Pillole di storia e filosofia intorno alle cose che stanno sulla tavola (in questo caso protagonista è la forchetta, con la sua storia ricca di pregiudizi): su ilLibraio.it “La grattugia di Occam”, la rubrica di Ilaria Gaspari dal nuovo numero della rivista di cultura gastronomica “L’integrale” (pubblicata da Iperborea)

Roland Barthes, che scova ovunque simboli, contrappone l’aggressività dell’uso occidentale di forchetta e coltello, che infilzano e sminuzzano, all’usanza orientale delle bacchette, più rispettose della consistenza del cibo.

Potrebbe sembrare una lettura un po’ manichea; ma ad approfondirla, la storia della forchetta rivela un groviglio di elementi simbolici incastrati fra i rebbi.

La forchetta è un oggetto insospettabilmente controverso; ha attirato nel corso dei secoli una pletora di pregiudizi xenofobi e misogini. C’è chi sostiene che ci sia lo zampino del diavolo: o meglio, il suo forcone, troppo somigliante alla forchetta per non renderla invisa.

Oggi, certo, la forchetta ci appare indispensabile, e l’abitudine la rende quasi invisibile. Ma è solo perché il galateo borghese della tavola a partire dal XIX secolo ha sviluppato un’avversione al contatto fra cibo e mani, fino ad allora implicito all’atto stesso del nutrirsi.

Per lunghissimo tempo l’etichetta vide nell’uso delle posate, della forchetta in particolare, una volgare stravaganza. Pare che una volta il cardinale Richelieu abbia smascherato un avventuriero che tentava di farsi passare per gentiluomo proprio dalla sua ostinazione a mangiare delle olive con la forchetta. Anche l’espressione “in punta di forchetta” rivela come l’affettazione finisca tradita dall’eccesso di zelo.

Ma la storia della forchetta è accidentata, e risalendo all’indietro si ribalta. Il suo impiego a tavola (come attrezzo da cucina ebbe più immediata fortuna: già in epoca omerica erano noti dei forchettoni che si usavano per infilzare gli arrosti) nasce a est.

Non nell’estremo Oriente votato alle bacchette, ma nell’impero bizantino. In origine si tratta di un lusso principesco: lo prova la storia della disgraziata sposa di Giovanni Orseolo, figlio del doge veneziano Pietro II. Principessa bizantina, erede della famiglia degli Argyros, Maria arriva nella Serenissima portando le sue abitudini da Costantinopoli, con scandalo generale: il teologo Pier Damiani, spietato, metterà in relazione la sua morte di peste nel 1007 con l’uso di portare il cibo alla bocca con forchette d’oro a due rebbi.

Ma la forchetta finirà per imporsi, e in Italia prima che nel resto d’Europa. A Napoli il punteruolo di cui ci si serviva per infilzare la pasta si evolve: tre, poi quattro rebbi. All’inizio del Seicento lo scrittore Thomas Coryat, reduce da un viaggio a Venezia, tenta di importarla in Inghilterra. Il solo risultato è l’irrisione da parte dei suoi amici, il commediografo Ben Jonson e il poeta metafisico John Donne.

D’altra parte il pregiudizio era ben corroborato, e la forchetta ancora trattata alla stregua di una perversione. In quegli stessi anni, in Francia, Thomas Artus in un pamphlet satirico intitolato L’isle des hermaphrodites si faceva beffe del sovrano precedente, Enrico III, dandogli allegramente dell’ermafrodita; per raccontare la sua corte come corrosa dal vizio, niente gli parve più appropriato che rappresentare i dignitari a tavola, forchette in pugno.

Chi lo direbbe mai, che la dialettica delle suppellettili possa essere così estrema; che la norma sia stata tanto a lungo anomalia.

rivista l'integrale metamorfosi

 

LA RIVISTA – Esce per Iperborea il nuovo numero, il settimo, di L’Integrale – Rivista di pane e cultura, dal titolo “Metamorfosi“. L’Integrale è un progetto (ispirato e sostenuto dal panificatore Davide Longoni) dedicato alla “cultura gastronomica, che esplora, col pretesto di quello che si mangia e si beve, storie umane e altre vicende del nostro mondo”. È nata nel 2020 e esce due volte l’anno, solo su carta, e si trova in libreria.

Trasformazione come evoluzione e come fine delle cose, come frontiera tra il conosciuto e l’ignoto. Cambiare forma può essere necessario per sopravvivere e allo stesso tempo impone di accettare di non essere più gli stessi, di dover iniziare a conoscersi da capo”, così viene sintetizzato il nuovo numero.

Spazio all’apprendistato da cuoco vissuto da Paolo Cognetti in un rifugio di montagna, che è anche l’esperienza che ha ispirato la scrittura del romanzo La felicità del lupo; alla riflessione, insieme politica e letteraria, di Vincenzo Latronico sull’arrivo degli insetti nei menù più ricercati, sperimentando un pasto a base di insetti in un ristorante di Berlino; al saggio di Anna Wiener (autrice di La valle oscura) sulla commistione tra mercato immobiliare e negozi artigianali e la storia esemplare di Tartine Bakery, catena californiana di grande successo che ha dovuto far fronte a problemi di sostenibilità; e ancora, al gioco di Talia Lavin con le due icone della boulangerie francese, Croque Madame e Croque Monsieur, per spiegare le transizioni di genere e la ricerca – vissuta in prima persona – di un’identità; a una storia culturale delle ricette e dei manuali di trasformazione del cibo scritta da Tommaso Melilli. E poi ancora, a un pezzo sulla crisi del lavoro nella ristorazione (Irene Soave), a un reportage tragicomico dalla più grande fiera enologica italiana (Diletta Sereni) e a una rilettura contemporanea delle Metamorfosi di Ovidio attraverso il personaggio di Erisittone, condannato da una fame perpetua a mangiare se stesso (firmata dal classicista Dino Baldi). Il nuovo numero ospita inoltre la rubrica di Ilaria Gaspari*, che proponiamo qui sopra.

L’AUTRICE – Ilaria Gaspari*, scrittrice, è nata a Milano. Ha studiato filosofia alla Scuola Normale di Pisa e si è addottorata con una tesi sulle passioni all’università Paris 1 Panthéon Sorbonne. Dal 2015 collaboratrice de ilLibraio.it, scrive per diverse testate e collabora con radio, tv e scuole di scrittura. Nel 2015 è uscito il suo primo romanzo, Etica dell’acquario (Voland). Ha poi pubblicato Ragioni e sentimenti – L’amore preso con filosofia (Sonzogno), Lezioni di felicità. Esercizi filosofici per il buon uso della vita (Einaudi) e, sempre con Einaudi, Vita segreta delle emozioni. Nel 2022 per Giulio Perrone editore è uscito A Berlino – Con Ingeborg Bachmann nella città divisa. Con Emons, (e con il sostegno dell’Institut Français Italia), sempre nel 2022, ha curato e condotto il podcast Chez Proust.  Per la collana digitale Quanti di Einaudi ha inoltre pubblicato il saggio breve Cenerentole e sorellastre – Una botanica della bellezza.

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Fotografia header: Ilaria Gaspari, foto di Chiara Stampacchia

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