Reduce dal successo internazionale della trilogia “Abbacinante”, il pluripremiato autore romeno e “creatore di mondi” Mircea Cărtărescu torna con “Solenoide”, un’opera imprescindibile che, per stratificazione culturale e complessità di argomenti, di diritto si aggiunge ai più noti capolavori massimalisti di altrettanto fondamentali autori contemporanei: Roberto Bolaño, Thomas Pynchon, David Foster Wallace e Antoine Volodine. A leggere certi capolavori, così pure a perdersi fra le loro anomalie, alla fine ci si salva il destino – L’approfondimento

Rendere visibile ciò che giace nell’invisibile e, di conseguenza, “illuminarci” tutti: sembrerebbe questo il proposito definitivo del maestoso Solenoide di Mircea Cărtărescu, colossale iper-romanzo finalmente in libreria per il Saggiatore, nella traduzione dal romeno di Bruno Mazzoni.

“A partire da quella notte, quando ho pigiato l’interruttore (…) ho dormito sempre levitando tra letto e soffitto, girandomi a volte da una parte all’altra come un nuotatore in un’acqua pigra, luccicante”, così il protagonista/narratore – nonché doppio dell’autore – ci introduce al generatore di campo antigravitazionale Borina, un complesso di sei bobine a corrente alternata in grado di sollevare i profili della Bucarest anni Ottanta, palazzi e abitanti inclusi, oltre i confini della consueta percezione.

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Poco o nulla si conosce della loro scoperta – comunque collegata alla fisica quantistica di Nikola Tesla -, ancor meno della relativa funzionalità (forse una distorsione nelle maglie dello spazio-tempo); quel che invece è certo è che, in ragione della loro attivazione, le già surreali esperienze dell’anonimo protagonista (“Tutto accade in sogno, che l’intera mia vita è onirica (…) eppure più vera di qualsiasi altra storia che potrebbe mai essere immaginata”), finiscono per essere ulteriormente amplificate, al punto tale da spingerlo a raccoglierle in una sorta di diario autobiografico dal carattere metafisico (l’opera più importante mai scritta o “storia delle mie anomalie”, come da lui intitolata su principio di narrazione).

Elencarne gli straordinari contenuti, così come svilupparne le esoteriche implicazioni, altro non costituirebbe se non un’impresa titanica (ma comunque interessantissima); quel che invece preme sottolineare è che, nel ripercorrere gli eventi più significativi della vita del suo alter-ego – un insegnante di romeno che, a differenza di Cărtărescu, ha miseramente fallito nelle proprie ambizioni di scrittore – l’autore sembra evidenziare quanto le variabili del caso contribuiscano a distoglierci e/o ad avvicinarci all’unico obiettivo per cui valga davvero la pena vivere (e soffrire): l’evasione dalla prigione del reale.

Non a caso, è ripensando alle critiche ricevute per il suo primo e unico libro – La caduta, nomen omen – che il protagonista riflette su come un eventuale successo nella letteratura avrebbe poi finito per rappresentare l’ennesima trappola della mente, “una maledizione, una Fata Morgana, (…) reale in un mondo reale”, più che un’opportunità per realizzare il proprio scopo evolutivo di essere umano. Quasi a conferma di tale intuizione, ecco allora le tante alterazioni di coscienza che lo hanno perseguitato sin da bambino (catalessi ipnagogiche, obnubilamenti da farmaci, apparizioni spiritiche e ricordi di copertura) assumere, all’improvviso, un significato del tutto nuovo e, sotto l’influsso del mistico Solenoide, tramutare quindi in una serie di informazioni volte a risvegliare, chiunque le riceva, oltre i limiti della terza dimensione (la quarta).

E li riconosce ovunque, il nostro protagonista, questi “segnali” di una Coscienza superiore: dalla perdita del gemello antagonista Victor alle indagini sul sogno del celebre Nicolae Vaschide, dalla casa a forma di nave in Via Maica Domnului alla teorizzazione del “tesseratto” ultraplatonico di Charles Howard Hinton, tutto sembra infine convergere in un medesimo linguaggio (quello del leggendario manoscritto Voynich), che tanti geni prima di lui ha spinto alla follia così come alla salvazione. Quindi, in epilogo al romanzo – un’apocalittica discesa agli inferi assieme alla compagna e alla figlia, magari destinata a riveder le stelle -, quelle immagini divine, così poco decifrabili, ma che tanto suggeriscono circa il significato ultimo della parola “Verità”.

Reduce dal successo internazionale della trilogia Abbacinante (Voland, sempre a cura di Bruno Mazzoni), ora alle stampe estere con la raccolta di novelle Melancolia, il pluripremiato autore romeno e “creatore di mondi” firma anche stavolta un’opera imprescindibile che, per stratificazione culturale e complessità di argomenti, di diritto si aggiunge ai più noti capolavori massimalisti di altrettanto fondamentali autori contemporanei (Roberto Bolaño, Thomas Pynchon, David Foster Wallace e Antoine Volodine).

A proposito del romanzo, in un’intervista rilasciata al Corriere della Sera in anticipazione all’uscita, l’autore ha così dichiarato: “La letteratura è conoscenza, come la matematica, la filosofia, la teologia. Conoscenza della realtà, che non consiste solo in ciò che vediamo con gli occhi e sentiamo con le orecchie, ma anche nei sentimenti, nei ricordi, nei sogni, nelle allucinazioni, nella nostra chiaroveggenza”. E chissà che non sia propria questa l’informazione che più necessita di essere recepita: che a leggere certi capolavori, così pure a perdersi fra le loro anomalie, alla fine ci si salva il destino.

Fotografia header: GettyEditorial 04-05-2021

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