Nora De Luca è una maestra di scuola elementare, e ha scelto di firmare con uno pseudonimo “I figli degli altri”, il suo ritratto della scuola italiana, ora in libreria. Su ilLibraio.it riflette, attraverso un paio di episodi personali, su cosa significa lavorare in classi in cui sono sempre di più gli studenti figli di immigrati, tra momenti di inevitabile difficoltà e altri di scoperta e arricchimento: “Se non ci fossero Nassim, Malia, Volod’ja, Mariam, Nichola, Gianni, io, mi sa tanto che manco ce l’avrei, un lavoro”
Senza voce
Sono seduta accanto alla mia collega. Ci sono i colloqui. La classe è scalcagnata come di solito dopo una giornata in cui ha ospitato 25 persone. I genitori dei nostri alunni si siedono davanti a noi, in questi piccoli banchi e ci chiedono, ci raccontano.
Entra la madre di Malia, una signora pakistana. Ci guardiamo stupite, è la prima volta che la vediamo a un colloquio e, in generale, capita più spesso di incontrare i padri dei bambini che vengono da questi Paesi. Le madri, come in questo caso, hanno una maggiore difficoltà nel parlare italiano, a volte sono addirittura intimidite dall’incontro con noi per il semplice fatto che siamo italiane e siamo una cosa con la quale non hanno dimestichezza.
Si fa coraggio e ci parla e quello che ci racconta non riguarda direttamente sua figlia, riguarda lei. Il marito l’ha lasciata. Ha trovato un’altra donna. Lei non ha lavoro, sa parlare poco, non sa come fare. A quel punto si mette a piangere. Nessuno l’aiuta, dice. Non sa a chi chiedere.
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La mia collega allunga le mani sul banco, gliele prende, gliele stringe. Restiamo un momento a guardarci.
Prima di fare la maestra io gli stranieri che abitano nella mia città li incontravo sugli autobus, li vedevo camminare per strada, mi vendevano un litro di latte se l’avevo dimenticato e non avevo voglia di arrivare fino alla coop. Qui, a scuola, abbiamo iniziato ad abitare insieme lo stesso spazio, a conoscerci. Attraverso i loro figli ho sentito raccontare come si vive a casa, cosa si guarda alla tv, come si passano insieme le serate. Sono diventati parte delle mie giornate.
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Io, nella mia classe, ho una bambina che non mi parla. Non parla con me, ma non parla neanche con altri. Sta zitta, con uno sguardo molto serio e concentrato per otto ore. Tutti i giorni. Il padre, che lavora con italiani, ci dice al colloquio che Sta a chiappe strette. Sì, gli abbiamo detto. A chiappe strette.
Questo rifiuto noi non lo capivamo. Si capisce che è sveglia, che è intelligente. Le abbiamo provate tutte, l’approccio informale, simpatico, scanzonato, il pippone sulla vita. Non funziona niente. Zitta. Parla solo sotto tortura e anche in quel caso, a monosillabi. Sotto tortura intendo che riceve sollecitazioni esplicite a voce (si capisce, vero?) che probabilmente per lei corrispondono a una seduta di tortura con ferri roventi.
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La mediatrice ci ha detto che succede, a volte. A casa c’è un modello, un modo di vivere, di fare le cose, anche solo di essere femmine. A volte ti viene paura che ad allentare un po’, a mescolarti un po’ con qualcosa di tanto diverso chissà poi cosa ti succede.
Oggi il nostro lavoro è anche un po’ questo. Stare sui confini, allungare una mano. Aiutare chi arriva a entrare. Aiutare chi c’è a capire.
Un giorno in classe parliamo di immigrazione e il discorso non ha senso prenderlo alla larga. A un certo punto chiedo a chi ha i genitori che vengono da altri Paesi di alzare la mano. Più di metà della classe ora sta lì, con la mano alzata. Se i loro genitori non avessero deciso di partire e venire qui per i tanti motivi per cui si fanno queste cose, un lavoro, un fidanzato, la voglia di cambiare come viviamo, oggi noi non potremmo studiare, disegnare, giocare con Nassim, Malia, Volod’ja, Mariam, Nichola, Gianni.
I bambini si guardano. Si guardano e provano a immaginare come sarebbe davvero la loro vita senza quel grande pezzo di comunità che siamo.
E alla fine, se non ci fossero Nassim, Malia, Volod’ja, Mariam, Nichola, Gianni, io, mi sa tanto che manco ce l’avrei, un lavoro.
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L’AUTRICE E IL LIBRO – Nora De Luca è una maestra di scuola elementare, e ha scelto di firmare con uno pseudonimo il suo ritratto della scuola italiana: I figli degli altri (Mondadori).
De Luca descrive la scuola partendo dagli “scolari”: l’intrepido Scardozza, la struggente Mia, Gianni dal Senegal, Alberto che alla lavagna scrive frasi incomprensibili. Senza dimenticare gli insegnanti – tra alleanze e rivalità – e i bidelli – “forti di una condizione di mezzo che li rende indispensabili”. Un racconto vivido nel quale la certezza è una: lavorare a scuola significa prendersi cura dei “figli degli altri” mentre il sistema si decompone.
GLI APPUNTAMENTI – Le librerie Mondadori di Sarzana e Mantova e la Ubik di Pordenone ospiteranno una serie di letture tratte dal libro in occasione del Festival della Mente (il 31 agosto e l’1 settembre), del Festivaletteratura (il 7, l’8 e il 9 settembre) e di Pordenonelegge (il 21 e il 22 settembre). Si terranno all’aperto, di fronte alle librerie.
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