In questi mesi in molti sono tornati alle proprie case d’origine, quelle in cui sono nati e che spesso si trovano in piccoli paesi, lontani dalle città. Passiamo il tempo ad andare, viaggiare, pianificare, a cercare posti con più possibilità, più lavoro, più locali, più persone, più rumore. Salvo poi accorgerci che, quando davvero abbiamo bisogno di sentirci a casa, è il ritorno l’unico gesto che siamo in grado di compiere. Una riflessione che mette assieme la voce di Cesare Pavese e quella di alcuni giovani

Dopo mesi di #IoRestoaCasa il peso specifico della parola “casa” è diventato un po’ più grande, ingombrante anche.
Casa è da sempre tante cose: quel monolocale mansardato preso in affitto con il primo stipendio o l’appartamento condiviso con i coinquilini durante l’Università; casa è una stanza d’albergo lungo un viaggio indimenticabile o un libro che, a rileggerlo, ci fa sentire ogni volta nel posto giusto. Casa è la propria persona del cuore, una canzone, il piatto forte della mamma cucinato per i pranzi della domenica.

Se c’è una cosa che questi mesi di #IoRestoaCasa ci hanno insegnato, però, è che “casa” – quella in cima alla lista, che ha plasmato l’idea di tutte le altre – è la casa dove siamo nati, la prima chiamata con quel nome. E così dalle “case altre”, quelle che lo sono diventate per scelta, è alla prima che siamo tornati.

 

“Tornare per me significa far scorrere nuovamente nelle vene il sangue delle cose che mi appartengono. Rientrare a casa è come riavere un cordone ombelicale da cui prendere ogni nutrimento necessario per la mia crescita fuori”

Ilenia, 29 anni

Bardolino (VR) Veneto

Bardolino (VR) Veneto

In un mondo che riesce a stare fermo solo quando è costretto, cerchiamo continuamente l’emancipazione dai nostri luoghi d’origine, in particolare se sono piccoli e, da sempre, troppo stretti. Ci allontaniamo da loro pensando che più sono i chilometri tra noi e il nostro indirizzo di nascita, più grande è la nostra indipendenza (e il nostro fascino, anche).
Passiamo il tempo ad andare, viaggiare, pianificare, a cercare posti con più possibilità, più lavoro, più locali, più cinema, più strade, più persone, più rumore.
Salvo poi accorgerci che, quando davvero abbiamo bisogno di sentirci a casa, è il ritorno l’unico gesto che siamo in grado di compiere. 

 

“Ogni volta che torno penso alla vita che avrei potuto avere se fossi rimasto in paese. Per un attimo, o due giorni, fantastico di lasciare tutto e mettere la testa a posto, ritornando a una vita fatta di natura, silenzio, famiglia e della calma di quei posti che non cambiano mai davvero. Poi però ricordo cosa mi ha spinto via: l’immobilismo generale, gli orizzonti ristretti, il trittico cane-casa-figlio e l’assenza di stimoli creativi”

Lorenzo, 29 anni

Chi ha un paese in cui tornare sa cosa sia la certezza, sempre data per scontata, di avere un posto nel mondo in cui riconoscersi, di cui ricordare a memoria le strade e lo storico di ogni negozio: quello che ora è un bar, prima era un parrucchiere e prima ancora una merceria. 

 

“Tornare significa riscoprire. Riscoprire un senso di sicurezza; riscoprire che non importa quanto lontano andrò perché ci sarà sempre un orizzonte pronto ad accogliermi”

Martina, 20 anni

Lagnasco (CN) Piemonte

Lagnasco (CN) Piemonte

Chi ha un paese in cui tornare prima prova ad allontanarsi per chilometri e anni per poi accorgersi, “da grande”, di averlo sempre abitato. Il paese d’origine lo si riscopre nella propria identità, nella sensibilità per le cose quotidiane, nella bellezza del silenzio e nella cura con cui solo chi è abituato alla semplicità guarda ai particolari delle cose. 

 

“Quando ti trasferisci in città da un piccolo paese tutto è incredibilmente nuovo e finalmente vivo, pieno di stimoli, di incontri. Col tempo però inizi ad essere esausto della mancanza della natura, del rumore e di non riuscire a vedere l’orizzonte. Tornare per me significa riconnettermi con la natura, ritornare a una dimensione umana”

Giuliana, 28 anni

Cossignano (AP) Marche

Cossignano (AP) Marche

Chi ha un paese in cui tornare spesso non ci torna. Si allontana il più possibile, almeno per un po’, sforzandosi di cambiare accento, esitando un po’ alla domanda “Di dove sei?” e convincendosi di amare rumori e frenesia della città.

 

“Tornare a casa è una parentesi. Non vorrei mai tornare ma poi, quando sono lì, mi dico – potrei restare ancora un’oretta in più. O ripartire domani con calma, dai -”

Chiara, 28 anni

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Chi ha un paese in cui tornare, poi, in quel paese ci torna, imparando a riconoscersi nei suoi piccoli spazi familiari. Così, quella che prima era noia diventa pace; quella che era immobilità ora è identità e l’abbraccio che prima soffocava adesso riscalda.

 

“Tornare è sicurezza. È la sensazione di poter essere me stessa e non preoccuparmi di cercare la perfezione. È la tranquillità di poter vivere quel ritmo lento e rilassato che fa parte di me”.

Gaia, 33 anni

Bisceglie (BT) Puglia

Bisceglie (BT) Puglia

Chi ha un paese in cui tornare sa che tornare non è come restare. Tornare è accorgersi che le strade sono cambiate senza avvertire; trovare la casa dei vicini dipinta di un colore nuovo e un cantiere in fondo alla strada che prima non c’era. Tornare è incontrare gli amici di una vita e scoprirli cresciuti con un tempo diverso, lungo un percorso sconosciuto. Così, i discorsi che un tempo non avevano bisogno di parole oggi faticano a trovare argomenti. 

 

“Cosa mi aspetto dalla mia città? Dalla sua cappa sempre un poco strana.
Cosa mi aspetto ogni volta che ritorno qua? Se è più bella quando si allontana.
Ma io lo so che resto indietro, che il tuo cielo intanto cambierà. Che chiuderanno quel locale e che nessuno più mi avviserà. Mi offri un caffè ma non ti siedi, le mie storie le conosci già. Rimane solo un posto in piedi. Son clandestina nella mia città”

“La mia città” di Chiara dello Iacovo, 25 anni

Pieve di Soligo (TV) Veneto

Pieve di Soligo (TV) Veneto

Chi ha un paese in cui tornare sa cosa significhi sentirsi clandestino, ma sa anche che per scoprirsi è necessario perdersi un po’. Chi ha un paese in cui tornare impara a guardarsi dritto negli occhi e a fare pace con un’identità fatta di più sfumature, e anche qualche controsenso.

Chi ha un paese in cui tornare torna per misurarsi, riconoscersi e finalmente sentirsi a casa. 

 

“Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra, c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti”. 

Cesare Pavese