“Apprendo mentre scrivo, da una ricerca veloce, che le persone passano in media dalle quattro alle sei ore al giorno osservando lo schermo del cellulare, il più delle volte rispondendo a notifiche generate da applicazioni varie o studiando dettagliatamente e continuamente quello che succede nel mondo e nella propria cosiddetta ‘bolla social’. Un mondo sempre più strano e sconosciuto e una bolla molto spesso irrilevante, fatta di commenti più o meno interessanti e foto che documentano la vita perfetta – e cioè priva di sconfitte e umiliazioni – degli altri…”. Su ilLibraio.it la riflessione sulla solitudine contemporanea di Gabriele Esposito, autore all’esordio con il romanzo “Tutto finisce con me”, che cita Mark Fisher

Qualche settimana fa l’impresa tecnologica Meta (ultima incarnazione di Facebook) ha annunciato l’introduzione di confini personali come caratteristica irrinunciabile per ogni avatar a spasso per il Metaverso. In termini pratici ogni utente del mondo virtuale non potrà stare a meno di un metro e venti di distanza dagli altri, una decisione presa per evitare molestie e contatti indesiderati e che impedisce, di conseguenza, anche quelli voluti. Corpi inviolabili per default.

Del resto la scelta privata di isolarsi dal mondo è sempre più forte. Apprendo mentre scrivo, da una ricerca veloce, che le persone passano in media dalle quattro alle sei ore al giorno osservando lo schermo del cellulare, il più delle volte rispondendo a notifiche generate da applicazioni varie o studiando dettagliatamente e continuamente quello che succede nel mondo e nella propria cosiddetta “bolla social”.

Un mondo sempre più strano e sconosciuto e una bolla molto spesso irrilevante, fatta di commenti più o meno interessanti e foto che documentano la vita perfetta – e cioè priva di sconfitte e umiliazioni – degli altri.

Una perfezione altrui che genera subito il bisogno di perfezione personale da documentare nei dettagli, con lo scopo di generare notifiche sotto forma di apprezzamenti virtuali (like, cuori) che a loro volta producono dopamina nel cervello, la droga naturale che gratifica all’istante e di cui tutti siamo ingordi. È il bisogno di attenzione da parte del mondo, un mondo di relazioni virtuali cui siamo tutti molto attenti.

La ricerca di questa attenzione viene a scapito delle relazioni reali: il prossimo, e quindi la famiglia, gli amici a cena, lo sconosciuto con cui chiacchierare in autobus. Del resto, il più delle volte, le mancate attenzioni sono reciproche, non c’è quasi più domanda di attenzione reale: gran parte della vita è diventata virtuale.

Ma attenzione: la scelta di questo modo comporta che il tempo – quindi la vita – non passi in un mondo abitato e vitale. I giorni e gli anni passano in assoluta solitudine, in una costante ricerca di bellezza e di ideale, comune a tutti ma mai apprezzata nell’altro. Ognuno è lì dentro per se stesso. Ogni tanto, qualche sporadico contatto. Senza esagerare.

La cornice rappresentata dalla vita frenetica contemporanea non aiuta: le proprie frustrazioni sono amplificate da continui scenari di competizione spietata e dalla paura di rimanere indietro rispetto agli altri. Il risultato è l’ansia, la stanchezza, la depressione per alcuni, l’infelicità per molti, anche per persone in apparenza di successo.

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Una società depressa fatta di persone sole che sanno tutto, regolata dalla perfezione e da conoscenze scientifiche avanzate e a portata di tutti, il regno del Metaverso dove tutti sono bellissimi ma non ci si può nemmeno toccare.

Corpi che hanno finito addirittura per imparare a godere senza sfiorarsi. Se nel mondo virtuale l’orgasmo arriva dalle notifiche e dagli apprezzamenti, in quello reale diventa sempre meno interattivo. C’è un ideale sempre più comune di situazioni di coppia estreme che poco ha a che fare con la più tradizionale attenzione dovuta al proprio partner, un ideale fatto di pornografia e assenza di vero contatto e comunicazione della carne. Soliloqui sessuali – praticamente masturbazione continua.

Mark Fisher, filosofo inglese morto suicida nel 2017, aveva senza dubbio intuito tutto questo in anticipo sui tempi e capito che il cambiamento è ormai continuo e inesorabile. Un cambiamento che però, perdonatemi l’ossimoro, non porta futuro a nessuno. Tutti siamo condannati a rivivere ogni giorno lo stesso presente fatto di sopravvivenza in un mondo dove siamo solo occupatissimi a occuparci di se stessi. Sono tempi weird and eerie, per citare lo stesso Fisher.

Nel mio romanzo Tutto finisce con me ho provato a interpretare il mondo che stiamo vivendo in un modo che ne potesse esplicitare il più possibile le caratteristiche strane e inquietanti: nel libro manca la gente, mancano gli altri.
E però non mancano sempre, e quando mancano non sempre è male. Ma non è neanche bene.
È oggi.Tutto finisce con me

L’AUTORE E IL LIBRO Gabriele Esposito, veneziano classe ’83, vive e lavora a Bruxelles. Ha ottenuto un dottorato di ricerca in Economia presso l’École des hautes études en sciences sociales e ha pubblicato racconti per diverse riviste letterarie come Verde, Altri Animali, Micorrize, Crack, Malgrado le mosche.

Gabriele Esposito - Tutto finisce con me

Il suo primo romanzo, Tutto finisce con me (Wojtek Edizioni), racconta la storia di un giovane uomo che un giorno, al suo risveglio, trova un mondo privo di esseri umani. Trascorre la prima giornata di solitudine dapprima con angoscia, poi in una specie di esaltazione fino al mattino seguente, quando le persone tornano al loro posto.

L’uomo alterna momenti di perfetta solitudine, nei quali comincia a sentirsi a suo agio, alle solite compagnie – moglie, madre, colleghi – che lo comprimono tra sogni di gloria feroci e competizioni muscolari col suo corpo e la realtà.

Fino a che i due mondi tendono a sovrapporsi: nel mondo-con-gli altri arrivano la morte, il tradimento, il divorzio, nel mondo-senza-gli altri spuntano presenze rarefatte (il cane, il mendicante, la ragazza Instagram). All’uomo resta la scelta del luogo dove collocarsi, della forma di solitudine più coerente con un mondo tanto iperconnesso quanto spietatamente isolato.

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