Con una scrittura che non ha bisogno di fronzoli, né di montature, nel suo esordio narrativo, “Le ore piene”, Valentina Della Seta racconta di una protagonista senza nome, che si vede invecchiare, e di come l’incontro con un uomo stravolga la sua quotidianità, portando a un cambiamento emotivo – L’approfondimento

La protagonista di Le ore piene (Marsilio)  di Valentina Della Seta (in copertina, nella foto di Giliola Chistè, ndr) non ha nome, ma ha un tempo, dunque uno spazio, ben preciso: la incontriamo alla prima riga che si vede invecchiare. Non ci racconta che la vita sta passando, o che le stagioni si stanno facendo belle sulla pelle di qualcun’altra, ma ci dice che “era passato l’inverno e non avevo fatto altro che invecchiare, mi mancavano poco più di sette mesi ai quarant’anni“.

valentina della seta le ore piene

La lei che narra la sua storia al primo sguardo ci sembra rassegnata: “Io non avevo impegni familiari o sentimentali, passavo al maggior parte delle giornate a casa, da sola. Perdevo le ore, restavo indietro con le pagine da tradure, fantasticavo su avventure a corto raggio“. Aveva passato del tempo affacciata alla finestra a guardare un ragazzo sui venticinque anni, ma non è l’oggetto dello sguardo il punto, quanto ciò cui allude: una vita che prosegue, una pianta che sfiorisce, un’altra primavera senza pretese che arriva.

Non c’è un prima definito in questo libro – ci sono accenni di relazioni, di un’infanzia passata fuori luogo – quindi corriamo il rischio di pensare a lei come prossima alla fine. Questo pensiero profondo che esce fuori dalle parole della protagonista è sibillino, è una premessa taciuta ma fondamentale e sta all’angolo di tanto in tanto nella storia: lo incontriamo negli spazi di casa sua, quasi sempre angusti.

Lo spazio, e dunque il tempo, sono personaggi di contorno: l’ammissione di un’età che non piace, la malinconia della giovinezza altrui, la storia che inizia con un lui, P., conosciuto tramite un sito x di incontri, portatore di un corpo vigoroso, del piacere sessuale, che non le lascia alcuna scelta, se non quella di ripensare il tempo, e dunque lo spazio.

Prima dell’incontro con P., i luoghi sono bui e soprattutto stanchi: nel lavoro, nelle relazioni, la protagonista del romanzo sente la vita scivolarle da ogni parte, sotto le porte, negli spifferi delle finestre, attraverso un buco nelle pareti.

P. riesce a tenere ogni eventualità insieme, anche quelle che di solito meno si affiancano l’una all’altra, e nel corso del romanzo la protagonista compie scelte che si centrano sul corpo, strettamente legato alla presenza di lui: il corpo rivive quando deve prepararsi per uscire, si eccita quando vede P., forse torna indietro, va contro alle premesse stesse della storia: funziona contro tempo e fuori dal solito spazio.

Il corpo detta in questo modo i movimenti, gli scarti, le accelerazioni e le malinconie. La protagonista non si lascia mai scampo, è consapevole che ogni conseguenza è incontrovertibile e quindi lo spazio che abita – il lavoro di traduttrice le permette di lavorare da casa – è il motore di ogni cosa che ci racconta. C’è sempre un momento in cui si muove da casa e a questa torna, a un certo punto, con nuove esperienze e nuove emozioni, oppure sola e sconsolata, ma mai in disparte.

Lo spazio è centrale perché accompagna il corpo e il racconto: ci sono dettagli ben definiti, la narrazione della relazione passa quasi esclusivamente dal corpo e nel particolare momento della sua vita in cui incontra P., quando è convinta che il mondo avrebbe continuato ad avere la meglio su di lei, diventa capace di una scelta, di una affermazione sessuale precisa, di un modo di gestire il futuro a cui aveva quasi rinunciato, ma non per paura quanto per mancanza di opportunità.

P. è una cartina di tornasole per la protagonista, passa da oggetto del desiderio ma arriva a rappresentare una scommessa vinta. Incredibilmente. Lei è sorpresa, noi un po’ meno, perché siamo partecipi al cambiamento emotivo, sentiamo l’attrito delle contraddizioni, dei corpi e abbiamo fiducia in lei, nelle scelte apparentemente inadatte che compie.

P. è il passaggio, mai l’arrivo, anche quando sembra il fine ultimo delle decisioni, delle azioni – quali vestiti scegliere, chi chiamare, come aspettare – e rappresenta la scommessa con il tempo futuro e anche con lo spazio futuro: le case si uniscono, si mescolano, l’immaginazione comincia a prendere il sopravvento e nei pensieri abitano viaggi, situazioni nuove, tutto a un tratto accessibili, addirittura esiste la casa presa in prestito da un’amica per passare due giorni insieme fuori città.

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Lo spazio e il tempo futuri sono una possibilità che si avvera, e si fondono in una promessa di amore e questo cambia il tono del romanzo, come i confini del corpo della sua protagonista, che sono anche i confini delle sue pretese: “Non ho avuto voglia di rispondere, mi sembrava che il nostro modo di stare insieme ci portasse a un livello di verità che non aveva bisogno di troppe parole. Una volta tanto non avevo dubbi su me stessa e non mi sentivo fuori posto”. Una rivincita della donna sul corpo.

Non è importante se questa consapevolezza improvvisa duri poco o tanto, fino alla fine del romanzo o finisca prematuramente. Importa soltanto che sia arrivata, in una sorta di rilassamento del lettore e della protagonista insieme, che si prendono una pausa, creando uno spazio-tempo di mezzo. Rimaniamo lì tutti, appesi, e stiamo bene, a nostro agio. Sembriamo cresciuti, riverniciati e possiamo affrontare ogni altra cosa che ci viene incontro, almeno fino al prossimo ciclo di ore piene.

La scrittura di Valentina Della Seta è parca, puntuale, perché non ha bisogno di fronzoli, né di montature. L’autrice non dice più di quanto deve e non lascia nulla che possa essere frainteso. Seguendo la sua protagonista, il modo del racconto scivola da un pensiero all’altro e da un’azione all’altra senza svirgolare, senza eccedere e mette noi che leggiamo sempre al centro dello spazio, accanto ai personaggi, alle ore piene, ambite e vicine, persino intime.

Fotografia header: Credits: Giliola Chistè

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