cecoslovacco, forse perchè era comunista e Dio, essendo più buono in cielo che in terra, non voleva deluderlo, facendosi trovare. Mi sta venendo mal di testa, ho i capelli umidi, dovrei asciugarli col phon ma a quest’ora farei troppo rumore e non mi va di litigare con condomini che, quando alzano la voce, sembrano tanti insegnanti di religione. Questa estate potrei andarmene in Spagna, a Ibiza, prenotare il primo piano di un albergo e guardare giovani ubriachi che si gettano dai balconi per sfracellarsi a bordo piscina, ma sentire la loro puzza di morte, di alcool, di droga, di abbronzante e di idiozia mi deprime così tanto da farmi venir solo voglia di starmene dentro la stanza. Le luci di quel balcone di fronte mi ricordano gli occhi di Amelia Rosselli, com’erano grandi quando cadde, stava scomoda in aria, non trovava la posizione giusta, allora giunse le mani sulla guancia riversa di lato: voleva solo dormire e non riusciva a prendere sonno. La bocca bella di Claudia Ruggeri, invece, masticava male l’eucaristia come fosse un chewing gum, pensavo la sputasse, lei mi fissò cupa, folle, gli occhi mi bruciarono la vista per alcuni istanti, ne ebbi paura. Cadere è dei poeti, non solo Amelia, non solo Primo o Gabriella o Claudia ma anche Jan Lechoń, omosessuale, esule, triste, solo, chiaccherone, polacco senza fissa dimora,  ha chiuso gli occhi come chiamato da Dio, lanciandosi dal dodicesimo piano dell’Hotel Hudson a New York, sepolto in un cimitero americano sovraffollato di lapidi, prima di tornare nella tomba dei genitori. Lui gli occhiali se li è tolti e ha cominciato a pulirli con calma, aveva il mento che quasi gli copriva la bocca, la cravatta ancora in ordine sotto la giacca scura. Ha fatto finta di non vedermi, forse per timidezza, ha provato a girarsi sulla schiena, non voleva che mi accorgessi della sua morte. “Dall’amore difende la morte, e dalla morte l’amore”, lo scrisse lui da giovane, io ho soltanto accennato a un saluto mentre mi passava davanti. A un balcone non puoi distrarti mai, ti tiene sveglio una continua ansia di pettegolezzo, le finestre vogliono che tu guardi, facile dire che è uno sfaccendato, le persone come me si espongono, tutti ne parlano male, dicono che non faccio nulla, che sono un parassita, io faccio finta di niente, vado avanti e indietro sul balcone come fossi una guardia. Ci sono abituato alle calunnie, per me sono chiacchiere, mica roba seria, non mi metto a raccontare queste cose alla gente, tanto penserebbe che sono matto o che sono un bugiardo, allora meglio tenersele per sé certe cose. Sennò dovrei dire che quando cadde Evelyn Mc Hale le sue calze si sfilarono contro i fili stesi del mio appartamento, si sentì lo strappo ma le gambe non si scoprirono, poggiai la faccia sulla ringhiera e vidi che Evelyn aveva la stessa posizione in cui la trovarono sull’auto quella mattina del 1947, a New York; a un certo punto si fermò un attimo, io rimasi stupito, in quel momento precipitò Giada De Filippo, non voleva morire da sola sul tetto dell’Università di Napoli, dopo aver organizzato la sua festa per una laurea che si era inventata e quel giorno diventò la sua fine. Scesero insieme, Evelyn e Giada, entrambe sorridenti, meno preoccupate della morte, quasi allegre. Sorveglio chi abita in questo palazzo per farlo stare tranquillo, nessuno si deve preoccupare, pure se qualcuno cade al massimo gli facciamo un funerale e poi si va a casa! Tutto il mondo fa così, non vedo cosa ci sia di strano, però meglio che chiuda la finestra, comincia il freddo e stasera non mi sento tanto bene, appena torno a scuola farò disegnare agli alunni la balena blu.

 

Davide Catania - Atto di abbandono 04

 

L’AUTORE* – Davide Morganti (Napoli, 1965), docente, ha pubblicato i romanzi Moremò (Avagliano) L’asciutto e la marea (Gremese) Caina (Fandango) – da cui è stato tratto il film omonimo, scritto dallo stesso Morganti e diretto da Stefano Amatucci, selezione italiana Oscar 2019 – e La consonante K (Neri Pozza).

L’ILLUSTRATORE** – Davide Catania (Catania, 1977), è autore di fumetti e illustrazioni per Retina, Canicola, Abitare, Studio, 11, Terre di Mezzo, Lo Straniero, Mucchio Selvaggio, Internazionale. Vive a Roma.

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