Su ilLibraio.it il racconto che chiude la terza stagione del podcast letterario Senza Rossetto, scritto a quattro mani dalle due ideatrici, Giulia Cuter e Giulia Perona

Giulia Cuter e Giulia Perona, classe ‘90, sono le ideatrici di Senza Rossettopodcast letterario italiano tutto al femminile. Prodotta da Querty, la terza stagione è disponibile su Spreaker e iTunes dallo scorso 2 giugno, come abbiamo raccontato.

È proprio un loro racconto, scritto a quattro mani e illustrato da Lorenza Natarella, dal titolo Ehi Siri, cerca “come essere femminista”, a chiudere questa terza stagione, in cui il focus scelto è stato: come si cresce un figlio/a femminista?”.

L’ultima puntata sarà online dal 27 luglio. Su ilLibraio.it qui di seguito il testo:

Ehi Siri, cerca “come essere femminista”

di Giulia Cuter e Giulia Perona

«Sta seduta composta e sorridi». Ecco, ci risiamo. Ogni volta che sono a pranzo con mia madre e i miei parenti finisce sempre che mia nonna mi tira una frecciatina. A volte è su ciò che indosso, altre su come mi comporto, altre volte sono riferimenti a quando lei aveva la mia età e già lavorava. Oggi il problema è che non sorrido abbastanza. Perché una ragazza, mica sta bene se non sorride, «fa brutto», dice lei. E poi c’è mia madre, che all’ennesima bestemmia di mio cugino, alza un po’ la voce e lo rimprovera. Mentre io, se dico anche solo «cazzo» vengo allontanata dalla tavola per ricevere un sonoro ceffone.

Ho 14 anni e vorrei solo scappare. Odio mia madre, odio mia nonna, odio mio cugino che può bestemmiare. Perché lui sì e io no? Solo perché è maschio? Ultimamente ci sono sempre più cose che mi fanno schifo dell’essere femmina. Per esempio, il ciclo.

Il giorno delle mie prime mestruazioni me lo ricordo come fosse ieri: una mattina qualunque della seconda media. Appena sveglia andai al bagno e nell’abbassare le mutande la vidi, inevitabile come l’interrogazione di italiano che avrei avuto quella mattina: una macchia rossa. Sapevo esattamente cosa significasse quella macchia, o almeno così credevo: mi erano arrivate le mestruazioni.

Senza scompormi più di tanto, chiamai mia madre e con falsa noncuranza le dissi: «Mi sono venute le mie cose». Lei, visibilmente emozionata, chiamò mio padre e gli diede il grande annuncio «Le sono venute le sue cose!». «Ah, bene» – tipico di mio padre, uno di poche parole.

Mentre andavo a scuola, dopo essere stata istruita per l’ennesima volta da mia madre su quando e dove cambiare l’assorbente (beh, era abbastanza ovvio: in bagno – ma ci aveva comunque tenuto a ribadirlo), rimuginavo sul motivo di tanti festeggiamenti e sulle implicazioni pratiche di questa bella novità. «Gli uomini non ce l’hanno mica un momento in cui possono dire di essere diventati grandi a tutti gli effetti», pensavo. E poi, con un moto di terrore: «Ma stasera potrò fare la doccia? Potrò mai rifare la doccia?!».

Quando ne parlai con la mia migliore amica Elena però tutto degenerò: «Non capisci? È tutto finito», disse scoppiando a piangere, «Niente più bagni al mare, niente più lezioni di educazione fisica, niente più pantaloni bianchi. E se vogliamo fare il campeggio nel tuo giardino come la scorsa estate? E se al campo scuola ci addormentiamo nella camera dei ragazzi come l’altra volta, cosa penseranno di noi? Non potremo fare più niente, niente di niente. Non saremo mai più le stesse».

Non è vero che le mestruazioni sono la fine della vita, ora lo so. Per alcune sono un dolore assurdo, per altre una semplice scocciatura. Però ci sono tanti motivi per cui essere femmina fa schifo. Per esempio quando sei costretta a essere educata e sorridente e tu vorresti solo urlare «cazzo» davanti alla faccia sbigottita di tua nonna.

Ok non odio veramente mia nonna. Né mia madre o mio cugino. Però non sopporto il fatto che il giorno più bello della mia vita devo accettare sarà quello in cui mi sposerò. A me non interessa il matrimonio, o almeno non è una mia priorità. Non voglio sentirmi dire che studiare scienze è da maschi e che le ragazze non sono brave in matematica. Che con il mio bel faccino non mi prenderà sul serio nessuno. Per non parlare di quando mi son messa una gonna un po’ corta a scuola e Formenti ha passato tutto il giorno a farmi battute.

Quindi ho deciso che divento femminista. Così almeno potrò urlare «cazzo» tutte le volte che voglio. Perché è così che funziona, vero? Che posso farmi crescere i peli e bruciare il reggiseno, no?

Io di femminismo non ne so molto e così ho fatto quello che tutti farebbero in questo caso: ho scritto su Google “come essere femminista”. Mi è venuta fuori una simpatica guida di wikihow che mi ha detto di credere in me stessa e nei miei sogni. Poco pratico, direi.

Un po’ riluttante, ho deciso di andare in biblioteca. La prof di Scienze ce lo dice sempre, quando dobbiamo preparare le ricerche per i progetti di gruppo «Sarebbe bello se una volta tanto andaste in biblioteca e imparaste a reperire informazioni dai libri, invece che copiare tutto da Wikipedia», non che ci spieghi mai perché sarebbe bello, ma se ce lo ripete tutte le volte forse significa che la biblioteca è il posto giusto dove cercare le risposte. Ci provo.

La biblioteca del mio quartiere non è male, fuori c’è un bel cortile ombreggiato da grandi piante e dentro è molto colorata: poster e cartelloni che invitano a leggere, proprio come ci ripete sempre la mia prof. Dentro c’è silenzio, non c’è nessuno, giusto un paio di bambini che sfogliano grandi albi illustrati sdraiati per terra. La mamma li guarda impaziente: «Allora, avete scelto?» li incalza a bassa voce.

Mi avvicino al bancone, dietro c’è una signora con gli occhiali, un po’ anziana.

«Buongiorno, io vorrei diventare femminista», esordisco tutto d’un fiato. Dietro le lenti spesse, intravedo un sopracciglio alzarsi. «Pensavo che magari qui potevo trovare qualcosa da leggere sul tema…», proseguo meno convinta.

«Femminismo. Scaffale Storia. Sotto Storia delle donne, ultimo ripiano. Se invece cerca qualcosa sulla terza ondata abbiamo qualche titolo nello scaffale di Scienze sociali/Sociologia».

Ok. Titubante mi avvio verso lo scaffale su cui campeggia la scritta “Storia”. In basso c’è un cartellino più piccolo che recita “storia delle donne”. Le donne nella storia europea. Il secolo delle donne. La violenza contro le donne nella storia. Questioni di genere. Donne si diventa. Scorro il dito sul dorso dei libri esposti. Va bene, ma da dove incomincio?

Prendo un libro a caso, uno che mi sembra bello consistente e abbastanza vecchio. Di certo avrà qualcosa da dirmi, penso. «Ah, Il Secondo sesso, ottima scelta», si illumina la bibliotecaria. Io arrossisco e mi guardo intorno sperando che nessuno abbia sentito: sia chiaro, quel libro non parla di sesso sesso, ma di sesso femminile e maschile. Poi mi accorgo che in biblioteca non c’è più nessuno, neanche i due bambini di prima e mi rilasso in un sorriso poco convinto.

Torno a casa con il libro nascosto nello zaino e mi butto sul letto a sfogliarne qualche pagina. Ha un linguaggio troppo difficile per me, e a dirla tutta anche un po’ vecchio, mi sembra uno di quei romanzi che ci fa leggere d’estate la prof. d’italiano.

«Cosa stai leggendo?», chiede mia nonna entrando in camera all’improvviso.

«Niente!», sussulto, nascondendo il libro sotto il cuscino. Poi ci ripenso e le chiedo «Nonna, tu sai cos’è il femminismo?»

«Certo che lo so, ma è lunga da spiegare, magari lo studierai a scuola», mi risponde sbrigativa, «Oppure cercalo sull’internet, come fate sempre tu e tuo cugino!»

Quando la nonna se ne va, faccio un tentativo con Siri, che a volte ti dà di quelle risposte che non ti aspetti.

«Ehi Siri, come faccio a essere femminista?»

«Domanda interessante, Giulia»

«Ma tu sei femminista?»

«Mi dispiace, Giulia. Purtroppo non lo so»

«Secondo te dovremmo essere tutti femministi?»

«Non mi piacciono queste categorizzazioni arbitrarie»

E anche da Siri, niente. Non sarò mai una brava femminista.

Torno a scuola il giorno dopo, e, durante scienze, ecco che succede: anche a Elena arriva il primo ciclo. Si alza dalla sedia, dandomi le spalle, ed eccola lì, l’ho vista: una macchia rossa. Purtroppo però non l’ho vista solo io. Subito quell’idiota di Formenti inizia a gridare: «EHI ELENA HA LE SUE COSE, GUARDATELE I PANTALONI» e tutti lì a ridere e indicarla. Elena, paonazza, è paralizzata dalla vergogna, mentre le vengono le lacrime agli occhi.

«Ragazzi dai, non fate così!» urla la prof di Scienze, battendo la mano sulla cattedra ritmicamente per richiamarci all’ordine, visibilmente imbarazzata, «Ora uscite e andate a fare l’intervallo».

Capisco cosa devo fare: mentre con prontezza tiro fuori dallo zaino un assorbente e lo passo a Elena, mostrandolo fieramente a tutta la classe, mi giro verso l’idiota, indicando un punto imprecisato dei pantaloni «Formenti, attento, sei sporco qui!».

«Dove?», chiede lui abbassando la testa. Basta uno sguardo e da dietro Bianchi, in uno slancio di complicità, gli rifila una sonora pacca sulla nuca. Tutti ridono, anche Elena, che però scappa in bagno.

La seguo e ci infiliamo insieme in bagno. «Te l’ho detto che sarebbe stata la fine», sussurra Elena con gli occhi ancora un po’ umidi.

«No, invece»

Mi guarda senza capire.

«Ti rendi conto che parliamo come se il ciclo potesse fermarci? Ha mai fermato le nostre mamme? Le nostre nonne? Le donne che lavorano e quelle che vanno nello spazio?»

«No», mi risponde a occhi bassi Elena.

«Esatto. E non fermerà neanche noi. Siamo tante, siamo toste e gliela faremo vedere. Diremo “cazzo” davanti alle loro facce schifate tutte le volte che vorremo. Studieremo materie scientifiche oppure no. Chissene. Ma, ricordatelo, ci saremo sempre una per l’altra».

Ci guardiamo.

«Va bene – mi ha detto Elena – ora però fammi vedere come si usa quel coso».

 

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