Dalla scoperta tardiva di “Stoner”, capolavoro di John Williams, al film d’animazione del momento, “Soul”: tutta la grandezza delle piccole cose di cui è composta la nostra vita

Un’occasione di riflessione in un momento storico particolare. E un buon proposito per il nuovo anno: provare a dare più valore alla quotidianità, alle cose normali di cui siamo fatti e che, più di ogni altra cosa, ci compongono…

Siamo fatti di infiniti istanti di normalità e di pochi momenti straordinari. Eppure è su quei pochi che si concentrano le nostre storie: leggiamo libri che ci portano lontano, guardiamo film action e sogniamo favole impossibili.

Raccontare la normalità è uno degli esercizi più complessi del mondo. C’è qualcuno, però, che ci è riuscito, e ci è riuscito alla grande.

Per esempio John Williams, tra i più grandi (ex) dimenticati della storia della letteratura americana (la normalità è una questione complessa, appunto). Williams pubblica la prima edizione del suo romanzo Stoner nel 1965.

Nel giro di un anno vende pochissime copie e quasi sparisce dalle librerie. Anche le successive ripubblicazioni – tentar non nuoce – non ottengono grandi consensi fino a che, nel 2011, una nuova uscita francese ne decreta il tardivo successo (anche in Italia, prima con la pubblicazione da parte di  Fazi nella traduzione di Stefano Tummolini, e ora anche con una nuova edizione edita da Mondadori che contiene una raccolta di poesie dell’autore, sempre datata 1965). Da quell’anno, infatti, Stoner è sulla bocca e sulla penna di critici, editori, scrittori e lettori

Tornando alla questione della normalità: in Stoner non succede nulla. C’è un uomo che vive, William Stoner appunto, e vive una vita senza grandi sterzate o pazzie: nasce in una piccola fattoria al centro del Missouri, frequenta l’Università di Columbia di cui, poi, diventa uno dei professori, si sposa, ha una figlia e prosegue così, con questo passo lento e regolare verso la fine dei suoi giorni normali. 

L’autore statunitense Peter Cameron, a proposito di Stoner e di John Williams, dice: “La maggior parte degli scrittori, buttato giù il primo paragrafo del romanzo, avrebbero rinunciato. A che scopo continuare?”. E invece Williams non solo ha continuato, ma lo ha fatto con una precisione chirurgica, senza sbagliare una parola, insegnandoci che il vero senso delle cose sta nella forma che scegliamo di dar loro, dal punto di vista che assumiamo guardandole.

E così, anche senza grandi colpi di scena, leggendo Stoner si vive con lui: si ha addosso la sua inquietudine e quella confusione che spesso portano con sé le giornate tutte uguali. Si sente l’odore della cucina dei suoi genitori, povera ma di quel calore che sanno avere le case di campagna. Si respira la frustrazione di un matrimonio infelice e la pesante incapacità di reagire.

Raggiunta l’ultima pagina, però, inaspettatamente questo libro lascia una voglia di vivere forte, di riscattare William Stoner riconoscendo il lato straordinario delle piccole cose quotidiane, quello che lui non è mai riuscito a vedere.

Più di recente, il racconto della normalità è arrivato anche in streaming sui nostri schermi con il film d’animazione Soul, di Pete Docter (regista di UP e Inside Out, tra le altre cose).

Con la solita atmosfera magica che Disney Pixar riesce a creare, Soul è la storia di una ricerca quasi ossessiva, quella del proprio “scopo”. Il protagonista ha in comune con Stoner, almeno in una prima parte, quella che Svevo chiamerebbe “inettitudine”.

Evitando di spoilerare troppo, per chi non l’ha ancora visto, una cosa è possibile dirla: Soul ci ricorda che spesso, concentrati come siamo a trovare il grande senso della nostra vita, perdiamo di vista la vita stessa, dimenticando il valore della quotidianità. Perché, a pensarci bene, le cose più grandi che portiamo con noi sono quelle piccole: un ricordo che ci conduce a casa, il nostro posto del cuore, una canzone. 

E questo, attenzione, non significa non battersi per trovare il proprio talento, o non mettercela tutta per realizzarsi, ma significa comprendere che la scintilla per riuscirci, spesso, è già davanti a noi. Dobbiamo solo imparare a coglierla.

Il 2020 appena concluso (finalmente, diciamo tutti!) ce lo ha insegnato: quando tutto si è fermato, a mancarci di più sono state le cose normali ed è a quelle che siamo tornati: abbiamo cucinato con la nostra famiglia, parlato dai balconi con i vicini, letto libri nella nostra casa e guardato serie tv dividendo il divano con chi amiamo. E, a modo nostro, lo abbiamo raccontato, anche noi piccoli John Williams e Pete Docter. 

E se ogni inizio porta con sé buoni propositi, forse per questo 2021 potremmo provare a dare più valore alla quotidianità, alle cose normali di cui siamo fatti e che, più di ogni altra cosa, ci compongono.

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