Oscillando tra la scoperta tardiva della sessualità e le pulsioni di morte, “Caldo” del 27enne Victor Jestin, esordiente francese, si configura come un romanzo di formazione cupo ed esacerbato, in cui le tensioni che ogni adolescente si trova a vivere alla luce di un istinto di sopravvivenza sociale, prendono il sopravvento, oltrepassano i limiti e tradiscono sfaccettature dell’animo umano… – L’approfondimento

Una spiaggia francese, la canicola opprimente, un omicidio involontario. Se non fosse per la sbavatura quasi impercettibile nell’ambientazione – lì la sabbia è quella algerina – sembrerebbe quasi di parlare de Lo straniero, uno dei romanzi più importanti del Novecento con cui Albert Camus, nel 1942, aggiunge un tassello imprescindibile alla corrente esistenzialista.

E chissà che il ventisettenne Victor Jestin non abbia volutamente attinto alla tradizione letteraria della sua lingua per cimentarsi in un esordio acclamato dalla critica nazionale.

caldo, victor jestin

Caldo (e/o, traduzione dal francese di Alberto Bracci Testasecca) è una sorta di racconto lungo che si snoda nell’arco cronologico di poco più di ventiquattro ore in cui la morte accidentale e, in qualche modo, “consentita” dal protagonista diventa l’occasione per un viaggio introspettivo tormentato e doloroso.

Léonard è un diciassettenne introverso e solitario in procinto di concludere le vacanze con la famiglia in un campeggio borghese nelle Landes: nelle sue attitudini ritroviamo tutte le manifestazioni di rigurgito adolescenziale per i cliché, per il divertimento forzatamente condiviso, per l’ipocrisia familiare e, insomma, per l’intero universo mondo – a eccezione della musica classica, oggetto dei suoi studi.

In lui, però, queste dinamiche non sembrano scaturire da un impulso alla ribellione fine a se stessa; affondano piuttosto le loro radici in un disagio profondo, immotivato e dunque davvero esistenziale, in cui il confine tra l’inazione e l’omicidio colposo si fa labile.

Quando, dopo l’ennesima serata di musica e alcol in spiaggia, Léonard si imbatte nel suo coetaneo Oscar ubriaco e prossimo a essere strangolato dalle catene di un’altalena in cui si è avvolto (volutamente? Per caso?), la sua reazione istintiva è quella di restare spettatore, di assecondare un gesto che si convince essere volontario per poi, in preda al panico, seppellire il cadavere sotto la sabbia.

L’ultima giornata in campeggio trascorre tra sensi di colpa, elucubrazioni e attesa spasmodica di essere scoperto: unica distrazione, Luce, ragazza diversa dalle altre che sembra suscitare in lui sensazioni e impulsi mai sperimentati prima. La stessa ragazza, però, che era intenta a baciare Oscar pochi minuti prima della sua morte…

“[…] fra due ore Luce sarebbe tornata. Mi aggrappavo a quello, era il mio punto di riferimento in quella giornata vuota e lenta. Aspettavo. E quando non ne potevo più di aspettare volevo grattare la sabbia, rivelare la buca a tutti perché quella storia finisse e mi portassero via”.

Oscillando tra la scoperta tardiva della sessualità e le pulsioni di morte, Caldo si configura come un romanzo di formazione cupo ed esacerbato, in cui le tensioni che ogni adolescente medio si trova a vivere e a gestire, alla luce anche di un istinto di sopravvivenza sociale, prendono il sopravvento, oltrepassano ogni limite e tradiscono sfaccettature dell’animo umano sotto il cui controllo totale divertimento, amore e felicità sono preclusi per sempre.

Justin non rivela nessun trauma, nessuna giustificazione che possa stare alla base di un comportamento come quello descritto – esattamente come Camus per Meursault prima di lui: la famiglia di Léonard è una normale famiglia borghese, con tre figli, discretamente unita nonostante forse qualche piccola crepa irrisolta. Lo stesso Léonard ha dei rapporti, per quanto faticosi e a tratti goffi, con le persone che lo circondano (Luce, l’amico Louis). L’assenza di ferite evidenti o di motivazioni oggettive e razionali non impedisce, però, una profonda inadeguatezza alla vita.

“C’era solo Oscar. Il suo cadavere si appiccicava a me come acqua stagnante. Mi si incollava alla pelle. In certi momenti non sapevo più da quanto tempo fosse morto, da quanti giorni mi trascinassi con lui nei vialetti. E poi, non ero già colpevole molto prima dell’attimo in cui era morto? Non avevo intuìto fin da piccolo che tutto mi avrebbe portato verso quella storia? Non era niente di nuovo. Tutte le linee convergevano verso il campeggio in cui Oscar era sepolto da sempre”.

Questo è il messaggio che Victor Jestin sembra voler veicolare al lettore con un primo romanzo che è già un macigno poggiato con elegante leggerezza.

Esiste una possibilità di redenzione? Bisogna spingersi fino alle ultime righe per intravedere una risposta.

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