“Sempre in barba al buonsenso”, esordio di Carlo Massimino, è una raccolta di racconti di inventiva sfrenata, ambientati in una Milano magica e sospesa nel tempo, eppure attuale. L’epica pazza e miserabile dei quartieri di periferia si fonde con la luce della giovinezza e il racconto di avventure, amori e peripezie che parlano di una realtà tanto tetra quanto viva e appassionata…

Chi ha vissuto intensamente una città, non importa per quanto tempo, se ne costruisce una mappatura passionale. Sovrappone ai luoghi concreti il disegno delle proprie avventure, restringe e allarga a piacimento gli spazi e popola le strade e le vie di legioni di fantasmi familiari, di figure inquietanti emerse dai ricordi, dalle peripezie e dagli amori.

Vede storie in ogni angolo e queste storie sono spesso strane, a volte ridicole o nerissime, e parlano tutte della vita che c’è e di quella che c’è stata, sembra svanita ma esiste ancora nei racconti che si fanno di bocca in bocca e diventano epica ingigantita e stravolta.

Sempre in barba al buonsenso

Sempre in barba al buonsenso, esordio di Carlo Massimino edito da Agenzia X, ha questi tratti.

La definizione di realismo magico è indubbiamente calzante per questa raccolta di racconti ambientata in una Milano sospesa nel tempo e indefinita, che non può essere vera e allo stesso tempo non si potrebbe certo dire falsa.

Un luogo dove i riferimenti conosciuti (i nomi dei quartieri, le periferie dissestate e quelle residenziali, la circonvallazione) possono convivere con boschi abitati da gigantesse dai quali ci si può fare iniziare all’amore o invece trasformarsi all’improvviso nello scenario di un incubo. Ci sono, in queste pagine, i personaggi più disparati: picari abietti dediti a una vita di espedienti, punk senz’arte né parte costretti a cercare nelle vecchie favole la soluzione ai loro debiti, professori di liceo dall’aria luciferina, famiglie disastrate che rincorrono un orizzonte di riscatto, picchiatori di quartiere stretti da un’amicizia furiosa e minacciata dall’incombere della quotidianità o una bellissima ragazza sedicenne “che si diceva che nei pomeriggi di sole accompagnasse il prete a benedire i morti”.

La scrittura di Massimino li fa muovere, costringendoli a correre dietro a chimere intangibili o spinti da concretissime necessità di sopravvivere. Non perde mai l’ironia ma non per questo rinuncia a mettere in scena situazioni cupe o dolorose. Racconta, soprattutto, ha l’urgenza e nello stesso tempo il gusto di raccontare: come si fa in letteratura tanto quanto nei bar di quartiere o in una compagnia di amici, dove gli aneddoti memorabili tramandano le leggende minime e sterminate delle creature umane.

Una luce attraversa tutti i racconti, si posa a illuminare gli angoli più sporchi della Milano fantasma. È la luce delle figure mitiche, come il protagonista del Breve ma inevitabile encomio del furbissimo Penny Duchamp. La luce che nella violenza tiene insieme Alfio Buonuomo e i suoi picchiatori in Due montanti della madonna, prima che la vita così come la conosciamo arrivi a chiedere il conto.

La luce che balena un attimo prima della fine come nel vertiginoso racconto breve L’uomo che uccise Liberti Valerio. Ma è anche, spesso, una luce bassa e tagliente che dietro queste storie di inventiva sfrenata accenna a qualcos’altro, alla nostalgia per qualcosa di perduto, indefinibile ma presente. Un posto dove si è stati più felici, dove si vorrebbe tornare o che non si vorrebbe lasciare andare.

Spesso i personaggi dei racconti di Massimino hanno un passato incredibile, contengono dentro di sé una quantità di altre vite, riverberi delle storie che hanno attraversato.

Nel folgorante racconto di apertura, Una fine miserabile, il passato felice assume i contorni disturbanti di una sposa bambina. E in Intensità sono i due protagonisti Tippete e Annina a restare sospesi tra il sole di una giovinezza che trabocca e l’ingresso in un territorio ben più desolato. “‘Siamo normalmente portati a pensare che un giorno potremo essere chi vogliamo, diventare ciò che desideriamo. Ma non succede che in rari casi. Per tutti gli altri, per le persone comuni, la crescita non è che una perdita’.  ‘E che cosa esattamente si perde?’  ‘La vita degli adulti è tutta una spesa o una perdita’”.

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Ma di tutto questo si può anche ridere, si deve ridere. Si ride delle disavventure pulp del protagonista di Tutte le famiglie senza una lira o di quelle del giovane inetto che in Una vita per il cinema cerca disperatamente il modo di trasformare la propria vita in un’opera d’arte mentre “il mondo sembrava gravitasse rapidamente attorno alla sua fine, come fanno i moscerini che svolazzano bruciacchiati intorno alle lampade”.

Fa ridere anche il dramma dai risvolti esoterici che vive la giovane madre di Una gran brutta febbre, mentre scopre il lato letteralmente demoniaco dell’istituzione scolastica. Un riso che non risana le ferite di una realtà tetra ma le mette ancora più in mostra, giocando con lo stupore e la meraviglia.

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Tutte le figure che danzano insieme nei racconti di Sempre in barba al buonsenso sono perturbanti perché spostano e deformano i luoghi usuali della città riconsegnandoceli in una veste magica che proprio per questo riconosciamo come nostra. In queste pagine di fiabe nere metropolitane ritroviamo i nostri amori, le nostre audacie e miserie, le tracce delle avventure passate e il desiderio di viverne (e raccontarne) altre.

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