In occasione di Bookcity Milano presentate due indagini, “Effettofestival 2024 – Non c’è live senza online”, volta a indagare le strategie digitali adottate dalle rassegne di approfondimento culturale, il livello di digitalizzazione e gli investimenti fatti in questa direzione, e “Festival Culturali: uso dei canali digitali e stato dell’arte delle ricerche ufficiali” – I particolari e i risultati principali emersi
Anche in questo 2024, per il quinto anno consecutivo, in occasione di BookCity Milano, Intesa Sanpaolo ha presentato un’ampia indagine dedicata ai festival culturali, articolata in due parti, e lo ha fatto a Milano, nel corso di un incontro ospitato dal Centro Internazionale di Brera .
In via Formentini si è parlato di un’indagine curata da Giulia Cogoli e Guido Guerzoni, dal titolo Effettofestival 2024 – Non c’è live senza online, volta a indagare le strategie digitali adottate dai festival di approfondimento culturale, il livello di digitalizzazione e gli investimenti fatti in questa direzione, e anche di una seconda indagine, a cura di BVA DOXA, dal titolo Festival Culturali: uso dei canali digitali e stato dell’arte delle ricerche ufficiali. L’obiettivo della seconda indagine era capire come le diverse manifestazioni sono in grado di utilizzare il web e i social per generare interesse e visibilità e per comprendere se le ricerche pubbliche ufficiali sono in grado di misurare i nuovi consumi e cogliere i cambiamenti in atto.
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Effettofestival 2024 – Non c’è live senza online
Partiamo da Effettofestival 2024, analisi dedicata ai festival di approfondimento culturale, “un format tipicamente italiano che ha supportato il mercato editoriale e caratterizzato il panorama degli eventi culturali tricolori, grazie alla diffusione nazionale e al continuo successo”. La ricerca in questione, giunta alla sua decima edizione, quest’anno ha studiato le strategie digitali dei festival, partendo dall’esame della spinta innovativa figlia della pandemia: 87 festival di prima (F1G) e seconda generazione (F2G) sono stati analizzati, con un questionario e una ricerca “desk” che si sono focalizzate sia sull’utilizzo dei siti, delle piattaforme social e dei canali video e audio, sia sulle strategie e il livello di digitalizzazione dei processi.
Concentrati soprattutto nel periodo autunnale (settembre e ottobre) e primaverile (maggio e giugno), ma ormai distribuiti anche negli altri mesi dell’anno, i festival continuano a dominare il panorama nazionale, principalmente su tematiche letterarie (40,8% dei F1G e 26,3% dei F2G), anche se gli F2G si stanno spostando verso temi più legati all’attualità come le scienze, la tecnologia e l’innovazione, i diritti, le tematiche sociali e la sostenibilità ambientale.
In media meno di 25mila presenze a festival
Dal punto di vista delle politiche di prezzo, emerge che la maggior parte degli eventi mantiene l’ingresso gratuito: 67% per i F1G e 82% per i F2G.
In media, i festival hanno meno di 25mila presenze (77% dei F1G e 89% dei F2G), ma molti eventi di prima generazione continuano a registrare affluenza elevate, con alcune manifestazioni che superano le 100mila presenze, il che ne conferma la popolarità e l’impatto.
Quasi tutti i festival hanno un sito contenente il programma, gli abstract degli eventi e le biografie degli ospiti (90% dei festival), la maggior parte solo in italiano (meno del 20% ha una versione in una seconda lingua). Solo una minoranza ha un’applicazione mobile: il 10,3% del campione.
L’uso di Youtube
Dalla ricerca emerge che Youtube è una piattaforma molto utilizzata dalle rassegne italiane: il 60% dei festival sono dotati di un proprio canale. Oltre il 95% dei festival sono su Facebook e Instagram, segue X 60,9%), LinkedIn (32,2%) e TikTok (24,1%). I festival presenti sulle piattaforme audio come Spotify o SoundCloud sono ancora molto pochi, pari all’8% del campione. La media dei video caricati su YouTube è di 291 per i F1G (con 4.460 iscritti al canale) e 146 per i F2G (con 1.241 iscritti al canale). La media dei followers per i F2G è di 1.241e per i F1G di 4.460.
Gli archivi digitali
La costruzione di archivi digitali che raccolgano i contenuti prodotti dai festival è una prassi consolidata per il 90% dei rispondenti del campione, soprattutto a partire dal 2020. Tuttavia, i festival che hanno digitalizzato integralmente i propri materiali rappresentano solo 12% del campione.
L’archivio è consultabile sul sito (nel 75,70 dei F1G e nell’84% dei F2G) e su YouTube (56,8% dei F1G e 84,0% dei F2G) e offre accesso a programmi (63,2%), biografie dei relatori (36,8%), abstract degli eventi (58,6%), registrazioni di conferenze (64,4%), interviste (70,1%) e seminari (37,9%).
Più adv offline che online
L’indagine si è occupata anche di strumenti di advertising online, usati dal 95% dei festival. Il canale più utilizzato è quello dei social media, con Instagram e Facebook in prima linea grazie alla piattaforma Meta Ads. Tuttavia, la porzione di investimenti pubblicitari investita sull’online è ancora minoritaria rispetto all’offline: circa l’85% dei festival che svolge attività di advertising online vi destina al massimo il 30% della spesa totale per la pubblicità.
Chi lavora ai festival
Circa il 50% dei festival analizzati non assume dipendenti a tempo pieno, preferendo forme di collaborazione. Per quanto riguarda l’impiego di volontari, i festival di prima generazione tendono a coinvolgerne un numero maggiore rispetto a quelli di seconda generazione.
In termini di competenze digitali, le figure professionali più comuni sono Social Media Manager, Web Designer e Copywriter. Inoltre, i F2G tendono ad attribuire maggiore importanza alle competenze digitali avanzate rispetto ai F1G.
“Il digitale fa comodo quando fa risparmiare, ma è scomodo quando obbliga a ripensare formati produttivi e distributivi”
Per concludere, molti festival hanno adottato strategie digitali, “ma spesso senza formalizzarle“. Nella maggior parte dei casi (67,5%) manca una documentazione specifica con obiettivi chiari, segno che l’integrazione del digitale supporta lo svolgimento delle manifestazioni, ma non ha ancora prodotto cambiamenti sistemici nei processi di gestione dei festival. La sensazione – conclude la ricerca – è che “le grandi opportunità offerte dalla digital presence sono siano ancora state colte nella loro strategicità”: il digitale – si legge – “fa comodo quando fa risparmiare, ma è scomodo quando obbliga a ripensare formati produttivi e distributivi che talvolta sono gli stessi da decenni. Una posizione confortevole, ma rischiosa in una fase storica in cui il pubblico dei festival sta profondamente cambiando e – in parte – ringiovanendo”.
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E veniamo alla sintesi della seconda ricerca presentata in occasione di Bookcity, dal titolo Festival Culturali: uso dei canali digitali e stato dell’arte delle ricerche ufficiali, curata direttamente da Intesa Sanpaolo, insieme a BVA Doxa, per capire come i festival culturali utilizzano il web e i social per generare interesse e visibilità e per comprendere in che misura le ricerche pubbliche ufficiali sono in grado di misurare i nuovi consumi e cogliere i cambiamenti in atto.
La ricerca dell’anno scorso aveva mostrato che “i giovani hanno un rapporto con la cultura fluido e disintermediato, mentre quest’anno si è voluto fare un passo avanti cercando di capire qual è la strategia digitale e il piano editoriale di 20 festival culturali, scelti per la varietà di temi e di pubblici”.
È emerso che i festival culturali nella loro comunicazione digitale utilizzano principalmente i propri canali social e lo fanno soprattutto per comunicare con il proprio pubblico di riferimento. Solo il 31% del buzz legato ai festival analizzati, infatti, proviene dall’Open Web, al di fuori quindi dei loro canali proprietari.
La maggior parte dei festival concentra la propria comunicazione sui canali Facebook e Instagram, tralasciando i canali YouTube e TickTock nonostante siano seguiti dalla Gen Z, e predilige una strategia volta a coltivare principalmente la relazione con la propria community, più che ad estenderla.
“Prevale un approccio divulgativo, focalizzato sul creare conoscenza, più che sul coinvolgere le proprie audience”
Prevale un approccio di tipo divulgativo, focalizzato sul creare conoscenza, più che sul coinvolgere le proprie audience, anche se si trovano casi di racconto del “dietro le quinte”, dei valori che sorreggono il festival, degli aspetti legati ai territori e alle città dove i festival hanno luogo. Tutto ciò contribuisce alla diffusione dei temi vicini alla manifestazione e favorisce la costruzione di un senso di comunità e di identificazione che va al di là del periodo specifico di durata del festival. Tuttavia, “le manifestazioni che riescono a beneficiare di una visibilità significativa anche al di fuori dei propri canali social, lo ottengono grazie all’utilizzo di partnership editoriali di rilievo capaci di fare da boost alla visibilità del festival”, di volti noti capaci di per sé di rappresentare una notizia, e cavalcano temi “caldi”.
Il coinvolgimento di influencer, micro-influencer e partnership con brand o editori, “permette infatti di ampliare il proprio pubblico e dare maggiore visibilità al racconto della propria community”.
L’analisi ha mostrato, quindi, un approccio comunicativo da parte dei festival nell’uso dei canali digital “abbastanza maturo e consapevole, nonché abbastanza coerente con i bisogni dei Gen Z”.
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Ma le ricerche pubbliche ufficiali sono in grado di misurare queste nuove modalità di fruizione della cultura attraverso il digitale?
L’Italia è sicuramente pioniera nelle misurazioni che partono dal 1933 e tanti sono gli attori istituzionali che raccolgono dati sui consumi culturali in Italia, (Istat, Censis, Ministero della Cultura e tutte le organizzazioni del settore culturale come l’AIE, la SIAE, Audicom ecc.), ma fino a che punto sono in grado di cogliere i cambiamenti in atto nei consumi culturali?
Dall’analisi desk condotta sulle fonti pubbliche emerge che queste ricerche si concentrano prevalentemente su consumi legati ad un concetto di “cultura alta” e a una concezione del consumo culturale ancora molto vincolata ai canali offline, cogliendo così solo i consumi che fanno riferimento a mercati culturali formalizzati (es. biglietti) all’interno dei quali, non riescono – o riescono solo parzialmente – a cogliere i comportamenti culturali concreti degli individui.
Nei consumi culturali è in atto un cambio di paradigma: le nuove tecnologie digitali – e in particolare gli smartphone – hanno rivoluzionato il modo in cui si consuma cultura,” permettendo un disancoraggio della fruizione dai luoghi fisici“: si sta passando dai luoghi di fruizione della cultura ai “momenti” della cultura, “dove ogni momento è potenzialmente buono per consumare contenuti culturali”.
Le persone sono esposte a un processo di “radiazione culturale” attraverso cui i contenuti culturali raggiungono soggetti non esposti ai consumi culturali tradizionali.
Oggi, quindi, secondo i promotori dell’indagine, “si rende necessario strutturare un piano di raccolta dati che riesca a cogliere la fluidità dei consumi culturali favorita dal digitale per tracciare anche questi nuovi accessi ai consumi culturali”.
Un sistema di monitoraggio e valutazione delle iniziative culturali digitali “può poi contribuire ad attivare un processo di adattamento e miglioramento continuo dell’offerta culturale all’evolversi della domanda di fruizione di tipo culturale”.
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