“La passione amorosa è, per definizione, un delirio, un’invenzione della psiche, una follia passeggera che ti rapisce…. è un rapimento meraviglioso, un impeto emotivo che ci fa sfiorare la gloria e ci fa sentire come fossimo eterni…”. Intervistata da ilLibraio.it, la scrittrice spagnola Rosa Montero, in libreria con “In carne e cuore”, è un fiume in piena. Ci parla di passioni, amori sentimentali (e carnali), dell’importanza di non prendersi sul serio, del suo approccio alla letteratura e…

Arriva in libreria In carne e cuore (Salani), il nuovo libro di Rosa Montero, la giornalista spagnola di El Paìs, autrice, tra gli altri, dei romanzi La pazza di Casa, Lacrime nella pioggia e Notturno di Sole (Salani).

In carne e cuore racconta le vicende di Soledad, che si ritrova senza un amante a cinquant’anni compiuti, quando questo la lascia perché lui e la moglie aspettano un figlio. Non più giovane, la protagonista decide di assumere un gigolò per far ingelosire il suo ex, sapendo che lo incontrerà all’opera, ma la serata prende una piega imprevista…

Inaspettatamente, mentre organizza una mostra per la Biblioteca Nacional di Madrid, Soledad si trova coinvolta in una relazione tormentata e instabile, mentre la storia sovrappone le sue vicende a quelle degli scrittori “maledetti” della mostra, in un intreccio ironico, a tratti rabbioso, che si ribella inutilmente alla crudeltà del tempo. La nostra intervista all’autrice.

Rosa Montero, la passione è quello che dà senso alla vita, ma a volte diventa anche ciò che “ammala” l’esistenza. Esistono una passione buona e una cattiva?
“La passione amorosa è, per definizione, un delirio, un’invenzione della psiche, una follia passeggera che ti rapisce. Presupposto che si tratta di un rapimento meraviglioso, un impeto emotivo che ci fa sfiorare la gloria e ci fa sentire come fossimo eterni. È così bello, così intenso, che è come una droga, per questo bramiamo tornare di nuovo a provarlo”.

Ed è questo che lo rende dannoso?
“Come diceva Sant’Agostino, amiamo l’amore stesso, cioè amiamo la meravigliosa sensazione di essere innamorati. Però, ovviamente, essendo una forma di delirio, ci mette in contatto con la nostra parte più profonda, più irrazionale, e nel contempo più fragile e ferita: proprio per questo le passioni possono essere, a volte, dannose”.

La carne, il corpo è qualcosa da cui oggi siamo ossessionati (sesso, fitness, cosmesi…) oppure è il grande elemento rimosso della contemporaneità (la digitalizzazione dei rapporti, la negazione della vecchiaia e il rifiuto della morte)?
“Credo che la carne sia sempre stata importantissima, credo che la carne sia quello che siamo, non siamo altro che cellule brulicanti in una soluzione chimica, pura carne che vive, gode, soffre, si ammala e muore. L’importanza della carne è sempre stata fondamentale; quello che avviene è che ogni società e ogni epoca intrattiene con la carne un rapporto culturale differente”.

Differente, ma non meno importante.
“Esattamente: i monaci del Medioevo si fustigavano per punire e sopprimere le necessità della carne, alcune sette orientali , al contrario, hanno glorificato il sesso e hanno tentato di occultare la visione della morte perché ci terrorizza; però questo non significa che noi non continuiamo a essere essenzialmente carne, carne cosciente di se stessa”.

La protagonista del suo libro non sembra somigliare molto all’autrice (che compare, brevemente, come personaggio del libro): che cosa l’ha attratta di questa donna? Che cosa l’ha portata a raccontare la sua storia?
“La verità è che non si scelgono le storie, ma sono loro a scegliere te. Sono sogni che si fanno a occhi aperti e che si affacciano improvvisamente alla tua mente, venuti da chissà dove (in realtà provenienti dal tuo inconscio). Così, in un modo o nell’altro, Soledad mi ha costretto a scrivere di lei. È una donna molto particolare, irritante, fastidiosa sotto vari aspetti, però alla fine si finisce per amarla e comprenderla. Ha passato una vita molto complicata, ed è una combattente”.

È un personaggio femminile molto forte.
“Non solo: volevo trovare un personaggio che, per ragioni che si comprendono nella lettura del romanzo, avesse molti amanti, ma non una storia sentimentale di coppia. Volevo vedere come si potesse essere così, con questa carenza pesante, e volevo che la protagonista, compiendo sessant’anni, iniziasse a dire a se stessa: ‘forse morirò senza conoscere l’amore'”.

Cosa le ha fatto cambiare idea?
“Dopo un po’ mi sono resa conto che non sarebbe stato necessario andare così lontano. Esistono molti uomini e molte donne che sono sposati da vent’anni, o che si sono sposati, divorziati e risposati e che, tuttavia, si trascinano una ferita analoga a quella della mia protagonista, perché sentono che non sono mai stati amati nel modo in cui desideravano essere amati, e che, di conseguenza, non hanno concesso a nessuno l’amore nascosto che hanno conservato per la persona speciale. Questa ferita può essere così bruciante da rovinare la vita”.

In tempi di Brigitte e Macron si è molto parlato di coppie, come quella protagonista del suo libro, nelle quali lei è più vecchia del partner. Che cosa ne pensa?
“Innanzitutto questa è sempre stata una cosa comune: ci sono sempre state donne con uomini più giovani. Diciamocelo: anche la regina Vittoria di Inghilterra, che era il simbolo del puritanesimo, ha avuto una relazione con un uomo più giovane, e ci sono molti esempi storici. Quello che succede è che, come tante altre cose che noi donne abbiamo fatto nel corso della storia, le relazioni sono di solito clandestine, più o meno tenute segrete”.

Cosa è cambiato oggi?
“Adesso queste coppie cominciano a emergere, anche se c’è ancora molto maschilismo, e vengono giudicate molto peggio di quanto si faccia nei confronti dell’esempio contrario, di un uomo di una certa età che sta assieme a una donna più giovane. Basti vedere l’approccio vergognoso con cui si parla del caso di Macron, la cui storia, detto per inciso, mi affascina”.

L’ironia, nel suo romanzo, appare una risorsa salvifica. Che ruolo ha nella sua scrittura e nella vita?
“Più che l’ironia, quello che amo è lo spirito d’umorismo in generale, nella vita come nella mia scrittura”.

In che senso ‘nella vita’? Qual è, secondo lei, il ruolo dell’umorismo nella vita?
“L’umorismo ci salva dall’aspetto ridicolo di darci troppa importanza, e ci aiuta a collocare le cose al giusto posto, ci permette di vedere quanto sono inconsistenti le nostre tragedie, così comuni, così banali. E, inoltre, l’umorismo consola, poiché il dolore condiviso diviene più sopportabile. In questo libro, in particolare, lo spirito dell’umorismo è essenziale”.

La protagonista del suo libro lavora a una mostra sugli scrittori maledetti. Esiste anche un modo di fare arte (e di amare) capace di superare questo schema autodistruttivo?
“Naturalmente sì! Per entrambe le cose: sono sempre stata contraria a questa teoria secondo la quale per essere artista si debba soffrire molto. Per esempio: Georges Braque sosteneva che l’arte è una ferita fatta di luce. Tuttavia è vero che qualsiasi vita, anche la più felice, contiene una dose sufficiente di ferite, ah ah. La ferita della morte, della propria morte e di quella delle persone care, la ferita che riguarda il Male e il Dolore che è nel mondo… non servono ulteriori dolori per essere un artista. E anche la scrittura è bella, vitale, gioiosa; non è qualcosa di autodistruttivo, al contrario: ti coltiva, è qualcosa di costruttivo”.

E l’amore?
“Per quanto riguarda l’amore, naturalmente, esistono amori accoglienti, consolatori, impetuosi e complici. Costruire una relazione sentimentale reale è sempre difficile e impegnativo, ma non necessariamente distruttivo. In effetti alla fine credo che questi amori malati siano minoritari rispetto agli altri”.

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